venerdì 30 novembre 2018

Il piccolo libraio di Archangelsk di Georges Simenon



Un errore da non fare mai leggendo Simenon è quello di prenderlo sottogamba. Mai pensare di star leggendo solo un giallo (e questo in fondo non lo è), letteratura di puro intrattenimento. Intanto, in ogni suo romanzo puoi trovare l’impronta  sorprendente di un Maestro del raccontare e poi ci trovi quasi sempre un pezzo da aggiungere alla mappa di se stesso e del mondo che ogni buon lettore si va costruendo con quel che legge.
Qui  il tocco che non t’aspetti di Simenon sta nel disegno della trama. E sta nell’inserire al centro un fattore anomalo: l’incongruenza, l’illogicità di certi comportamenti umani. Giochino tutt’altro che facile. Nella vita si dicono e si fanno cose, spesso in momenti importanti, che non corrispondono a nessuna logica congrua, razionale. Le facciamo e le diciamo, sapendo perfettamente non solo che sono false o sbagliate, ma essendo anche consapevoli che forse finiranno per ritorcersi a nostro danno. Che ne pagheremo le conseguenze. Eppure le facciamo. Inserire però  in una trama gialla uno snodo di questo tipo è tecnicamente difficile. Perché tende a togliere credibilità e verosimiglianza: somiglia ad un trucco,  sembra un tradimento del patto di lealtà tra scrittore e lettore. Qui invece l’incongruo è così ben incastonato nel carattere del protagonista, così ben messo sul tavolo da gioco da essere perfettamente accettabile, credibile. E la sfacciata genialità di Simenon sta nel farlo diventare l’elemento cardine della storia. Perché non è una scelta tecnica fine a se stessa. Dentro c’è una chiave di lettura fondamentale.
Sparisce una moglie e il marito davanti agli altri mente su un dettaglio decisivo, pur non avendo niente da nascondere. E questo ovviamente finisce col metterlo al centro di tutti i sospetti. Il dubbio che viene subito è che in realtà, dietro alla bugia detta agli altri, c’è una menzogna più grande detta a se stesso. Che si trattdel tassello finale di una ipocrita rappresentazione data davanti a tutti, per rafforzare una falsa rappresentazione data a se stesso. Se si percepisce il dubbio innescato da questo sofisticato meccanismo, il romanzo diventa per il lettore un rovello ed una fucina di pensieri formidabile.
George Simenon
Alla base c’è la vergogna. E’  la vergogna che porta a  nascondere il patto anomalo che c’é alla base del matrimonio di Jonas e Gina dai pettegolezzi e dalla cattiveria degli altri. Che non potranno mai capire perché quell’uomo mite, riservato, piccolo abbia sposato quella donna dalla reputazione ingombrante e dalla conformazione fisica e mentale incontenibile nel ruolo (già di per se stretto e complicato) di moglie giovane di un uomo tranquillo. Ma  non c’è solo questo; e non è questo ad essere decisivo. Simenon parla soprattutto di un altro tipo, specialissimo, di vergogna, che non ha niente a che fare con quello che possono pensare gli altri. A Jonas, lo ripete spesso a se stesso, non importa niente  dei pettegolezzi. Lui, tra  tutti i tipi di vergogna nutre quella che si colloca esattamente al polo  opposto del sentimento della colpa. Non ha proprio niente a che fare con un giudizio sociale e neppure con un giudice interiorizzato. Il suo problema è la vergogna davanti a se stesso. Che è gemella dell’orgoglio. Basata su un patto di onore chiuso, esclusivo, che alcuni sottoscrivono magari senza nemmeno esserne coscienti  con la parte più profonda di se. Eppure quell’orgoglio e quel sentimento intimissimo di vergogna sono i pilastri su cui in certe personalità si edifica e si sorregge il senso della propria dignità. Per difendere quel senso di se si è disposti a sacrificare tutto. La cosa più interessante di cui racconta Simenon in questo libro secondo lo scarabookkiante è esattamente questa qui. 
La vergogna interiore esplode, anzi gli implode dentro in modo devastante, quando Jonas apprende che la sua dedizione, il suo amore per la moglie aveva prodotto  in lei un effetto opposto che gli appare mostruoso,  a cui mai avrebbe pensato. Lei aveva paura. Paura che da lui potesse venirgli del male, che lui fosse non una cosa buona per lei, ma all’opposto una minaccia, qualcosa da cui doveva difendersi, che andava disprezzata e rabbiosamente respinta. Questo lo fa implodere nella sua vergogna. Si accorge che la sua mite dedizione, l’amore che le portava venivano letti e rivolti contro di lui. Il fatto che Gina sia solo una poveraccia che si é autocondannata ad una vita infelice, non lo sfiora nemmenonon ha la forza per fare questo scatto mentale che lo potrebbe salvare davanti a se stesso. Tutta la vita intima avuta con quella donna la rilegge  sotto la luce della vergogna di se. E vede un se stesso immondo riflesso negli occhi di lei. Pensa di vedersi adesso, così come quella donna forse l’ha visto davvero per tutto il tempo che sono stati insieme. La sua indifferenza e la sua fuga é in questo modo se la spiegaLa risposta incongrua che dà agli altri è il suo estremo tentativo di sottrarsi a questa implosione a questo lutto. Fin dall’inizio aveva immaginato  e non aveva voluto vedere.
Quando la vergogna interiore implode, davanti alle informazioni raccolte in commissariato,  fa saltare in aria il rispetto anche del proprio corpo, delle proprie passioni, delle proprie abilità, dei propri sentimenti. Si vede  con gli occhi di lei come un “perverso” di cui avere paura; un essere di cui liberarsi in fretta, andando lontano. La stessa genesi della loro storia (i suoi sentimenti originari, il modo in cui quell’amore a senso unico è nato) diventa una sorta di sordido disegno seguendo il quale lui si era approfittato di una debolezza di lei; come se l’avesse comprata. Non gliel'avevano venduta in cambio di denaro; piuttosto di tranquillità, in un momento di debolezza, ma la sostanza resta quella. Terribile.          
Un altro tema importante del romanzo è quello dell’esule. Jonas e fuggito dalla Russia della rivoluzione d’ottobre  e vive il dramma millenario dell’esulequello del bisogno di integrazione, di accoglienza  che è proprio dei profughi di tutti i tempi e di tutte le razze. E lo è  in modo speciale degli ebrei, che questo dramma, questo bisogno, in millenni, l’hanno integrato nel genoma. Il dramma di chi cerca disperatamente si sentirsi a casa e di farsi accettare, senza riuscirci mai. E Jonas trova nel sospetto degli altri la conferma che è proprio così, che non è mai stato davvero a casa. Che non solo la donna che amava non lo ha mai visto per quello che sente di essere, ma neppure gli altri. La tragedia dell'uomo che si vergogna a questo punto è completa.
Ultima annotazione. Simenon ha la capacità tecnica ad un certo punto del racconto, di girare lo sguardo del lettore e portarlo fuori della scena. Magari in un momento topico del dramma lo fa voltare a fissare un dettaglio: una finestra, un rumore, un oggetto, un pensiero. E con questo dà profondità alla scena, la inquadra in un orizzonte, te la fa vedere a distanza, prima di farti  rituffare al centro del dramma. E’ un modo per dare ritmo e respiro alla lettura. E saperlo fare così bene è roba da Maestri veri, di quelli che ti fanno ringraziare il Dio dei libri che hai dentro. L’interrogatorio al commissariato per esempio in questo senso è esemplare. Una paginetta magistrale. Non c’è cinema che tenga.