Romanzo importante, di una
tristezza contagiosa. Importante per la ricchezza di temi e la qualità della
prosa. Tristissimo per l’atmosfera, la vicenda e lo sfondo in cui si svolge.
Soprattutto per via del narratore-protagonista: un uomo debole, oppresso da una
donna orribile e brutale, che gioca a mortificarlo e umiliarlo fino all’estremo.
Vogel ha un modo di
raccontare sommesso, semplice, ma la sua prosa ha una forza di suggestione, che
allo scarabookkiante è rimasta in parte abbastanza misteriosa. Ci si è chiesto
più volte, mentre per pagine intere non succede altro che lo scorrere di una
deprimente quotidianità, “ma perché non annoia questo libro?”. Si fluttua tra i
pensieri ondeggianti di quest’uomo, si leggono dialoghi (molto ben scritti)
spesso di una straniata ordinarietà, ci si incammina lentamente e per scosse in
una vicenda umana sconcertante che ha un epilogo annunciato, ma comunque
terribile, soprattutto per come matura (il finale è da girone infernale). Ogni
tanto ti fa alzare gli occhi e ti descrive (con una sapienza espressiva
benissimo dissimulata dietro la sobrietà, ma non per questo meno grande) una
finestra di fronte, un pezzo di cielo, una strada, un paio di scarpe, un bar o
un parco, la pioggia, la neve, un volto.
Il tutto in una Vienna
spettralmente affascinante, che sembra racchiudere ed esprimere il mondo ostile
visto dall’ebreo errante, dall'uomo cioè destinato nei secoli a vagabondare
senza una sua vera patria, cacciato dalla propria casa e senza mai essere
definitivamente accettato in casa altrui. Un uomo preda della prevaricazione e
della violenza e nel contempo della propria paura. Il senso profondo di questo
romanzo e della "vita coniugale" probabilmente sta tutto in questo
sentimento di un popolo condannato dalla sua storia a convivere con chi era
troppo più forte di lui. Da una parte c'è il bisogno di affermare la propria
identità e dignità e dall’altra il disperato bisogno di integrazione, calore,
accettazione. La sottomissione di Gordweil alla moglie "sadica" è da
questo squilibro di forze e da questo retroterra culturale e psicologico che
viene; ed è a quello che rimanda. Il sadismo sessuale c’entra poco e l’erotismo
anche meno (il risvolto di Adelphi è completamente fuorviante).
Il romanzo è scritto non
solo con grande pulizia di stile, ma anche con un'aria, un tono che sta a metà
strada tra la poesia e il grido di disperazione. E questo gli dà la sua malinconica
bellezza e che ha tenuto lontana la noia (almeno quella dello scarabookkiante). Ci è venuto di
pensare in certe pagine alle poesie di Gozzano; però, dentro la soffusa quotidiana
malinconia-nostalgia delle piccole cose, il mondo di Vogel non porta il segno della consolazione, ma della mortificazione, della catastrofe
incombente. E c'è anche il vuoto di senso della vita, la percezione della
arbitrarietà di tutto, a partire dalle pulsioni umane; che in questo romanzo
sfuggono ad ogni possibilità di gestione razionale e consapevole.
Forse ha più ragione in
fatto di assonanze il suo traduttore quando scrive in un bellissimo articolo
critico, che Vogel è un autore dal pessimismo leopardiano. Anzi, non mi
fermerei solo a questo. Gli impulsi e i guai che ne derivano al protagonista (a
partire dal suo matrimonio) nascono da un tedio che è anch'esso leopardiano; e
dal presupposto della vacuità e della vanità di tutto (per cui poca importa
alla fine quel che succede e cosa si decide di fare).
Più volte Lotte, l’amica
innamorata di lui che cerca di salvarlo pensa: “Ma è davvero così stupido, quel
Gordweil, o finge soltanto di esserlo?”. Che è poi quello che ci chiediamo
ancora oggi davanti alle file ordinate di deportati avviati in totale passività
alle camere a gas pochi anni dopo. Anche i biografi di Vogel si sono posti su
di lui esattamente la stessa domanda di Lotte. Il sospetto è che alla base
delle sue scelte di vita apparentemente inspiegabili ci sia da una parte la
percezione atavica di una debolezza e dall'altra la profonda, disperata
percezione della mancanza di importanza e sostanza di ogni cosa e di ogni
scelta. Fino appunto a far pensare qualcuno che Vogel non sia morto in un campo
di concentramento, ma si sia in forma indiretta suicidato prima di arrivarci.
Di certo, in Gordweil, fino
all’epilogo finale, c’é una resa totale, che lui stesso può accettare solo
tentando di nascondersela dietro una maschera di illusioni, piccole
compensazioni, false giustificazioni e grossolane finzioni. È inerme, come lo
sarà il suo autore, insieme con tutto il suo popolo, davanti alla Storia.
A rendere ancor più grande e
più triste questo romanzo è la sua stessa storia editoriale: fu trovato sepolto
nel giardino di Vogel e pubblicato quarant'anni dopo la sua morte, senza che
lui della sua grandezza abbia mai avuto coscienza.