giovedì 21 marzo 2019

Addio fantasmi di Nadia Terranova











I libri sull’assenza partono  sempre con un vantaggio. Ancor più se si tratta di una assenza che viene da una scomparsa irreversibile, voluta e meditata (da Maiorana a Caffè, per citare i due casi letterariamente più fascinosi - il secondo più del primo). Qui c’era nel soggetto il bonus aggiuntivo di una storia al femminile con al centro la figura di un padre che sceglie ad un certo punto di sparire. La Terranova ha scritto un buon romanzo, ma poteva giocarselo meglio questo doppio vantaggio.
Intendiamoci, non scrive affatto male, anzi. Ha una certa abilità nel dare una tonalità precisa alla narrazione; in questo caso introspettiva, intima, un po’ dolente, ma senza eccesso di effetti emotivi, con una sfumatura fredda che mi è piaciuta. Però fa scelte qualche volta che  infastidiscono. Imprecisioni, sbavature di significato in certe espressioni ed un che di improprio, di buttato lì nella scelta di certi aggettivi. Anche troppo ripetitiva nella sottolineatura del dolore.

Non è giusto definirlo un libro triste (lacrimoso o stucchevole no di certo; e il rischio era alto). Certo, è un libro che gira attorno ad un copione di depressione. Depresso il padre e erede della sua depressione la figlia. La salvano la scrittura ed il marito: un personaggio in controluce, che agisce solo da lontano e nel ricordo. Forse la figura migliore del romanzo. Poteva usarla meglio, nell’ultima parte. Comunque, il racconto parallelo del matrimonio funziona bene e c'è sostanza.
Buoni anche il realismo e l’efficacia con cui rende i dialoghi silenziosi, fantasmatici tra madre e figlia (quelli gridati funzionano meno), davanti ad un interlocutore muto che ha deciso di non esserci più, ma che comunque in qualche maniera va e viene. C’è con l’assenza, appunto.

Si perde un po’ nel finale. La scelta fatta sul personaggio di Nico  sembra un inutile appesantimento. La scossa che dovrebbe dare per preparare l’esito (anche quello un po’ banalmente teatrale e insieme miserino nella sostanza), poteva essere diversa e cercata in modo meno frettoloso e più congruente al racconto. Si gioca meglio il personaggio dell’amica, di Sara, ma poteva anche lì  lavorare di più sullo spessore.
Si dice spesso dei romanzi che sono troppo lunghi (“ha cento pagine di troppo”); qui forse ce ne volevano almeno cinquanta di più e un po’ più di cura per essere un ottimo romanzo.