Appartiene a quel genere di
libri che fanno male. Specie se si ha una particolare sensibilità
per la voce narrante dei bambini quando raccontano, come Brothers, i grandi
orrori della storia; oppure anche quando parlano
delle ordinarie crudeltà che si consumano in famiglia. Toccano qualcosa dentro
e straziano. In qualche caso, in questo caso, scatta anche la
rabbia.
Due ragazzini svegli, simpaticissimi e pieni di vita in un
piccolo paese della sconfinata campagna cinese alle prese con la tragedia della
Rivoluzione Culturale. Una ondata di violenza paragonabile a quella prodotta
dai grandi totalitarismi europei (a cui d’altronde quello cinese è
assolutamente assimilabile). Milioni di morti, violenze inaudite, distruzione
irreparabile di un patrimonio culturale di libri, monumenti, conoscenze. La
storia, questa storia, entra nella loro casa e loro nella vita e gliele
devastano.
Yu Hua descrive tutto con un vocabolario essenziale, come può
essere quello di un bambino. E con una leggerezza e una immediatezza di
percezioni che emozionano. Ne vien fuori una potenza tale da
costringere in certe pagine a fermare la lettura per smaltire l’angoscia.
Si lotta con le lacrime.
Comincia come un libro divertente (le prime pagine sono
bellissime) e riesce a conservare quel registro di comica leggerezza
sullo sfondo anche degli snodi più terribili della storia che racconta.
La morte e il funerale del padre sono indimenticabili. Come d’altronde il
racconto dei giorni che seguono l’uscita dall’ospedale della madre.
E’ proprio l’assenza di eco, di effetti voluti che le rendono
emozionalmente così forti e devastanti.
Qualcuno ha parlato, per stile e tono narrativo de La vita è
bella. Ma lì era un adulto che traduceva e rendeva divertente e tollerabile in
un linguaggio-bambino l’orrore di un campo di concentramento, restituendone il
senso. A me è venuto piuttosto da pensare a “Essere senza destino” di
Imre Kertesz dove è un bambino appunto che guarda e racconta l’orrore della
Storia con l’attaccamento indifeso alla vita e lo spirito intasato del dico
come modo di vivere la realtà che hanno i bambini.
E veniamo alla rabbia. C’è stato nella nostra parte del mondo, chi
ha subito la fascinazione folle per la Rivoluzione Culturale: i libretti
rossi, lacinaèvicina, il comunismo in versione maoista (come non ci bastasse
già l’ingombro di quello sovietico). E chi è vissuto nelle scuole e nelle
università degli anni ‘70 non se li dimentica. La loro arroganza, la cecità
dell’ignoranza con cui rivendicavano da lontano una folle appartenenza. Fosse
un reato lo chiamerei millantato discredito; uno dei tanti casi in cui tanta
parte della sinistra italiana ha tentato di darsi una identità finendo per
chiudersi in una gabbia (dove ancora se ne trovano i poveri resti, peraltro).
Ecco è a loro che consiglio la lettura di questo romanzo. Mi sembra un ottimo
modo per fare un doloroso esame di coscienza e per espiare almeno con qualche
lacrima una colpa rimossa o dimenticata con troppa leggerezza.