E’ uscito qualche tempo fa un libro ricco di spunti e di immagini, di Lorenzo Renzi,
titolato “Proust e Vermeer”. Il
tema è la "Veduta di Delft" di Vermeer e il suo “muretto giallo”. Il quadro sta al centro di
una delle scene più celebri de La
Recherche: quello della morte dello scrittore Bergotte.
Il libro intanto, dimostra che quello non è un muretto,
perché è in realtà un tetto. E non
è giallo perché il colore riproduce solo il riflesso del sole. Poi documenta anche la fondatezza di tutti i dubbi
sull’episodio della vita reale di
Marcel che finora si era ritenuto essere una delle fonti di ispirazione. La visita, alla mostra al Jeu de Paume a Parigi, dove era esposto il quadro, pare non ci sia mai stata.
Eppure significato e senso di quelle pagine restano intatte.
L’imprecisione, la deformazione del reale non solo non sono di ostacolo alla
creazione letteraria e al dispiegarsi del senso della narrazione, ma ne sono anzi una condizione fondante.
È un testo tutt'altro
che pedante. Al contrario, si legge con vero piacere. E la tesi è di quelle che
stimolano.
La Recherche, si sa,
iniziò il suo viaggio per le librerie e tra i lettori in modo molto
travagliato. Critici e scrittori di prestigio che non capivano. Editori che si
spaventavano. Lettori che scappavano alle prime cinquanta. Del "romanzo"
editoriale sul più grande romanzo della storia della letteratura si è parlato
anche troppo.
C'è tutto un capitolo di questa storia editoriale che si potrebbe intitolare: “La rivolta dei modelli”. Ci fu una piccola folla di amici e conoscenti di Proust, di protagonisti e comparse della vita parigina al tempo della Recherche, che si indignarono o si sentirono lusingati (meno spesso) nel riconoscersi in questo o quello dei personaggi. Per ciascuno di essi si proposero uno o più modelli.
C'è tutto un capitolo di questa storia editoriale che si potrebbe intitolare: “La rivolta dei modelli”. Ci fu una piccola folla di amici e conoscenti di Proust, di protagonisti e comparse della vita parigina al tempo della Recherche, che si indignarono o si sentirono lusingati (meno spesso) nel riconoscersi in questo o quello dei personaggi. Per ciascuno di essi si proposero uno o più modelli.
E’
passato un secolo e si è capito solo che non se ne verrà mai a capo; almeno non
in termini certi e definitivi. E ormai più passa il tempo, più il romanzo si
sottrae ai cliché interpretativi legati alla contingenza storica (specie quelli
che rimandano a Proust cronista mondano) a tutto beneficio dei suoi significati
universali.
Ma la caccia ai modelli umani (qui a fianco Robert de Montesquiou, uno dei modelli del Barone di Charlus) sta dentro ad una specie di più
grande caccia al tesoro, che si svolge da cento anni dentro il territorio della
Recherche. C’è la caccia ai luoghi reali che corrispondono a quelli inventati, ormai
mitologici (Combray e Balbec su tutti). C’è, appunto, la caccia alla collezione
d'arte, ai quadri e alle sculture; ma ci sono anche la caccia alla colonna
sonora, al menù gastronomico, all’orto botanico, al guardaroba, agli arredi. Il loro tratto comune è il tentativo di trovare una corrispondenza tra il mondo
della realtà e quello del romanzo. In qualche caso (raro) la corrispondenza è univoca,
facile da identificare. Ma nella stragrande maggioranza questa corrispondenza è
incerta, equivoca, inquinata dal ricordo e dalla creatività artistica
sconfinata di Proust, che aggiunge, toglie, distorce, ingrandisce, ridimensiona,
plasma. A volte con perfidia. A volta con affetto. Inevitabile che ne nascesse
una vera bibliografia collaterale a quella critica.
Proust era infastidito da questo gioco pettegolo, che
toglieva spazio all’attenzione verso il senso vero del suo racconto. Tentò invano di dissuadere da questa lettura tutta protesa a scovare presunte e
improbabili chiavi "gossip" di lettura dell'opera.
Lo fece con scritti pubblici
e con lettere private ai tanti che si erano "riconosciuti" e ne avevano
tratto motivo di vanto, di lamento, di offesa o di sdegno.
Il libro di Renzi è interessante però per un’altra ragione,
che sta oltre l’esegesi proustiana. Perché dà lo spunto per riflettere sul tipo di risonanza che c’è tra
modello e creazione, tra vita e opera, tra la realtà e la sua trasfigurazione
nel tempo; non solo nella Recherche, ma in generale nell’arte e prima ancora e
soprattutto nella memoria.
I personaggi della nostra mente, che sono l’equivalente nel
ricordo di uomini e donne che abbiamo incontrato, sono immagini mentali quanto
quelle di un romanzo. La trasposizione è sempre e solo parzialmente fedele. Più
spesso contiene molto di arbitrario, di soggettivo. Il vissuto, le emozioni con cui li riempiamo,
come fossero mummie, corrispondono solo in parte e in modo distorto a quel
che furono gli uomini e le donne
reali come li abbiamo conosciuti. E ancor meno corrispondono a quel che sono
per loro stessi o per gli altri. Questo vale anche e più ancora per chi amammo o detestammo o con cui comunque
vivemmo le pagine più importanti e più dense di emozioni della nostra vita.
E vale anche per le cose. Per le stanze, ad esempio (a fianco, la stanza della zia Leonie a Combray). E' il sapore e il tono delle impressioni ad esser diverso, ad appartenere ad un
altro universo emozionale. Scopriamo con qualche sgomento che c’entra poco con quello
che ci siamo costruiti nel tempo e nella memoria.
Chi ha fatto l’esperienza di rientrare
a distanza di decenni nella casa dell’infanzia sa quali scarti persino di dimensione la
separa dalla casa del ricordo (sempre più grande che nella realtà) e quante
differenze di dettagli.
D’altronde, possiamo sperimentarlo, ogni nuovo racconto che
attinge dal ricordo del medesimo fatto finisce per essere diverso dai
precedenti. Anche se solo per dettagli, non è mai lo stesso racconto. Esattamente come ogni nuova rilettura dello stesso romanzo. Recherche in primis. Quando Proust afferma che "Ogni lettore, quando legge, legge se stesso" sa anche che ogni rilettura dello stesso testo è fatta da un "nuovo" lettore, diverso da quello della lettura precedente per tanti aspetti di personalità, sensibilità, formazione.
Allo stesso modo, nell’impronta emotiva che accompagna e determina la memoria delle persone e delle cose (e quindi anche delle storie, dei libri) con cui ognuno si costruisce il racconto di se, si inseriscono impressioni, facce, fatti, che vengono dal momento di vita che si attraversa. Tutti elementi che con l’oggetto memorizzato hanno un
legame contingente e labile o addirittura del tutto arbitrario. Un legame che solo
la nostra mente ha creduto di vedere o ha addirittura costruito, partendo da
percezioni e giudizi solo suoi. Un legame del quale comunque l’oggetto o la
persona reincontrata a distanza di tempo non possono conservare traccia e del quale forse non sono mai stati consapevoli. A
risentire dopo anni una voce o a
rivedere un volto è questo scarto che a volte ci sconvolge.
Le persone o gli oggetti
che ci hanno coinvolto meno, paradossalmente restano più fedeli al modello originale. Segno anche questo che è
l’intensità emozionale del nostro vissuto (come ormai le neuroscienze hanno ormai provato) a determinare le tracce più profonde. Più profonde di quelle delle rughe lasciate dal tempo sui volti.
D’altronde la stessa conclusione della Recherche non è che
una grande rappresentazione degli inganni del tempo e della memoria.
I materiali spuri che la memoria e l’arte usano per la
manipolazione sono tanti:
impressioni legate ad altre persone conosciute prima o dopo, che assimiliamo in virtù di più o
meno vaghe analogie; percezioni “autentiche”
del momento e percezioni successive estratte dal ricordo, che scava il suo solco
e scavandolo ne modifica corso e contorni, con una sensibilità che all'epoca
non avevamo ancora maturata, con idee che non conoscevamo. Incide tanto anche
la stessa consapevolezza di come si è
poi sviluppata ed è finita la storia che abbiamo condivisa con quella
persona. O che abbiamo vissuta in quella stanza.
Ed ha, com'è ovvio, il suo peso
anche l’interesse che abbiamo ad avvalorare il senso che ci vogliamo dare a quel
che è accaduto, alla nostra vita, a quella altrui.
Ecco, allo stesso modo, nella Recherche, ogni personaggio, ogni quadro, ogni stanza, ogni abito, ogni oggetto
di scena ha un ruolo preciso in una architettura di senso, di significati, di
anticipazioni e disvelamenti, di gusti estetici, di predilezioni e
idiosincrasie straordinariamente complessa, ma anche precisa, solida. E i dati della realtà vengono
manipolati, mixerati e sconvolti a servizio del disegno.
Anche in questo, l'arte e la funzione del romanzo di riprodurre e svelare i
meccanismi nascosti della realtà e della mente trovano in quel libro il loro compimento più alto.