venerdì 4 settembre 2020

Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli





È un testo asperrimo, bisogna faticarci e riuscire con la fatica a starci dentro. Dentro alla frase oscura e a volte ermetica. Dentro alla storia umana di Manganelli, dolorosa e angosciante ai confini del surreale. Dentro alla sua vicenda di intellettuale curioso e tortuoso, colto fino all’insondabile e dalla creatività lessicale acrobatica. 


Giorgio Manganelli
Roscioni diceva che solo le ostriche malate contengono la perla. Lo diceva di Gadda, ma vale anche per Manganelli. D’altronde i due avevano punti di contatto biografici soprattutto, più ancora di quelli linguistici, su cui tanto si scrisse e polemizzò con loro in vita. Soprattutto da parte di un Gadda offeso fino al furore proprio dopo aver letto questo libro. 

Fu una vera diatriba tra giganti doloranti (della letteratura e della nevrosi), che sfociò in un epico confronto privatissimo, a casa di Manganelli dove Gadda si fiondò in preda alla rabbia, con unica testimone la figlia allora poco più che bambina di Manganelli, Lietta. Filippo  Milani riporta l’episodio in un bellissimo articolo sul “The Edimburgo Journal”, il sito-miniera dimateriali su Gadda più vasta e preziosa esistente al mondo. 


Carlo Emilio Gadda
“A quanto pare Gadda continuava a ripetere tra l’accusa e la supplica: 
«Perché lei mi vuole rovinare?». 
Manganelli probabilmente non sapevacosarispondere dato che non si sarebbe mai aspettato di dover affrontare l’ingegnere furioso a casa sua. Il professore venne colto di sorpresa, ma in un modo o nell’altro riuscìa far ragionare il rivale e a tranquillizzarlo. Pare che la battuta conclusiva del loro concitato diverbio sia stata: «Non è colpa mia se entrambi abbiamo avuto le stesse madri».


Si, perché Gadda considerava Hilarotragedia una parodia de La cognizione del dolore. Ma non si tratta di una parodia. Piuttosto di vera e sanguinante parentela (per parte di madre per l’appunto, se mi si passa la battuta) tra i due libri. E il dolore che gravita attorno alla figura della madre é ed è stata per me una delle due chiavi di lettura fondamentali di questo testo.

L’altra mi ha fatto ripensare al Freud di Al di là del principio del piacere e ad un monologo di Baricco sulla Deposizione di Van de Weyden. 





Spettacolo indimenticabile in cui si parla proprio di quella che Manganelli chiama la “vocazione discenditiva”; di quella forma di piacere che Baricco chiama proprio felicità. Quella che si prova quando ci si lascia cadere, quando ci si abbandona alla caduta da una qualche Croce, quando si depongono nella morte e nella sconfitta le pulsioni e i desideri e si prova la sensazione liberatoria della discesa, di una qualche Deposizione, appunto.
Una delle vette della cultura italiana del novecento.