Nell'età della preistoria dell’uomo che poi chiameranno
Paleolitico, quando mancava qualche millennio alla prima Grande Glaciazione, quando il fuoco stava per essere scoperto, ma non c'era ancora e l’unico utensile era
una pietra affilata, gli uomini vivevano cacciando e raccogliendo uova,
bacche, erbe, frutti. Non sapevano comunicare: i suoni
che erano capaci di emettere non erano molto diversi da quelli che emettevano tutti
gli altri animali che li circondavano e da cui spesso erano sopraffatti.
Vivevano isolati o in piccolissimi gruppi di composizione casuale e variabile,
senza che tra di loro ci fosse alcun rapporto. Ognuno per conto suo e tutti
potenzialmente contro tutti. Il principio “mors tua, vita mea” aleggiava al disopra delle loro menti inconsapevoli, come l’unica legge, naturale, vigente. Se la notte dovevano difendersi dalle intemperie e dal freddo, usavano di preferenza una grotta.
Quando al mattino tornava la luce uscivano per
procurarsi un animale di cui nutrirsi. O per raccogliere qualcosa dalla
foltissima e selvaggia vegetazione che li circondava. Quando la sera
ritornavano, non sempre erano tutti e gli stessi che ne erano usciti al
mattino, ma la situazione dentro era quasi sempre più o meno la medesima.
C’era il più bravo: si era procurata la selce migliore e l’aveva
affilata bene; aveva un fiuto formidabile per scovare le prede più innocue e le
radici più nutrienti; era più agile nell'arrampicarsi sulle piante per sfuggire
agli animali pericolosi e cogliere i frutti più buoni. Era anche il più
intelligente. Aveva capito senza essere capace di dirselo, che era saggio mettere
da parte qualcosa nei giorni buoni per sfamarsi quando non si poteva neppure
uscire dalla grotta. Aveva scavato una piccola fossa poco lontano dalla grotta
e ci nascondeva quel che gli avanzava dal pasto. Poi c’era chi ancora campava
alla giornata e a stento ce la faceva. E c’era chi, per debolezza fisica, poco
cervello e troppa paura rientrava nella grotta sempre a mani vuote e per questo
pativa, inerte e rassegnato, una sorte dolorosa di fame e malattie.
Il più forte, la sera rientrava sempre per primo nella
grotta. Si metteva vicino all'uscita, in un anfratto della roccia, nel posto
più protetto, dal quale per primo vedeva il lucore dell’alba e per primo quindi
usciva. Da lì, per primo poteva scappare se un animale faceva irruzione. Il
secondo, quando rientrava, non sempre sazio, si metteva nel posto a fianco a
quello che trovava sempre occupato; cercava di tenere d’occhio il più bravo per
seguirlo ed imitarlo in caso di pericolo. Per ultimo rientrava il più debole,
che andava nell'ultimo spazio rimasto, verso il fondo della grotta, dove il buio era impenetrabile e dove a
fatica distingueva l’ingresso e le sagome degli altri seduti alla sua destra.
Era il primo ad essere ucciso se una fiera irrompeva.
Una sera il primo rientrò trascinando un grosso animale ucciso, gli
staccò una coscia, appoggiò il resto sul suo fianco destro e iniziò a sbranarla.
Il secondo tornò più tardi, dopo una giornata in cui era riuscito a rimediare solo
qualche piccola mela e guardava affamato il ricco bottino del suo
vicino. Il terzo, rientrato per ultimo, avvolto dall'oscurità, si contorceva
per gli spasmi causati da certe radici malefiche che aveva raccolto e con cui
aveva tentato di riempire uno stomaco vuoto ormai da giorni. La sera successiva
non rientrò.
Qualche sera dopo arrivò nella grotta uno nuovo, anche lui affamato. Osservò la preda che ancora giaceva ai piedi del più
forte e fece due passi in avanti per tentare di staccarne un pezzo. Il più
forte reagì spostandolo e guardandolo minacciosamente. Quell'altro si chinò a
raccogliere la selce che aveva lasciato cadere a terra e si preparò all'attacco. Quello che stava in mezzo, che quel giorno qualcosa aveva mangiato,
tentò di interporsi forse per tentare di guadagnar qualcosa anche lui, forse solo
per la paura di essere attaccato a sua volta.
Questa era dunque la situazione. Il nuovo venuto reclamava il cibo, con i gesti dettati dalla
fame, senza essere capace di nessuna altra forma di comunicazione. Il suo proprietario lo difendeva. Il terzo tentava di arraffare qualcosa ed evitare il pericolo di una carneficina.
Quei tre non lo sapevano, ma quella sera era nata la politica. Per l'inizio della Storia bisognerà aspettare anche a lungo, ma la politica era già nata.
E continuerà ad esistere almeno finché gli uomini avranno bisogno di procurarsi e dividersi i mezzi per
sopravvivere.
Ci sarà sempre qualcuno seduto a destra che ne avrà in
eccesso, qualcuno a sinistra che non ne ha e qualcun altro che sta
in mezzo.
Niente politica, niente società. Perché la necessità della gestione
delle risorse e dello spazio è ineludibile e nasce prima del formarsi stesso della comunicazione e della società.
La disposizione degli uomini nello spazio tra di loro e
rispetto alle risorse disponibili e l’attribuzione
a questa disposizione di un significato concreto e insieme convenzionale e simbolico, a sua volta, precede e prepara la nascita della politica.
Morale: chi sostiene che la politica è finita e destra e
sinistra sono convenzioni superate, che non hanno più significato, pensa di essere alla frontiera della modernità e invece è un uomo della preistoria. Forse è il discendente
di quello interessato solo a tenersi ben stretta la sua preda e a non condividere niente con nessuno; a lui di tutto il
resto, degli altri men che meno, non gliene importa niente, come quella notte in quella grotta. Oppure, se non è lui, è qualcuno che si trova ad
un livello di non consapevolezza e di ignoranza risalente ad un’epoca addirittura anteriore a quella notte. E' un preistorico del secondo millennio: vive in un
paleolitico più profondo e disperatamente più buio, come nel fondo di quella
caverna.
Anche lui ad un certo punto, semplicemente, sparirà. Sarà
il primo a soccombere. Come allora, come sempre.