venerdì 4 settembre 2020

La ddraunàra di Silvana Grasso







Non la conoscevo, Silvana Grasso, non ne avevo mai sentito parlare. Da qualche parte, la presentazione di questa raccolta dei racconti, appena uscita per Feltrinelli,  mi ha incuriosito. I primi racconti mi hanno sorpreso e conquistato. Dopo la lettura di una metà del libro e aver visto anche le quote basse (inevitabili), sono andato a googlare. Il personaggio è abbastanza sconcertante. 

Silvana Grasso
Tipo piuttosto originale: filologa classica, docente universitaria, ex assessora a Catania, animatrice culturale poliedrica, ha partecipato persino ad un reality. Estroversa e colorata in eccesso nel trucco, nel vestiario, nell’eloquio, nella gestualità. Decisamente sopra le righe. 

Eppure s’è meritata premi da tutte le parti (anche un Flaiano, che so come funziona e di solito funziona bene), ma soprattutto editori e recensori di primissimo piano (Inge Feltrinelli, Cesare Garboli, Einaudi, Amelia Rosselli). Un suo testo teatrale è passato persino al Piccolo. E pare sia tradotta in mezzo mondo. 

Scrive di una Sicilia molto al femminile, esagerata come lei e come d’altronde quasi tutto in Sicilia (gran parte della bellezza della Sicilia STA nella esagerazione: di sapori, odori, emozioni, colori, tipi umani, gentilezza e crudeltà, sensualità e religiosità, voglia di vivere e pulsioni di morte e così via). Trame sapidissime e spinte con audacia, ma anche con leggerezza, fino ai limiti del credibile. (Ma chi l’ha detto poi che la credibilità è un valore assoluto nella letteratura e nell’arte in generale? Ripenso sempre a Fellini che non voleva che la ricostruzione del mare e del Rex in Amarcord fosse troppo perfetta perché “non é che poi lo scambiano per vero?”). Personaggi tagliati con l’accetta e sagomati in poche righe. Ascendenze nobili sapientemente messe in trasparenza: la tragedia greca e il teatro dei pupi, il melodramma e il verismo, Capuana e Pirandello. E poi una lingua barocca ultradecorata  e aulica con un siciliano duro, arcaico, povero e immaginifico. Spesso non capisci le parole e a cercarle non le trovi nemmeno in rete, ma ti danno lo stesso il senso antico che vogliono trasmettere e sono spesso parole musicali, dense, da vera scrittura impressionista. 

Limite e forza insieme è che quasi tutto, come il suo personaggio,  sta fuori dal concetto di misura. Alcuni racconti si, sono praticamente perfetti. Ma quasi tutti hanno un che di  “troppo”, come l’odore delle zagare (che ti stordisce), come certi cannoli siciliani (troppo dolci) o certe sarde a beccafico  o certe caponatine (troppo profumate). Se non sei portato, se non ne sai afferrare il fascino fatto di densità, di superfluo, di sovraccarico meglio che vai in vacanza a Formentera, ti godi il profumo di rose dei giardini degli alberghi, mangi sogliole in bianco e ti leggi i racconti di Carver. Che pure un buon vivere é, ma siamo giusto al polo opposto dell’universo, tanto per rendere l’idea. 

Insomma, per quanto mi riguarda, tirate le somme mi sono proprio piaciuti (non a caso continuo ad andare in Sicilia con una certa regolarità, da vero innamorato ormai). Vincerò lo sconcerto che la signora mi procura e mi leggerò un romanzo. Vediamo se passa anche la prova del lungo.