giovedì 13 febbraio 2025

L'anniversario di Andrea Bajani

 

Visto che in Italia (non solo in Italia, ma qui soprattutto) dobbiamo per forza arrenderci all’autobiografismo, che almeno sia buona roba. E questo romanzo è davvero roba buona. La cosa migliore letta negli ultimi mesi. Non a caso segnalato da Carrere.

Un altro libro sulla madre. Forse il miglior romanzo italiano del ’24 è stato anche quello un libro su una madre (Il fuoco che ti porti dentro, di Franchini). 

Sarebbe strano d'altronde, mentre tutti parlano di patriarcato, di maschi narcisi, eterni adolescenti o assassini, di padri manipolatori e violenti o amorfi e assenti, che non venisse raccontata, senza la pietà che viene negata ai padri, anche l’altro cardine delle famiglie patologiche. 

Non che anche qui manchi un padre terribile. Anzi, forse potremmo scambiare lui per il protagonista. Ma non è vero. La figura più straordinaria, tutta guardata sul negativo, nel senso fotografico del termine, è sicuramente la madre.

Le tipologie in cui raggruppare le madri infelici e infelicitanti sono tante. Per elencare le più tremende, giusto a mo’ di esempio: c’è quella iperpresente ingiuntiva e punitiva; c’è quella frustrata implacabile e proiettiva; quella assente seduttiva e castrante; quella imprevedibile sadica e depressiva; quella sottomessa e ansiogena. 

La madre raccontata da Bajani appartiene all’ultima categoria, ma ne rappresenta una versione forse comune, ma di sicuro estrema; di una potenza letteraria diversa da quella di Franchini, ma di sicuro non minore. Viene radiografata con precisione, in profondità, con la calma di un figlio che ha mangiato a lungo pane e angoscia, lo ha digerito e ne ha tirato fuori l’energia e il coraggio per liberarsi dal dolore, dalla madre e dalla famiglia. E glien’è avanzato, di coraggio e di energia, per guardare indietro e cerchiare con questo romanzo l’anniversario del decennale della liberazione.

Scrivere un romanzo così riuscito con questi ingredienti mentali infuocati come l’aria dell’inferno dev’essere stato un parto podalico. Dice di averlo scritto di getto e di averci poi lavorato molto a lungo. Alla lettura si percepisce, questo tipo di gestazione. Perché restituisce con immediatezza il dramma e i suoi protagonisti con il loro carico di sofferenza, ma ha anche la precisione, l'asciuttezza, persino l'eleganza di chi è stato capace di mettersi a distanza. L’effetto sul lettore è un grumo insieme di emozioni e di spunti che prima ti danno una botta allo stomao e poi ti spingono ad alzare gli occhi sulla pagina e gettarli nel baratro più meno profondo che ognuno si porta dentro.

In tutti e due i romanzi, questo e il romanzo di Franchini, la domanda che ronza per tutto il tempo all’orecchio del lettore è quanto grande sia, nonostante tutto e nonostante il silenzio sull’argomento, quanto grande sia l’amore che il figlio che racconta porta a quella madre con cui raccontandola sta implacabilmente facendo la sua resa dei conti. Non lo dice chi scrive. Non è giusto che lo dica io che ho letto. Dentro quel silenzio però sta il fondo di quel baratro interiore che ognuno custodisce nel più inviolabile dei tabernacoli.

Sarebbe stato bastante tutto questo, ma il romanzo è anche e forse soprattutto un inno, anche quello calmo e argomentato, al romanzo, alla pratica del trasformare la vita in racconto, riempiendo i vuoti della memoria con una immaginazione governata, con il pensare lungo sulla pagina, con la scelta attenta delle parole. E’ dalla letteratura, dalla vocazione e dall’esercizio di innestare l’immaginazione sulla realtà che il figlio trova quella distanza, quella energia e quel coraggio che gli servono per liberarsi e cerchiare l'anniversario.

Può’ darsi sia vero che la letteratura non ha mai salvato nessuno dalla infelicità e dal dolore. Però questo libro dimostra che scrivere e leggere aiuta a dare loro un senso e a portarseli dentro.