C.C. Baxter, una sera, in una casa di amici, insalottato per sfortunate circostanze, quasi
a forza, (non s’offre), soffre. Quando soffre diventa in/sofferente. E si sa la
in/sofferenza diventa a volte crudele. Quasi
come la verità.
Seduta al centro della scena c’era la Barbie stagionata e
carrieriosa, recentemente ascesa a capo del personale. Già in preda ad un raptus esibizionistico di auto
promozione. Non inconsueto.
I suoi sottoposti, mi sussurrano all'orecchio, la chiamano "Vol au vanto": per la passione per i rinfreschi, per la volatilità
degli umori e, appunto, per la persistenza del gusto di autoincensarsi. Con le
gambe impantalonate in bianco crema, intratteneva colleghi, ammiccando
complice alle loro mogli intimidite.
Narcisa e adrenalizzata da presenze che la
stimolavano (“uhhh il mio Presidente. Vederla fuor di ufficio sa che mi fa
emozionare?”), si esibiva. Ogni tanto trovava anche il modo di sorridersi addosso, chiedendo
“scusa per il cinemino”.
Accento torinese di seconda generazione con sfumature sicule. Capello tinto castano lucido, a caschetto. Collierino (“mio marito…. mi disse
che me l’ero meritata…però non vi posso dire come…”…..risatina). Sotto la
giacchina avvitante, camiciola con lo stemma nobile da 200€ (“….mio figlio, a
Londra….il suo primo regalo..”…. accenno di commozione). Anello largo 3 cm (come sarà ridotta la pelle, lì sotto?), costo 10 volte la
camicia, anche lì per onore alla firma (nobilitante acciaio). Scarpina bassa
color viola intenso. Con fibbia argentata! Occhiale ultimo grido, semitondeggiante su
viso spigoloso e dalle linee sghembe, quasi prognatico (quindi scelta rabbrividente,
imperdonabile, fosse solo per il fatto di esser lì solo a testimoniare la cecità del conformismo modaiolo). Ironie a raffica sempre sul confine del
sarcasmo. Autoironie autocommiserative a rinforzo implicito della autosantificazione
(“senza tette e con le gambe storte e il culo piatto, che volete?, o tiro la carretta o nessuno mi si fila. Oddio, quasi..nessuno” ...sorrisino malizioso). Tirata
antisindacale contro “i lavativi”, “gli smidollati”, “i parassiti del
sindacato”. Infine, annunciato dal tono tra il declamatorio ed il didattico, l’esplicita apologia di se. Impudica, a tutto campo.
Bella famiglia! Bella carriera! Che serenità! Che
soddisfazioni! Però “lavoro come una schiava”. Quanto entusiasmo! E i
sacrifici? E le lotte? E i sabotaggi dei “furbi”? Quante incomprensioni! E
poi gli uomini….”aahhh gli uomini”…. (“dietro
ogni grande uomo c’è una grande donna. Dietro una grande donna c’è solo una
grande donna: lei stessa”). E quanta cattiveria! Però non tutti gli uomini sono così, per
fortuna (occhiatina al Presidente)! Ma “io vado per la mia strada”. "Sbaglio a fidarmi troppo, questo si". “Orgogliosa
della mia vita”, altrochè!
A salvare lo scarabookkiante dall’esplosione di acida intolleranza è giunta la memoria, ipertrofizzata dalla passione per il cinema, che ha fatto affiorare questo dialogo de "La Grande Bellezza" di Sorrentino.
A seguire, un pensiero. L’epica dell’eroismo quotidiano e
il falso in bilancio esistenziale suscitano ormai ironie immediate e sacrosante quando
sono maschili. C’è tutta una letteratura paravirile ormai in rottamazione: quella che va dai ricordi di guerra alle scalate di
carriera; dalle avventure di caccia o di calcetto al “mi son fatto tutto da
solo” (una involontaria accezione di verità qui spesso c’è); dalla collezione di figa (qui, di solito, meno, per fortuna) a quelle di francobolli rari. C’è
ancora qualcuno che non sia un berlusconiano o non si stia ubriacando all’osteria
che osa sfidare le pernacchie con questi discorsi?
Chissà com’è invece, la stessa epica al femminile resiste.
Anzi, si gonfia.
In realtà il perché è abbastanza evidente. La tendenza
a comprimere il ruolo delle donne che
ancora c’è in giro oltre che essere un’ingiustizia produce almeno due danni che
sono anche peggio dell’ingiustizia.
Il primo è che fa scatenare le donne (non tutte, s'intende) nella corsa ad imitare i loro colleghi, per superarli nel praticare meglio di loro i loro peggiori difetti. Una donna in carriera per farcela deve essere mediamente più feroce (e quindi più stronza) del pari grado maschietto. E il parlar di se amplificando meriti è la caricatura di uno dei tratti peggiori della cultura maschilista, sul lavoro e non solo.
Il primo è che fa scatenare le donne (non tutte, s'intende) nella corsa ad imitare i loro colleghi, per superarli nel praticare meglio di loro i loro peggiori difetti. Una donna in carriera per farcela deve essere mediamente più feroce (e quindi più stronza) del pari grado maschietto. E il parlar di se amplificando meriti è la caricatura di uno dei tratti peggiori della cultura maschilista, sul lavoro e non solo.
Il secondo danno è appunto che la logica del lavoro-sacrificio-competizione-successo devasta la vita delle donne molto più spesso e molto di più di quella degli uomini. Per il fatto innegabile che sono vite di solito parecchio più complicate. Tralasciamo il fatto che le donne in carriera sotto l’illusione manageriale in realtà non di rado sono usate come capocommesse, si fa per dire, "di lusso" (modello Ferilli in "Tutta la vita davanti" di Virzì, tanto per restare al cinema).
Quel che è certo è che non si contano quelle che vivono una quotidianità da poverette: orari
impossibili, somma di ruoli difficili da conciliare, pregiudizi sessisti,
compressione emotiva permanente. La compensazione più facile per le più fragili e frustrate sta proprio nel
rispecchiamento esterno e nel raccontarla come fosse invece una vita da Regina.
Non a caso alla fine della scena del film l’effetto vira dalla rabbia
alla pena.
Il fatto è che dei loro racconti finiscono per
convincersi davvero. Al punto che neppure un Principe Azzurro può farcela (funzionano
male ormai anche con le Cenerentole autentiche). Ai tentativi di riportarli ad
una vita emotiva degna di essere vissuta reagiscono prima o poi con un rabbioso
disprezzo.
L’unico atto di vera
amicizia che resta è fare con donne così come fa Jep Gambardella: spiattellare la
verità. Che è crudele, a volte, si sa.
Come scrisse Dave Foster Wallace, “La verità ti renderà libero. Ma solo quando avrà finito con te.”
Come scrisse Dave Foster Wallace, “La verità ti renderà libero. Ma solo quando avrà finito con te.”
E allora, vai con la verità!
Il perfido scarabookkiante insalottato ha acceso l’ipad ed ha introdotto nella conversazione il filmato di youtube di cui sopra.
Il perfido scarabookkiante insalottato ha acceso l’ipad ed ha introdotto nella conversazione il filmato di youtube di cui sopra.
Divertiti
e perfidi consensi.
La poveretta in camiciola non ha fatto una piega. Si è subito schierata con Jep.
“Io ho orrore della politica. Le
donne così sono la rovina del genere femminile”.
C.C.Baxter