lunedì 8 novembre 2021

Di chi è la colpa di Alessandro Piperno

 



Forse la cosa più bella e più compiuta che Piperno ha scritto sin qui. Fosse solo per il modo in cui tiene insieme e in equilibrio leggerezza e profondità. Una bella storia poi, con un groviglio di temi.

A un certo punto al suo personaggio-narratore gli fa dire “Troppe parole forbite, ragazzo mio, e non abbastanza verità”. Ecco, forbita è l’aggettivo più giusto per definire la sua prosa. Ha la sua faccia positiva nell’eleganza. E la prosa di Piperno lo è, senza dubbio, elegante: precisa, intonata, armonica, senza pieghe. La faccia negativa invece è un sentore di iper dettaglio, di un aggettivo sempre un tantino di troppo, di cui forse poteva far a meno. Ha un che di accademico, risente del lavoro che fa, probabilmente. Quanto alla verità viene da considerare che il romanzo è anche e, nelle sue espressioni più riuscite, soprattutto, una forma di dissimulazione, l’arte di nascondere la verità e di lasciare al lettore il compito di cercarsela da solo. 

La struttura, l’atmosfera del romanzo e il suo sottosuolo sono alimentati in modo esplicito dai suoi miti letterari e si percepiscono facilmente: la Eliot, Kafka, Proust e, per l’appunto, Dickens. Penso ai temi, penso allo stile, ma anche alla configurazione mentale del narratore o, se si vuole, al suo tipo di nevrosi. Mi viene in mente in particolare per quanto riguarda la contaminazione proustiana, l’uso della tecnica delle anticipazioni e il gusto della profanazione e dell’abiura, del rinnegare ciò che pure in qualche misura si ama, ciò a cui in qualche modo si appartiene. Tra le parentele dichiarate ed evidenti c’è pure la Eliot e il romanzo vittoriano, per la trama e per per quella forma di ironia caustica. 

Per stare ai temi, l’elenco sarebbe lungo. Quello dell’infanzia reclusa e sospesa tra due identità negate sarebbe bastato ad accontentarmi. Poi c’è quello dominante della colpa, naturalmente. Poi c’è Roma (il paragone con Gerusalemme per via della luce, mi ha fatto pensare a Flaiano, che, per altre ragioni, la definì “la città araba più a nord del mondo”). E poi ancora quello del rapporto con un certo tipo di madre. Per farmelo stare simpatico, Piperno, basterebbe quel che dice della scuola e dell’infanzia: “..se un genio della lampada mi offrisse l’opportunità di ricominciare da capo e tornare a quel tempo gli direi di non rompere e di togliersi dai piedi. Meglio morire che ricominciare.”