“Quel che può ‘combinare’ la letteratura”, aveva detto [Roberto
Saviano] durante un discorso a Stoccolma nella sala del Nobel, “si rivela
spesso in situazioni estreme”; poi ha conservato questa convinzione,
occupandosi solo di situazioni estreme – ma non è vero: si trovavano in
situazioni estreme l’impiegato Kafka, la zitella Jane Austen, il rentier Proust
? Il maggiore obiettivo della letteratura non è la testimonianza ma l’avventura
conoscitiva. E non è un problema di ‘purezza’ ma quasi il contrario, di
ambiguità: soltanto la letteratura, tra i vari usi della parola, può affermare
una cosa e contemporaneamente negarla; perché ambigua è la nostra psiche,
ambiguo il nostro corpo – le ambiguità rimosse possono portare a esiti
controproducenti, a discussioni sterili. L’ambiguità, lo spessore, la polisemia
fanno emergere quel che non si sa ancora; per questo la letteratura non può
prestarsi a fare da altoparlante a quel che già si crede giusto. La si umilia,
così; per questo dare importanza allo stile non è diserzione – non tutte le
battaglie si combattono con fucile ed elmetto.
Walter Siti
Walter Siti