"Non intendo fare niente per “L’amore molesto”, niente che comporti l’impegno pubblico della mia persona. Ho già fatto abbastanza per questo lungo racconto: l’ho scritto; se il libro vale qualcosa, dovrebbe essere sufficiente. Non parteciperò a dibattiti e convegni, se mi inviteranno. Non andrò a ritirare premi, se me ne vorranno dare. Non promuoverò il libro mai, soprattutto in televisione, né in Italia né eventualmente all’estero. Interverrò solo attraverso la scrittura, ma tenderei a limitare al minimo indispensabile anche questo. Mi sono definitivamente impegnata in questo senso con me stessa e con i miei familiari. Spero di non essere costretta a cambiare idea. Capisco che ciò può causare qualche difficoltà alla casa editrice. Ho grande stima per il vostro lavoro, mi sono affezionata subito a voi, non vi voglio arrecare danno. Se non intendete più assecondarmi, ditelo subito, capirò. Non è affatto necessario che io pubblichi questo libro."
Così scriveva all’inizio della sua storia di scrittrice ai suoi editori, il 21 settembre del 1991. Il patto iniziale di un Segreto che resiste. La lettera è pubblicata nel volume “La frantumaglia” in cui sono contenuti epistolari e interviste ed in cui sono usate anche pagine “di scarto” dei suoi due primi romanzi. Una gran bella lettura.
Il caso editoriale della Ferrante da sempre affascina lo scarabookkiante. E non per ragioni di pruderia mediatica. Oppure, se si vuole, per un tipo di pruderia diverso dalla comune curiosità del sapere chi è. Se è maschio o femmina, se starnona o starnazza. Su questo versante, leggere questo libro, peraltro non recente, ci ha convinto di alcune cose. Che sia una donna con una storia famigliare per la quale è ancora dolorante. Che sia di certo una donna di talento e buona cultura, con una non comune ed eppure femminilissima sensibilità. E soprattutto, che sia una persona che ha compiuto con consapevole ed esplicitate motivazioni una scelta editoriale e di vita con pochi termini di confronto. Un formidabile precedente, letterario e di marketing. Una scelta che ci piace molto. Anzi, moltissimo.
Come fosse un elenco, ecco le ragioni della nostra fascinazione per il Segreto della Ferrante.
È un segreto privato che resiste da vent'anni grazie alla solidità di una rete ristrettissima di complicità, affetto, generosità: solo una coppia di amici editori - questi signori qui a fianco - ed un commercialista sanno, pare. Chi si occupa della produzione editoriale della Ferrante comunica con lei solo via mail e tramite i due titolari della casa editrice. Caso raro, rarissimo.
I segreti pubblici in Italia si impaludano spesso nella complottologia, ma quelli privati hanno di solito il respiro corto. E le amicizie, i legami di complicità, specie se messi sotto pressione mediatica e mercantile, finiscono sempre per aprirsi in crepe e frantumarsi. Perchè qualcuno cede alla tentazione o per un difetto di attenzione, di efficienza, di professionalità. Qui non è accaduto o non ancora. Quasi un miracolo, a cui auguriamo lunga vita.
E’ un segreto che alla sua origine ha forse un narcisismo compresso fino all'annientamento o forse al contrario un sofisticato narcisismo ipertrofico, ma rivestito con superba e caparbia eleganza. La negazione dello snobismo e la sua sublimazione.
Di certo è un segreto che veicola un abominio delle insegne e dei rituali del successo non solo pubblicamente declamato, ma anche perfettamente lindo di ogni ipocrisia, perchè rigorosamente praticato. Niente premi, niente comparsate televisive, niente reading, niente copie autografate. Ed è un successo non meno goduto e consapevole; assaporato però nel ritiro, nell'intimo, nel silenzio, al centro della sua caotica città o in una deserta isola greca. Nella normalità di una vita di madre, di insegnante, di traduttrice o di chissà cosa. Un fenomeno quasi unico. Quanti autori all’opposto hanno sofferto come intollerabile il mancato riconoscimento pubblico del loro valore? In questi giorni ricorre il centenario della nascita di Giuseppe Berto. Il Male oscuro è uno dei più bei romanzi sulla depressione mai scritti. Berto soffrì in modo lancinante la mancanza del successo. Lo rincorse invano per una vita. E lo ottenne solo e molto parzialmente, postumo.
E’ un segreto che apre la nostra immaginazione a scene di questo tipo, per esempio. Immaginiamo una donna qualsiasi. Magari una delle donne che hanno ispirato uno dei personaggi centrali dei suoi romanzi. Immaginiamola a Napoli o in una sperduta e fredda città del nord. E osserviamola che passa davanti ad un libreria. Magari entra e prende anche in mano il libro: poniamo “L'amica geniale”. Non sa che quel libro racconta la sua storia e quella della sua famiglia, fin nei risvolti più intimi e privati. Quella donna, non essendo mai stata o non essendo più una lettrice assidua e non sapendo il nome vero di chi l'ha scritto (che a lei sarebbe fin troppo noto), finirà per rimetterlo a posto o per comprarlo senza leggerlo mai in vita sua, restando per sempre ignara. Forse per sua fortuna. Che questa sia una delle motivazioni del Segreto è dichiarato. Chi scrive rivendica e realizza le condizioni di massima libertà nell’usare la sua biografia e quella altrui, di fare letteratura usando la realtà senza condizionamenti e senza riguardi.
Oppure ancora immaginiamo un donna che ha compiuto un lavoro di scrittura così complesso, lungo duemila pagine, con trabordante passione e immergendosi in uno scavo interiore profondo e doloroso. E immaginiamola ora sedere in assoluto anonimato ed in silenzio in una libreria durante una delle tante presentazioni del suo libro, lasciando che a parlarne siano altri: l'editore, un critico, una giornalista. Imponendosi di non intervenire. Assorbendo critiche, elogi, interpretazioni con voluttuosa o tormentosa partecipazione, ma senza emettere suono, silenziosa e nel buio impenetrabile del suo Segreto.
E in ultimo e per chiudere, pensiamo alla la risoluzione tranchant, secca, che il Segreto rappresenta della vecchia querelle che oppose Proust a Saint-Beuve, sul rapporto tra la conoscenza dell'opera e la conoscenza della biografia e del pensiero di chi l'ha creata.
“Voglio chiederle questo: un libro è, dal punto di vista mediatico, innanzitutto il nome di chi lo scrive? la risonanza dell’autore, o per dire meglio del personaggio d’autore che va in scena grazie ai media, è un supporto fondamentale per il libro? non fa notizia, per le pagine culturali, che sia uscito un buon libro? fa notizia piuttosto che un nome in grado di dire qualcosa alle redazioni abbia firmato un qualsiasi libro? Io penso che la buona novella sia sempre: è uscito un libro che vale la pena di leggere. Penso anche che, di chi l’ha scritto, alle lettrici e ai lettori veri non importi niente......Tolstoj è un’ombra insignificante se va a passeggio con Anna Karenina.”