Il figlio alle soglie del primo lavoro di una buona e colta
e ricca famiglia inglese va a Parigi negli anni ‘30 a passare il Natale. Cerca
avventure e incontra il Male; in due forme diverse, che forse è sorprendente
trovare in Maugham.
Come qualità non si segnala come il suo miglior romanzo. Un
po' scialbo e scontato (almeno per il gusto dello scarabookkiante), con poco colore e poco
sapore. Sempre con piacere si legge però, per via dello stile, sempre pulito,
efficace, elegante. Manca un po’ il ritmo e la acida e perfida ironia che ci si
aspetta, ecco. Però c’è quell’elemento sorprendente che è di grande stimolo.
Qui Maugham, dal suo consueto terreno di indagine delle
relazioni uomo-donna da cui pur sempre parte e che sempre al centro mette, si
avventura a sondare due grandi temi del novecento. Quello del superuomo e
quello del potere deviante he sulla mente dell’uomo hanno avuto le correnti
culturali dominanti nella prima metà del secolo scorso.
Tre uomini esemplari di tre tendenze diverse. Uno, della
tranquilla accettazione di una tradizione borghese. Il secondo, della spinta a piegare
la realtà ad un progetto (in questo caso di trasformazione rivoluzionaria disumana). E l'altro
della pura affermazione del proprio io, del proprio potere-diritto di agire
secondo la propria forza e il proprio incontrollato libero arbitrio di
super-uomo contro ogni regola. Al centro, a catalizzare e subire reazioni, una
poveretta, chiamata a esemplificare un’altra figura che nel novecento è stata
suo malgrado al centro della scena: quella della vittima.
L’esaltazione del Male e insieme la sua banalizzazione che
hanno dominato un’epoca vengono fuori molto bene dal gioco che si svolge in
questo triangolo. Pensavo che c’è una differenza che salta fuori benissimo qui
con la letteratura dell’Ottocento. Per esempio, col Dostojevski di Delitto e
castigo, dove pure il tema del Male che verrà viene profeticamente evocato. Lì
tutto si svolge sulle tonalità della tragedia e Raskòl'nikov un grande
personaggio tragico è; qui tutto assume un aspetto da ballo in maschera o da
cabaret brechtiano. E a pensarci, lo stesso Hitler o ancor più Mussolini, ma
anche Stalin a rivederle oggi in effetti orrende maschere sono.
Per tornare alla sostanza del tema, potremmo ricondurre il
tutto alla vecchia dicotomia tra l’accettazione della normalità (e quindi anche
delle tinte grigie della noia, dell’abitudine, della dritta strada tracciata) e
la tentazione dell’estremo (e quindi della febbre adrenalica dell’azione, di
una qualche nuova avventura).
William Somerset Maugham |