La trama è un groviglio di
tre mogli che si stringe attorno al collo di un unico marito indeciso a tutto.
Potrebbe essere una commedia degli equivoci alla Feydeau, se non fosse che il
deus ex machina è un diavolo perverso e crudele. Poi, il parlare di amore e
matrimonio nel mondo dell’ebraismo mittle-europeo, seppur trapiantato in
America, specie subito dopo i campi di concentramento, è sempre un parlar d’altro
in realtà. Come nel Vogel di Vita coniugale, è il dramma secolare dell'ebreo
errante il vero tema.
Questo è il romanzo dell’amore
ai tempi della post-shoah. Il suo interesse maggiore sta proprio nell’entrar
dentro al mondo degli ebrei fuggiti in America durante e dopo l’età dei
totalitarismi. È il romanzo dei sopravvissuti che hanno il campo di
concentramento, i nazisti, il Male trapiantati nel cervello sotto forma di una
ossessione inguaribile, un corpo estraneo inasportabile. E il corpo estraneo
inibisce la possibilità di credere in qualsiasi cosa, di coltivare una
speranza. Per compenso, davanti a lampi di felicità produce presentimenti di
catastrofi e di fronte a lontani pericoli, paure paralizzanti; impone l’atteggiamento
di all’erta e affina la propensione a scovare tecniche per difendersi,
proteggersi, programmare vie di fuga, sopravvivere in qualche modo, quando i
nazisti torneranno, come di sicuro accadrà. Embrioni di forme cicatriziali
insomma da immediato post-trauma per lesioni che non smetteranno mai in qualche
modo di suppurare. Sono nella fase in cui non essere morti come i padri, le
mogli, i figli, i fratelli, gli amici è vissuta come una colpa e insieme come
un’occasione mancata. “Eravamo usciti dalla Geenna, ma la Geenna ci ha seguiti
fino in America. Hitler ci è corso dietro.”
Gente che, trauma compreso e
trauma a parte, per non morire ha compiuto un triplo salto mortale carpiato di
civiltà, cultura, lingua, abitudini, paesaggi urbani e sociali. E’ un’America
nemica anche nel clima, nelle strade, nella facce. Un mondo in cui domina la
fretta. Devono adattarsi e col il carico che si portano dentro, faticano,
sbandano, soffrono (le pagine dei viaggi in metropolitana sono dei cammei
neri).
Mentre tutto per loro è
diventato indifferente. “Quale differenza poteva fare per me chi avrei sposato?
Dopo tutto quello che avevo passato, quale importanza poteva avere?”
E sono ebrei, non
scordiamolo. Hanno nella testa il dio vivente più invasivo, misterioso e
impietoso di tutte le religioni inventate dagli uomini per rovinarsi la vita in
cambio della promessa (destinata quella sì a restare eterna) di salvarli dalla
morte. Un cambio iniquo per tutti; per loro il più penalizzante che ci sia sul
mercato dell'aldilà. Un dio che li ha abbandonati in mano ai nazisti e che
quindi potrebbe tornare ad abbandonarli in ogni istante che verrà. Se la loro
mente vede una ragione in questo, la trova nella indegnità del sopravvissuto: “le
era stato consentito di sopravvivere soltanto a causa dei suoi peccati. Le
anime benedette, gli ebrei pii, Dio li aveva presi con sé.” E così il
sopravvissuto per espiare continua a seguire i rituali imposti dalla religione
senza più crederci; a invocare il suo Dio sapendo che tra il Dio che sta
invocando e quello che ha permesso la Shoah c’è una differenza, uno scarto incolmabile,
lo stesso che in ogni grande amore separa la realtà dal sogno: “Il vero Dio ci
odia, ma noi abbiamo sognato un idolo che ci ama e ha fatto di noi il Suo
popolo eletto”. Quello, continuano a pregare.
E qui arriviamo al tema dell’amore.
Forse è paradossale, ma in questa devastazione l’unica energia che sopravvive e
mantiene la capacità di produrre flussi di vitalità è la lussuria, la libidine
dei corpi, il desiderio fisico, il bisogno di calore e accoglienza. Una forza
che li fa sentire vivi e li trascina in relazioni complicate e immaginazioni
perverse, che moltiplicano il desiderio. Lo scarabookkiante ha pensato anche a Roth che ha indagato così bene
questa illusione di salvezza nella ubriacatura dei sensi. Di quella cosa lì si
tratta. E come in Roth l’amore, l’innestarsi dei sentimenti su questa energia
vitale, puramente libidica ha un effetto spiazzante prima e devastante poi. Il
desiderio è una pulsione animale. Si può non controllarla, ma si capisce cos’è,
da dove nasce. L’amore è una cosa misteriosa, che sfugge al controllo: “nessuno
ne aveva scoperto il vero significato”. Quel che sanno è che l’amore ad un
certo punto fa girare il motore del desiderio all’incontrario, verso il
territorio del dolore, della gelosia, del possesso irraggiungibile. E accentua
il senso di colpa per essere sopravvissuti, per continuare a provare sentimenti
dopo lo sterminio, dopo un'offesa così intollerabile.
La conclusione del romanzo è
l’avvitamento del groviglio in un vortice.
La scrittura è di quella dei
Grandi Maestri. Una di quelle letture
che si vorrebbe non finisse mai.