Gran Simenon anche questo. Donne di opposta polarità fisica e caratteriale che si giocano in parallelo le rispettive partite; di vite tutto sommato ordinarie. Sembra una scommessa: tirar fuori una lettura tesa, densa e intensa, gonfia di attese, da un soggetto tutt'altro che originale; anzi tutto sommato banale. La vince, Simenon, manco a dirlo. E alla grande. Permettendosi il lusso di giocare col lettore, con un finale da dissolvenza cinematografica, che, forse non sembra, ma è di assoluta audacia narrativa.
Particolarità da segnalare: è un Simenon al femminile. Era
un tipaccio con le donne, si sa, e forse se lo merita che tante lettrici lo
detestino, ma se è così, lo è anche per la capacità di dipingere il lato
oscuro del femminile. Qui lo fa inquadrandolo nel rapporto tra donne, tra
amiche. E lo fa alla sua maniera. Senza
eccesso di psicologismi. Descrivendo fatti, umori, toni e con dialoghi tagliati
col bisturi. Ad un certo punto scrive
“Mi domando perfino come mi sia passata per la testa una cosa simile” . Questa
è una espressione tipica di Simenon. Non c’è la ricerca del perché “profondo”.
Non c’è analisi. Quella la lascia tutta al lettore. Ci sono solo le cose che
accadono, quello che i personaggi dicono e fanno, i meccanismi inerziali della
vita che scorre; le forze oscure che ne
determinano atti e pensieri restano sullo sfondo, imprevedibili e
misteriose.
Altra cosa. Simenon ha un’abilità straordinaria nel rendere le atmosfere brumose; non solo nei paesaggi, per esempio nelle acque stagnanti dei porti o delle chiuse, dei fiumi o delle città del nord. E specialmente all’alba. Ma anche le brume delle pulsioni umane. Quelle torbide configurazioni delle menti e delle relazioni umane fatte da seduzione e repulsione, pulsione e calcolo, lavorio elettrico dei neuroni e lavoro biochimico degli ormoni. Il condensarsi di una nebbia di umori. Una umidità opprimente di sentimenti e cattivi pensieri da cui può saltar fuori qualsiasi cosa o magari niente. Cose che comunque aleggiano in un’aria pesante, facendo correre avanti l'immaginazione del lettore.
Ultima piccola annotazione, già fatta per altri suoi
romanzi, ma questa è una caratteristica di Simenon che mi colpisce e mi annoto
sempre; forse è una delle ragioni per cui più mi piace leggerlo. Nel culmine di
una scena tesa, drammatica, lui infila una frasetta di questo tipo: “Attraverso
le tamerici gocciolanti si poteva scorgere, dall’altra parte del giardino, nel
riquadro di una finestra aperta, il volto di Sylvie bianco come l’alba”. Alza
lo sguardo del lettore e gli inquadra un dettaglio ai margini della scena e
riesce a farlo diventare una calamita che risucchia l’attenzione e ipnotizza. E ci si sveglia, che hai smesso di leggere, hai alzato la testa e pensi che
non smetterai mai di leggerlo, Uno così.