domenica 7 novembre 2021

Inchiostro simpatico di Patrick Modiano

 


 “Ma per quanto tu possa scrutare con la lente d’ingrandimento i particolari di una vita, vi rimarranno per sempre segreti e punti di fuga. E ciò mi sembrava il contrario della morte.”

In questa frasetta sta nascosta la chiave di lettura che preferisco dell’unico romanzo in cui consistono tutti i romanzi di Modiano. Perché i libri di Modiano sembrano più o meno tutti uguali. E, come l’unica storia che raccontano, sono tanto impalpabili nella sostanza e misteriosi nel significato, quanto sono semplici e ammalianti nello stile. Per me questo libro è tra i suoi migliori. E il ruolo che vi gioca Roma mi è piaciuto in modo particolare.

Il mondo che si è inventato è un territorio nebbioso del vago, dell’impreciso, popolato da assenze. Tutto gira attorno a qualcuno che, come Noelle, non si trova più. Personaggi che abitano l’evanescenza della striscia di territorio che sta un millimetro prima dell’oblio. Ci scavi e ci giri dentro con un narratore solitario con poca memoria, che non prende appunti e che qualche volta si inventa e ci racconta bugie; che segue tracce labili e disordinati ricordi o, come in questo caso, appunti scritti con inchiostro simpatico.

A un certo punto pensi, come il tuo narratore, che in fondo, non è così importante sapere; e comunque alla cosiddetta verità completa non ci si arriva. Perché il non sapere come e perché sono andate davvero le cose è in Modiano oltre che inevitabile, anche l’estrema barriera impalpabile che separa dalla morte. Se non la si attraversa, se si resta in quell’opacità, si può continuare a pensarsi e a poter sperare di ritrovarsi. In ogni caso, la morte non arriva, non c’è. Il tempo, in Modiano, come nella letteratura migliore da un secolo a questa parte, contiene e asseconda col suo mistero questa opacità. Non ci si perde del tutto, non ci si dimentica, ci si continua ad immaginare in un qualche dove e a cercarsi, più o meno confusamente. Si resta in un limbo terreno, in un bardo dei viventi, come “Certi gatti o certi uomini, svaniti in una nebbia o in una tappezzeria”, della canzone di Paolo Conte. O come in un film di Fellini in cui la parola Fine non compare mai, perché lo spettatore deve poter continuare da solo a raccontarsi quella storia, senza la violenza di una conclusione, in un eterno presente. O come la non vita/non morte in cui mi piacerebbe lasciare per sempre Monica Vitti. O come Federico Caffè che vaga ancora per Roma senza occhiali, senza orologio e senza documenti.

È uno spazio che la civiltà di Google, dei documenti virtuali, dei big data rende sempre più difficile da difendere. Nei libri di Modiano è la solitudine dello scrittore in una Parigi-labirinto a proteggerli. Ed è la sua scrittura a dare ai suoi personaggi quella forma di vita fantasmatica, l'unica vita davvero eterna. Nella vita reale le persone ci circondano, le vediamo, le tocchiamo, sappiamo di loro e poi magari le sappiamo colpite dalla violenta certezza, definitoria e definitiva della morte. E a questo mondo di corpi, immagini ad alta definizione e certezze che Modiano si sottrae. È un’illusione, certo. Ma dietro o sotto o intorno a quella illusione, all’inchiostro simpatico con cui è scritta la vita, anche la nostra, stavolta una risposta forse c’è, chissà. Spoilerare d’altronde sarebbe un crimine.

“Questo confermava la mia idea: anche se a volte hai dei vuoti di memoria, tutti i particolari della tua vita sono scritti da qualche parte con l’inchiostro simpatico.”