L’alba, due giganti della letteratura e un maestro di lettura.
“Baciandola come baciavo mia madre, a Combray, per
calmare la mia angoscia, quasi credevo all’innocenza di Albertine o, almeno,
non pensavo di continuo a quel che avevo scoperto, al suo vizio. Ma, adesso che
ero solo, le stesse parole riecheggiavano di nuovo, come i rumori interni
dell’orecchio che si sentono non appena qualcuno smette di parlarci. Adesso,
per me, il suo vizio non era più oggetto di dubbio. La luce del sole che stava
per spuntare, modificando le cose che mi circondavano, mi ridiede, come se
m’avesse momentaneamente spostato rispetto ad essa, una consapevolezza ancora
più crudele della mia sofferenza. Non avevo mai visto cominciare un mattino
così bello e così doloroso. Pensando a tutti i paesaggi indifferenti che
stavano per illuminarsi e che, ancora il giorno prima, m’avrebbero colmato solo
del desiderio di visitarli, non potei trattenere un singhiozzo quando, in un
gesto d’offertorio compiuto meccanicamente e che mi parve simboleggiare il
cruento sacrificio d’ogni gioia che avrei dovuto fare ogni mattina sino alla
fine della mia vita, rinnovando solennemente ad ogni aurora il rito del mio
dolore quotidiano e del sangue della mia piaga, l’uovo d’oro del sole, come
spinto dalla rottura d’equilibrio cui desse luogo, nel momento della
coagulazione, un mutamento di densità, spinato di fiamme come nei quadri,
lacerò d’un balzo il sipario dietro il quale, da qualche istante, lo si sentiva
fremere, pronto a slanciarsi in scena, e ne cancellò con fiotti di luce la
porpora misteriosa e rappresa."
Marcel Proust – Alla ricerca del tempo perduto -
Sodoma e Gomorra
"Si comprese da tutti, al riscontrare delle tracce di
sangue sullo spigolo del tavolino da notte, verso il letto, che il capo così
ferito doveva avervi battuto violentemente; forse qualcuno doveva averla
afferrata a due mani, pel collo, e averle sbattuto il capo contro lo spigolo
del tavolino da notte, per terrorizzarla, o deliberato ad ucciderla. Terribile
fu e permaneva a tutti l’aspetto di quel volto ingiuriato, ch’essi conoscevano
così nobile e buono pur nel disfacimento della vecchiezza. Ora tumefatto,
ferito. Inturpito da una cagione malvagia operante nella assurdità della notte;
e complice la fiducia o la bontà stessa della signora. Questa catena di cause
riconduceva il sistema dolce e alto della vita all’orrore dei sistemi
subordinati, natura, sangue, materia: solitudine di visceri e di volti senza
pensiero. Abbandono. «Lasciamola tranquilla», disse il dottore, «andate,
uscite». Nella stanchezza senza soccorso in cui il povero volto si dovette
raccogliere tumefatto, come in un estremo ricupero della sua dignità, parve a
tutti di leggere la parola terribile della morte e la sovrana coscienza della
impossibilità di dire: Io.
L’ausilio dell’arte medica, lenimento, pezzuole,
dissimulò in parte l’orrore. Si udiva il residuo d’acqua e alcool dalle
pezzuole strizzate ricadere gocciolando in una bacinella. E alle stecche delle
persiane già l’alba. Il gallo, improvvisamente, la suscitò dai monti lontani,
perentorio ed ignaro, come ogni volta. La invitava ad accedere e ad elencare i
gelsi nella solitudine della campagna apparita."
Carlo Emilio Gadda – La cognizione del dolore