Ogni tanto rileggere Flaiano in modo sistematico (la paginetta
qua e là torna spesso) fa bene. A metter la voglia allo scarabookkiante stavolta è stato Sorrentino
in "Tony Pagoda e i suoi amici".
Parlando di/con Maurizio Costanzo, ad un certo punto tira
fuori un aforisma di Flaiano e poi lo commenta:
“La domenica, per strada, a volte, si vedono anche i
mariti” scriveva Flaiano.
Una citazione, in questo contesto, senza nessuna pertinenza.
Ma ogni volta che ripenso a Flaiano, tra tutte le cose meravigliose che ha
scritto, chissà perché, mi ricordo sempre questa. Perché è una frase che
contiene un che di lampante e di sibillino nel medesimo tempo. Perché forse
rimanda a un’Italia scomparsa o che, invece, forse, è sempre esistita e sempre
continuerà a resistere. E poi è una frase che, a pensar male e in malafede,
evoca con eleganza anfratti di amabili sconcezze, di tresche, di piccolezze da
provincia, ma anche di solitudini colmate da presenze assenti.
Trovo sempre sconvolgente come una frase del genere,
dall’apparenza neutra, sobria, breve, in realtà sia un contenitore di svariate
suggestioni, emozioni, riflessioni, probabilmente sbagliate e irrilevanti. Ma è
la somma delle irrilevanze che, da qualche parte, tende a comporre un senso
alle cose. Un destino.”
Anche noi abbiamo sempre sempre trovato gli aforismi di questo tipo tra i migliori
di Flaiano. Di che tipo? Quelli in cui ci si ritrovano tre ingredienti: il primo è appunto una apparente banalità; il secondo è una colorazione dell’ironia che vira sul malinconico; e poi c'è la doppia o tripla chiave di
interpretazione per cui si possono leggere attribuendogli sensi diversi o anche opposti. Per tentare di essere più chiari ecco un esempio, tratto proprio
da “Diario notturno” (dal collegamento ci è venuta la voglia della rilettura integrale):
"C'è un sacco di gente che vive e lavora a Macerata. (L'essenza di
Cechov)". Sembra una stupidaggine, è velato di tristezza, vale un trattato di critica letteraria su Cechov. Lo puoi interpretare come la segnalazione di un privilegio o di una condanna. E in tutti e due i casi la letteratura è vista come un modo per non lasciare solo nessuno e non sentirsi soli, per rompere il
muro di solitudine che perimetra la nostra individualità confinata nel piccolo
qui e ora dove viviamo, nella Macerata che ci è toccata in sorte..
Ce ne sono altri a chiave multipla di lettura. Tra questi
c’è l’aforisma che io in assoluto amo di più. Dice: "Coraggio, il
meglio è passato". È bellissimo anche per quel moto di inquietudine (praticamente una finta da dribbling calcistico) che si prova di primo acchito, a sentirlo. I disattenti, quelli che scivolano sopra le cose, ci restano male; perché erano pronti a farsi una
sana risata e invece sembra ci sia poco da ridere. E in effetti può essere letta
in questa chiave (banale) di triste rassegnazione. Poi scopri che Flaiano la intendeva
invece nel senso opposto, di un incoraggiamento. Una cosa del tipo “non state lì a faticare e sbattervi,
godetevi quello che avete perché ambire al meglio ormai non è più tempo. Per
fortuna. Del meglio possiamo fregarcene perché è passato. e da noi non se l'aspetta più nessuno”.
Un ironico, gentile, compassionevole, empatico e salutare invito ad
assopire gli entusiasmi, rivolto in particolare a tutti quelli che si rovinano
la vita con le ambizioni di perfezione e le ansie da prestazione.
Una cosa, questa visione pacificata (che riuscì a praticare con molta fatica e molti rovelli interiori), che sta al centro del mondo di Flaiano . Ed è profondamente pescarese. Non a caso la frase, più
famosa, tratta dal Diario degli errori, che a Pescara hanno messo sotto al busto di Flaiano all'imbocco di
Corso Manthonè dice:
"La felicità consiste nel non desiderare che ciò che
si possiede."