mercoledì 12 febbraio 2025

Kairos di Jenny Erpenbeck e il Dottor Zivago

 




Ad un certo punto della lettura può venire di pensare ad un grande romanzo, al Dottor Zivago di Pasternak. Altro livello, certo, per stile, complessità, respiro storico e potenza narrativa, ma il punto di contatto c’è ed è evidente.

(Qui se n’è scritto

https://scarabooks.blogspot.com/2017/11/il-dottor-zivago_5.html#more)


Anche questa è una storia d’amore infelice che scorre parallela alla storia innescata dalla illusione del comunismo realizzato. Lì eravamo ai tempi della rivoluzione russa di ottobre, ai suoi tristi esordi. Qui siamo alla caduta del muro di Berlino che a quella nefandezza mise fine. Come nel dr Zivago, il romanzo racconta in parallelo il fallimento della rivoluzione d’ottobre e il fallimento dell’amore. Lì un amore che stenta e muore senza dare felicità. Qui un amore che esplode e muore tra i suoi vapori tossici. 

Dunque, la rivoluzione sovietica, i suoi prodotti storici, gli amori tossici. Due illusioni, due diverse concatenazione di errori che si possono ricondurre allo stesso minimo comune denominatore: l’ambizione totalizzante e totalitaria, che è l’errore primario, in politica come in amore. Il peccato di narcisismo, soprattutto maschile e quello dell’ideologismo, che hanno devastato un secolo, messi l’uno di fronte all’altro o, appunto, in parallelo.

Un errore, quello di tentare di ricostituire una monade con l’oggetto d’amore elevato e degradato ad oggetto di rispecchiamento che i maschi del nostro tempo non riescono ad accettare. 

Un errore, quello della imposizione totalitaria del ”bene”, di una società più giusta, che gli eredi della tradizione comunista non riescono ancora oggi neppure vedere. Volevamo una cosa buona, “più elevata” dicono. Sono stati commessi errori, ma l’intenzione resta elevata. Al contrario delle intenzioni che muovevano l’altro totalitarismo del novecento, quello nazi-fascista, vista (giustamente) come cattiva perché nazionalista, razzista, bellicista.

E invece l’errore di base che li accomuna tra loro e li fa assimilare all’errore del narcisista sta proprio nella illusorietà e nella disumanità del progetto totalizzante che vuole fondere le vite e le esperienze e le sensibilità, che annulla le differenze, che soffoca la libertà (anche quella di sbagliare). In amore, come nella grande storia.

“Un anno di fedeltà lo avrebbe indotto a impegnarsi con lei. Sempre più avanti e sempre più in alto. Ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni, così sarebbe in un lontano futuro, con il comunismo. Questo lei non lo vivrà, e probabilmente nemmeno i loro figli lo vivranno, se mai ne avessero, forse potrebbero goderne i nipoti, aveva detto l’insegnante di educazione civica. Ma lei si era rivelata indegna. Da ciò che aveva fatto non poteva svilupparsi un livello più elevato….

Perché mai si dice «verso l’alto», quando si tratta solo di un’altra forma di convivenza fra esseri umani? Dov’erano l’alto e il basso nella storia dell’umanità?”

Un errore che nega il valore della differenza, della diversità, del diritto umano di sbagliare. Nelle storie dell’amore, come in quelle dei popoli….

Nessuno, dice Rosa, può dissolversi completamente in un altro. D’altronde è bello, dice, che ci siano delle differenze. Dunque rimane sempre un resto. Ed è proprio il resto la parte interessante. Ma in quel resto si annida anche ciò che potrebbe far esplodere la relazione. Oppure no, dice Rosa. Bisogna semplicemente trovare qualcuno con cui ci si trova bene fin dall’inizio. Bene anche con quella componente sconosciuta che è presente in entrambe le parti? Sì.”

E poi c’è nel romanzo la lezione per cui non c’è fine che possa giustificare i mezzi: l’inquisizione, la colpevolizzazione, la confessione più o meno estorta. Le purghe staliniane ricordate a fronte del tormento imposto dal maschio narciso tradito, che vuol indagare, che tormenta, che pretende di punire, che prova sollievo nel produrre dolore. Se c’è una cosa che il novecento ci deve insegnare è che è vero il contrario: sono i mezzi che rendono giusto o meno un fine. Se un fine, per essere raggiunto, richiede mezzi sbagliati, allora il fine è sbagliato e va prima corretto e poi perseguito con mezzi che siano “giusti”.

L”indagine” di Hans è un mezzo sbagliato per un fine che infatti è altrettanto sbagliato. Quello di fondere, rendere omologhe due vite, di negare il diritto all’errore. La differenza di età contribuisce a creare per reazione al rigetto dell’ambiente sociale circostante, una tentazione che chiude e rende tossico il rapporto.

Il tradimento di Katharine viene vissuto e raccontato come i tradimenti, reali o presunti, dell’epoca staliniana.

Il socialismo in un paese solo corrisponde alla coppia chiusa senza spazio per la comprensione degli incroci e degli errori davanti a cui la vita e la storia mette gli uomini, le donne, i popoli.

Ma nel romanzo c’è anche tutto il dolore di un popolo, quello della Germania dell’est prima tormentato, poi umiliato dalla storia e infine trascinato nella crisi epocale in cui la società occidentale sta precipitando e non lo sa ancora. L’ubriacatura consumistica e l’illusione di una libertà dominata da feticci è descritta benissimo nell’ultima parte del romanzo.

Dove prima c’era una prospettiva, adesso tutto si raggomitola in un inestricabile garbuglio di possibilità. Ciò che un tempo era familiare ora sembra andar scomparendo. La familiarità buona, al pari di quella cattiva.

È dunque questa la libertà? L’assenza di un avversario che abbia un nome?

La Coca-Cola è riuscita là dove non era riuscita la filosofia marxista, ha unito sotto un unico simbolo i proletari di tutto il mondo.”

Un romanzo che ha una sua voce, un suo timbro narrativo ben identificabile, forte; anche se non mancano le stonature, gli eccessi di sperimentalismo, le cadute di ritmo. L'impressione è che abbia troppe cose da dire, che voglia scandagliare troppo e troppo in profondità, finendo per affaticarsi e affaticare. Resta comunque un gran bel romanzo.

Soprattutto perchè ha il merito di di centrare un aspetto importante dei tempi che abbiamo vissuto e del male che ancora ci portiamo dentro