Non è il senso della colpa.
Non è l'angoscia da catastrofe famigliare incombente. Non è il timore della
valanga della precarietà che minaccia di radere al suolo una vita di supposte
certezze. Non è l'incapacità di gestire la trasgressione, di sentirsi fuori da
un ordine, da un patto, da una regola.
È che questi due, con i loro
nomi ridicoli (la stigmatizzazione dell'uso dei diminutivi e la consumazione
dei nomi sono una fissa di Albinati. In effetti li mettono persino nei
manifesti funebri ormai, con un effetto ridicolo agghiacciante), sono incapaci
di reggere il presente di felicità che gli viene perimetrato attorno con
perfida e patinata banalità.
Non appena l'avvertono, la
beatitudine, sprofondano nell'angoscia, nella tristezza, nella pena. Vengono
persino avvertiti: "siete toccati dalla Grazia. Dovete stare in guardia. Prima di tutto da voi stessi". Niente. Preferiscono la serena
riconquista di una irrimediabile solitudine, l'unico misero riscatto a cui
approdano davvero, alla fine. La scelgono. La vogliono. Come una liberazione.
Adesso, alla fine, sono autorizzati a sentirsi e ad essere veramente soli. Lei,
soprattutto. Lui la subisce con passiva accettazione (e forse, tristemente,
meglio di così non poteva andargli).
Un raccontino di poche pretese, ma che che ha a che
fare con qualcosa di importante. Ha a che fare con la vocazione e la rassicurante abitudine ad avvelenarsi e ad
avvelenare la vita di infelicità (una cosa che muove da una logica del tipo: “oddio,
sono felice; che disgrazia mi capiterà adesso per scontarla?”). Con l'impossibilità ed il rifiuto di viverla senza esibirla, senza poterla
raccontare, la felicità, di farne uno spot, un motto, un titolo, un argomento
di conversazione. Lo strapotere dell’immagine che uccide la virtù salutare del segreto.
Sembra
interessi solo se la puoi far rispecchiare negli occhi di un pubblico, la tua
felicità, magari suscitando invidia. Meglio se può essere anche un modo per
procurare dolore, per offendere, per prendersi una rivalsa. Altrimenti a cosa
serve? In fondo è una storia che ha a che fare con la mancanza di attenzione verso se stessi e verso
l'altro, del prendersi reciprocamente cura, nel segreto, di una intimità vera.
Che resta preclusa: per paura, per diffidenza, più banalmente, per mancanza di tempo e di
spazio mentale.
Allo scarabookkiante
sembrano incredibili questi due personaggi. Disturbano. Non convincono. Mettono
il nervoso. Eppure, proprio per questo, forse Albinati, perfidamente ha
fatto ancora centro. Purtroppo.