E' una sorta di iper-Bignami sullo stato del mondo presente con brevi proiezioni (vagamente tendenti al catastrofico) sul futuro prossimo venturo. Harari, che è uno storico israeliano di nobile curriculum e che ci tiene a tenersi su, la chiama “visione sintetica dei processi storici globali”.
Un buon saggio di divulgazione. Il condensato di lavori precedenti, dicono di livello (vedi però nota ex-post in fondo). Si legge facile (ottimo per il treno o, vista la scansione a paragrafi relativamente brevi, anche per la metro; anzi per ragioni che diremo a margine forse è proprio in quei contesti che rende al meglio). A tratti è persino divertente. Le fondamenta di conoscenza su cui si fonda sono solide, la visuale è alta (colpisce soprattutto l’attenzione nell’iscrivere la storia umana nelle sue coordinate biologiche e antropologiche) e la capacità di collegamento che Harari ha è notevole. Altrettanto lo è la vivacità della prosa con cui rende il suo mobilissimo pensiero. Certo, essendo appunto un iper-Bignami del nostro tempo, inevitabilmente procura anche qualche fastidio per l’eccesso di approssimazione (a tratti si appende pericolosamente sul lato del cazzeggio). Ma siamo entro limiti di tollerabilità e a quelli fisiologici del genere.
Molte delle opinioni che ci sono dentro sono condivisibili (soprattutto quelle sul ruolo delle religioni nella storia e più in generale sul tema delle identità individuali e collettive). Più d’uno sono gli spunti di riflessione per prossimi approfondimenti interessanti. Buona nella sostanza e nel tono “gentile” anche la lezioncina finale basata sulla parte migliore o più esportabile in Occidente delle culture orientali.
Non capita spesso di leggere buoni libri di divulgazione e men che meno di tuttologia. Quindi è un’occasione per riordinare le idee non solo sul libro di Harari, ma appunto sul genere, sulla sua utilità (che c'è di sicuro) e sui rischi che implica (altrettanto evidenti). Ne seguono tre brevi riflessioni.
Prima riflessione.
Durante la lettura, all'improvviso si è accesa in testa l’insegna di un titolo di un libro. Celeberrimo ormai. Di David Foster Wallace. “Una cosa divertente che non farò mai più”.
Quando vai in crociera in dieci giorni magari visiti sette città.

Con il libro di Harari sbarchi sui temi della "fine del lavoro", della crisi delle democrazie, della quarta rivoluzione tecnologia (quella informatica), della frontiera delle neuroscienze (quelle della ricerca sulla coscienza e dell'integrazione tra il corpo e l'intelligenza artificiale), della gestione dei big data, delle credenze religiose e della laicità, della distribuzione della ricchezza, delle migrazioni, della emergenza ambientale, dei nazionalismi, della minaccia nucleare e si potrebbe continuare perché i 21 punti contengono più o meno tutto quello che fa la vita individuale e collettiva del nostro tempo.
Ecco, per tornare alla crociera, sostituisci alle città questo elenco e sostituisci alle ore di visita alle città previste dai programmi delle crociere il numero delle righe che lui dedica a quei temi giganteschi e capisci il rischio che si corre a leggere questo tipo di libro. Potremmo quindi porci la domanda se servono davvero, se sono utili.
Non lo sappiamo.
Forse si. Intanto, ci si sposta su una visione olistica delle cose e si supera i limiti degli specialismi. Poi, si alza lo sguardo oltre le logiche del breve-medio periodo (in cui la cultura managerialistica sta schiacciando la gestione del mondo). E si stimolano curiosità , che poi magari fanno venir voglia di approfondire almeno qualcuno dei temi che contiene.
Però c'è da chiedersi anche quanti lettori lo faranno. E quanti invece si limiteranno invece ad usare questo libro come un arsenale portatile di colpi ad effetto da sparare nelle conversazioni "colte". Certo, questo dipende dal lettore. Qualcuno approfondirà e qualcuno coltiverà l'illusione di conoscere tutte “le città” che ci sono dentro. La conclusione è che quel tipo di lettura, come la crociera, è bene farla se non una volta nella vita, meno di frequente che sia possibile. E ricorrere ad opere divulgative è meglio se lo si fa su temi specifici, limitati: quelli che altrimenti non saremmo capaci mai di affrontare; meno possibile sulla "tuttologia".
Seconda riflessione

Hanno due ore per vedersi una delle città più belle del mondo, piena di meraviglie. Alla fine potranno solo dire “che bella!”, ma per chi ci abita o se l'è girata a lungo e più volte, con guida a fianco e libri in mano (oppure, meglio, in testa) sono gente che si fa trattare da poveracci.
Terza riflessione
![]() |
Yuval Noah Harari |
E' un ottimo esempio, nei pregi e nei difetti, di come la cultura digitale può modificare anche la cultura che viaggia sui libri. Come Baricco non giudichiamo e anzi come lui coltiviamo il dubbio che possa essere una innovazione che magari ci fa fare un passo in avanti nella metodologia della conoscenza e nel modo di leggere. Staremo a vedere.
Limitiamoci alla considerazione che la “visione sintetica dei processi storici globali” risponde ai bisogni di una società, di uomini e donne che non hanno tempo, che vanno di fretta o che, semplicemente, per abitudine digitale acquisita, se non sentono la velocità mentre fanno qualcosa, persino leggere, pensano di starsela menando (ecco perché leggerlo nei non-luoghi e nei ritagli di tempo aiuta a sintonizzarsi con questo tipo di lettura). Forse hanno ragione loro, chissà.
Dovessimo però dire qual é il concetto su cui siamo più d’accordo con Harari (e sono tanti) é questo:
“Se si vuole analizzare a fondo ogni argomento, bisogna avere molto tempo, e in particolare bisogna avere il privilegio di poter perdere tempo. Bisogna poter sperimentare percorsi improduttivi, esplorare vicoli ciechi, lasciare spazio ai dubbi e alla noia, e permettere che piccoli semi di intuizione crescano e fioriscano lentamente. Se non potete permettervi il lusso di sprecare del tempo – non troverete mai la verità.”
Nota ex Post
In realtà alla prova della
lettura dello scarabookkiante il primo volume, il più celebrato, è parecchio
peggiore di questo. La prima parte, finché si occupa di preistoria (da prima
della comparsa dell’Homo Sapiens, fino alla “rivoluzione agricola) è
interessante. Al punto che si può anche perdonare la disinvoltura di alcune
teorie molto personali (tanto per citarne una quella per cui la rivoluzione
agricola fu una trappola in cui l’uomo rimase vittima del frumento e mise fine
alll’epoca felice dell’uomo cacciatore).
Poi la prevalenza del fatterello,
delle opinioni personali piuttosto stravaganti
che non hanno niente di scientifico, dell’approssimazione fino al cazzeggio puro e
dell’affastellamento di temi ed epoche storiche
fa scadere la cosa quasi a livello di spazzatura divulgativa. Il che a
posteriori peggiora anche la luce alla quale leggere anche il libro di cui si
parla sopra.