Forse la cosa più bella e più compiuta che Piperno ha scritto sin qui. Fosse solo per il modo in cui tiene insieme e in equilibrio leggerezza e profondità. Una bella storia poi, con un groviglio di temi.
A un
certo punto al suo personaggio-narratore gli fa dire “Troppe parole forbite,
ragazzo mio, e non abbastanza verità”. Ecco, forbita è l’aggettivo più giusto
per definire la sua prosa. Ha la sua faccia positiva nell’eleganza. E la prosa
di Piperno lo è, senza dubbio, elegante: precisa, intonata, armonica, senza
pieghe. La faccia negativa invece è un sentore di iper dettaglio, di un
aggettivo sempre un tantino di troppo, di cui forse poteva far a meno. Ha
un che di accademico, risente del lavoro che fa, probabilmente. Quanto alla
verità viene da considerare che il romanzo è anche e, nelle sue espressioni
più riuscite, soprattutto, una forma di dissimulazione, l’arte di nascondere la
verità e di lasciare al lettore il compito di cercarsela da solo.
La
struttura, l’atmosfera del romanzo e il suo sottosuolo sono
alimentati in modo esplicito dai suoi miti letterari e si percepiscono
facilmente: la Eliot, Kafka, Proust e, per l’appunto, Dickens. Penso ai
temi, penso allo stile, ma anche alla configurazione mentale del
narratore o, se si vuole, al suo tipo di nevrosi. Mi viene in mente in
particolare per quanto riguarda la contaminazione proustiana, l’uso della
tecnica delle anticipazioni e il gusto della profanazione e dell’abiura, del
rinnegare ciò che pure in qualche misura si ama, ciò a cui in qualche modo si
appartiene. Tra le parentele dichiarate ed evidenti c’è pure la Eliot e il
romanzo vittoriano, per la trama e per per quella forma di ironia
caustica.
Per
stare ai temi, l’elenco sarebbe lungo. Quello dell’infanzia reclusa e sospesa
tra due identità negate sarebbe bastato ad accontentarmi. Poi c’è quello
dominante della colpa, naturalmente. Poi c’è Roma (il paragone con
Gerusalemme per via della luce, mi ha fatto pensare a Flaiano, che, per altre
ragioni, la definì “la città araba più a nord del mondo”). E poi ancora quello
del rapporto con un certo tipo di madre. Per farmelo stare simpatico,
Piperno, basterebbe quel che dice della scuola e dell’infanzia: “..se un
genio della lampada mi offrisse l’opportunità di ricominciare da capo e
tornare a quel tempo gli direi di non rompere e di togliersi dai piedi. Meglio
morire che ricominciare.”