La lettura di questo libro l’ha un po’ contaminata il Limonov di Carrere e la pessima opinione (non del tutto infondata, pare) che aveva di Brosdskij. Però un sospetto di artificiosità furba, esibizionistica, da primattrice su red carpet, di allestimento per scopi narcisi e mercantili (il lavoro gli fu commissionato e pagato), di una “recita veneziana” molto impostata in prosa e in posa, in effetti viene, leggendo. Sensazione rafforzata anche da una certa dose di banalità ad effetto sparse qua e là.
Nonostante tutti queste sensazioni e questi pregiudizi assolutamente personali, il libro resta bello: lirico, ammaliante, stimolante. Anzi, pensavo, che Venezia sia anche, tra tanta bellezza e in quell’atmosfera che la rende veramente unica al mondo, come si dice sempre, tutte queste tre cose: artificiosità, venalità, banalità. Se è così allora questo libro centra l’obiettivo di trasmetterci con le parole l’emozione-Venezia anche in virtù dei suoi difetti.
E poi
non mancano una serie di cosette che ho trovato assolutamente condivisibili. Ne
riporto tre a titolo di esempio:
- “la
cucina locale, per gli standard italiani, non è tanto straordinaria”;
-
“questo è un ottimo posto per le lune di miele, ma ho pensato spesso che
bisognerebbe provarlo anche per i divorzi - per quelli in corso e per quelli
già conclusi. Non c'è miglior fondale per un'estasi, per una passione che debba
sfumare in dissolvenza”;
-
Venezia dà il meglio di se al tramonto e d’inverno, col freddo e, aggiungerei,
possibilmente con la nebbia. E non è vero invece che diventa invisibile Venezia
con la nebbia. Si frantuma piuttosto in una serie di set cinematografici.
Diventa davvero uno studio di posa. D’estate, d’altra parte, diventa, per tante
ragioni (gli odori, in primis), il fondale scenico perfetto di ogni cupio
dissolvi. E Visconti in Morte a Venezia ha reso l’idea in modo meraviglioso
(contrariamente a quel che dice lui, Brodskji, film e libro sono, per me, uno
più bello dell’altro).
Certo,
maramaldeggia su Ezra Pound, si lancia in disamine politiche snobbine sulla
politica e il futuro della città, in una previsione borsistica disastrosa sulla
Kodak e in altre amenità del genere. Ma sono peccati tutto sommato veniali
(cose che facevano tutti a quei tempi: banalità, per l’appunto) rispetto alla
bellezza di certe riflessioni o di alcune descrizioni o della mezza paginetta
su Stravinskij, o della citazione di Wystan Auden: “Il modo migliore per
ascoltare la Messa" diceva "è non conoscere la lingua”. Tanto per
dire. O di alcune considerazioni sull’amore e Venezia, che mi hanno toccato.
Insomma,
un bel pomeriggio di lettura e la voglia di tornarci sono garantiti.