mercoledì 23 luglio 2014

La veduta di Delft, i modelli proustiani e la memoria

E’ uscito qualche tempo fa un libro ricco di spunti e di immagini, di Lorenzo Renzi, titolato “Proust e Vermeer”.  Il tema è la "Veduta di Delft" di Vermeer e il suo “muretto giallo”. Il quadro sta al centro di una delle scene  più celebri de La Recherche: quello della morte dello scrittore Bergotte.  


Il libro intanto, dimostra che quello non è un muretto, perché è  in realtà un tetto. E non è giallo perché il colore riproduce solo il riflesso del sole. Poi documenta  anche la fondatezza di tutti i dubbi sull’episodio della vita reale  di Marcel che finora si era ritenuto essere una delle fonti di ispirazione. La visita, alla mostra al Jeu de Paume a Parigi, dove era esposto il quadro, pare non ci sia mai stata. 

Eppure significato e senso di quelle pagine restano intatte. L’imprecisione, la deformazione del reale non solo non sono di ostacolo alla creazione letteraria e al dispiegarsi del senso della narrazione, ma ne sono anzi  una condizione fondante. 
È un testo tutt'altro che pedante. Al contrario, si legge con vero piacere. E la tesi è di quelle che stimolano.


La Recherche, si sa,  iniziò il suo viaggio per le librerie e tra i lettori in modo molto travagliato. Critici e scrittori di prestigio che non capivano. Editori che si spaventavano. Lettori che scappavano alle prime cinquanta. Del "romanzo" editoriale sul più grande romanzo della storia della letteratura si è parlato anche troppo.
C'è tutto un capitolo di questa storia editoriale che si potrebbe intitolare: “La rivolta dei modelli”. Ci fu una piccola folla di amici e conoscenti di Proust, di protagonisti e comparse della vita parigina al tempo della Recherche, che si indignarono o si sentirono lusingati (meno spesso) nel riconoscersi in questo o quello dei personaggi.  Per ciascuno di essi si proposero uno o più modelli.  

E’ passato un secolo e si è capito solo che non se ne verrà mai a capo; almeno non in termini certi e definitivi. E ormai più passa il tempo, più il romanzo si sottrae ai cliché interpretativi legati alla contingenza storica (specie quelli che rimandano a Proust cronista mondano) a tutto beneficio dei suoi significati universali.

Ma la caccia ai modelli umani (qui a fianco Robert de Montesquiou, uno dei modelli del Barone di Charlus) sta dentro ad una specie di più grande caccia al tesoro, che si svolge da cento anni dentro il territorio della Recherche. C’è la caccia ai luoghi reali che corrispondono a quelli inventati, ormai mitologici (Combray e Balbec su tutti). C’è, appunto, la caccia alla collezione d'arte, ai quadri e alle sculture; ma ci sono anche la caccia alla colonna sonora, al menù gastronomico, all’orto botanico, al guardaroba, agli arredi.  Il loro tratto comune è il tentativo  di trovare una corrispondenza tra il mondo della realtà e quello del romanzo. In qualche caso (raro) la corrispondenza è univoca, facile da identificare. Ma nella stragrande maggioranza questa corrispondenza è incerta, equivoca, inquinata dal ricordo e dalla creatività artistica sconfinata di Proust, che aggiunge, toglie, distorce, ingrandisce, ridimensiona, plasma. A volte con perfidia. A volta con affetto. Inevitabile che ne nascesse una vera bibliografia collaterale a quella critica.

Proust era infastidito da questo gioco pettegolo, che toglieva spazio all’attenzione verso il senso vero  del suo racconto. Tentò invano di dissuadere da questa lettura  tutta protesa a scovare presunte e improbabili chiavi "gossip" di lettura  dell'opera. 
Lo fece con scritti pubblici e con lettere private ai tanti che si erano "riconosciuti" e ne avevano tratto motivo di vanto, di lamento, di offesa o di sdegno.

Il libro di Renzi è interessante però per un’altra ragione, che sta oltre l’esegesi proustiana. Perché dà lo  spunto per riflettere sul tipo di risonanza che c’è tra modello e creazione, tra vita e opera, tra la realtà e la sua trasfigurazione nel tempo; non solo nella Recherche, ma in generale nell’arte e prima ancora e soprattutto nella memoria.

I personaggi della nostra mente, che sono l’equivalente nel ricordo di uomini e donne che abbiamo incontrato, sono immagini mentali quanto quelle di un romanzo. La trasposizione è sempre e solo parzialmente fedele. Più spesso contiene molto di arbitrario, di soggettivo. Il vissuto, le emozioni con cui li riempiamo, come fossero mummie, corrispondono solo in parte e in modo distorto a quel che furono gli uomini e le donne  reali come li abbiamo conosciuti. E ancor meno corrispondono a quel che sono per loro stessi o per gli altri. Questo vale anche e  più ancora per chi amammo o detestammo o con cui comunque vivemmo le pagine più importanti e più dense di emozioni della nostra vita.

E vale anche per le cose.  Per le stanze, ad esempio (a fianco, la stanza della zia Leonie a Combray).   E' il sapore e il tono delle impressioni ad esser diverso, ad appartenere ad un altro universo emozionale.   Scopriamo con qualche sgomento che c’entra poco con quello che ci siamo costruiti nel tempo e nella memoria.
Chi ha fatto l’esperienza di rientrare a distanza di decenni nella casa dell’infanzia sa quali scarti persino di dimensione la separa dalla casa del ricordo (sempre più grande che nella realtà) e quante differenze di dettagli.

D’altronde, possiamo sperimentarlo, ogni nuovo racconto che attinge dal ricordo del medesimo fatto finisce per essere diverso dai precedenti. Anche se solo per dettagli, non è mai lo stesso racconto. Esattamente come ogni nuova rilettura dello stesso romanzo. Recherche in primis. Quando Proust afferma che "Ogni lettore, quando legge, legge se stesso" sa anche che ogni rilettura dello stesso testo è fatta da un "nuovo" lettore, diverso da quello della lettura precedente per tanti aspetti di personalità, sensibilità,  formazione.

Allo stesso modo, nell’impronta emotiva che accompagna e determina la memoria delle persone e delle cose (e quindi anche delle storie, dei libri) con cui ognuno si costruisce il racconto di se, si inseriscono impressioni, facce, fatti, che vengono dal  momento di vita che si attraversa. Tutti elementi che con l’oggetto memorizzato hanno un legame contingente e labile o addirittura del tutto arbitrario. Un legame che solo la nostra mente ha creduto di vedere o ha addirittura costruito, partendo da percezioni e giudizi solo suoi. Un legame del quale comunque l’oggetto o la persona reincontrata a distanza di tempo  non possono conservare  traccia e del quale forse non sono mai stati consapevoli. A risentire dopo  anni una voce o a rivedere un volto è questo scarto che  a volte ci sconvolge. 
Le persone o gli oggetti che ci hanno coinvolto meno, paradossalmente restano più fedeli al modello originale. Segno anche questo che è l’intensità emozionale del nostro vissuto (come ormai le neuroscienze hanno ormai provato) a determinare le tracce più profonde. Più profonde di quelle delle rughe lasciate dal tempo sui volti. 
D’altronde la stessa conclusione della Recherche non è che una grande rappresentazione degli inganni del tempo e della memoria.

I materiali spuri che la memoria e l’arte usano per la manipolazione sono tanti:  impressioni legate ad altre persone  conosciute prima o dopo, che assimiliamo in virtù di più o meno vaghe analogie; percezioni  “autentiche” del momento e percezioni successive estratte dal ricordo,  che scava il suo solco e scavandolo ne modifica corso e contorni, con una sensibilità che all'epoca non avevamo ancora maturata, con idee che non conoscevamo. Incide tanto anche la stessa consapevolezza di come si è  poi sviluppata ed è finita la storia che abbiamo condivisa con quella persona. O che abbiamo vissuta in quella stanza. Ed  ha, com'è ovvio, il suo peso anche l’interesse che abbiamo ad avvalorare il senso che ci vogliamo dare a quel che è accaduto, alla nostra vita, a quella altrui. 

Ecco,  allo stesso modo,  nella Recherche, ogni personaggio, ogni quadro, ogni stanza, ogni abito, ogni oggetto di scena ha un ruolo preciso in una architettura di senso, di significati, di anticipazioni e disvelamenti, di gusti estetici, di predilezioni e idiosincrasie straordinariamente complessa, ma anche precisa, solida.  E i dati della realtà vengono manipolati, mixerati e sconvolti a servizio del disegno. 
Anche in questo, l'arte e la funzione del romanzo di riprodurre e svelare i meccanismi nascosti della realtà e della mente trovano in quel libro il loro compimento più alto.