Qualche anno fa su una rivista leggemmo una notizia su un
signore, un artista, che “soffre della sindrome da arto fantasma: ha dolori atroci alla gamba che però gli è stata amputata.
Ecco la sua storia. «Arte
e dolore. Questo il binomio che ha caratterizzato la mia vita negli ultimi 13
anni. A partire dall’agosto del 1999, l’anno in cui mi amputarono la gamba sinistra appena sotto il ginocchio,
sia l’arte sia il dolore cronico sono entrati di forza nella mia vita. Spesso
mi ritrovo a pensare che se il banale incidente, poi degenerato a causa di
medici disattenti, non avesse cambiato la direzione della mia vita, oggi non
sarei un artista con quadri esposti in mostre temporanee alla Biennale di
Venezia, in Cina, Montecarlo e Milano.”
La storia degli amputati di una gamba o di un braccio, che
continuano a sentire dolore all’arto che hanno perduto ci ha sempre inquietato
e suggestionato. Uno strano effetto. Chissà perché in questi giorni di inizio
anno ci é tornata in mente.
Da una parte è una cosa che sgomenta perché mette davanti ad un
dolore irrimediabile, "cronico" dice lui. Un dolore che proprio
perché senza oggetto non ci se ne libera mai; può ripresentarsi in qualsiasi momento. Per un
caso. Perché è cambiato il tempo. Perché qualcuno ti dà un colpo proprio lì.
Perché qualche altro malanno ti ha debilitato. O perché una notte non riesci a
dormire. O per nessuna ragione individuabile. L’oggetto è virtuale, ma il
dolore è reale. Terribile. Non c’è cura. Cosa vai a medicare? Funziona una
pillola contro un dolore fantasma?
A sentirli verrebbe da nutrir dubbi se sia poi tutto vero. Davvero può far male qualcosa di te che non esiste più? Basta davvero solo la sua stringa virtuale nel nostro software mentale per procurare dolore?
Deve essere per forza così, però. D'altronde spesso questa é
gente, come in questo caso, assolutamente
affidabile. Uomini che non si stanno piangendo addosso. Col tempo hanno
imparato a far a meno del pezzo di se che hanno perduto. Camminano. Scrivono. Dipingono,
appunto. Capita anzi, come a questo artista, che proprio per conseguenza della
menomazione abbiano sviluppato abilità
speciali che altrimenti forse sarebbero rimaste latenti e ignote.
Poi, di solito, questa è gente dura. Alla storia che il dolore
migliora il carattere non abbiamo mai creduto, ma che lo indurisca forse è vero.
D'altronde anche a livello fisico è così. Dove hanno subito
l’amputazione e dove magari hanno messo una protesi pare si formi un callo, una scorza che li protegge e impedisce il riaprirsi
della vecchia ferita; e che rende più
difficile anche il formarsene di nuove. Come nel fisico anche nella mente forse
è vero che sono più forti. O almeno, più forti di prima e di tanti altri che non sono
passati per prove così.
Quindi, come si fa a non credergli se all’improvviso dicono che
gli fanno male ("dolori atroci"), che so, le dita mancanti? Dita che sono diventate
polvere o cenere o che stanno marcendo in chissà quale discarica da chissà
quanto tempo. Sembra incredibile, anche se la scienza ha dimostrato com'è che si spiega, qual è il meccanismo.
E come si gestisce un dolore così? Gli argomenti della ragione
valgono se non a lenire almeno a dare forza di sopportazione, a resistere? Chissà
se vale dirsi che ormai l’arto era andato in cancrena. O che fin dall'inizio
gli aveva dato problemi, sofferenze. Che l’amputazione obiettivamente è stata una liberazione. Che è assolutamente
certo che in qualunque altro modo (ma proprio qualunque) fosse finita è certo che sarebbe stato un modo
peggiore. La sostanza è che adesso, qui e ora le dita non ci sono più e fanno
male.
Una cosa ci colpisce in questo signore: c'è rassegnazione in
quello che racconta. Anzi, meglio, c'è accettazione. D'altronde, ci sono dei
dolori molto più comuni che tutti sono destinato a portarsi addosso per tutto
il resto dei giorni da vivere. Prendi certe emicranie. O certi mal di schiena.
Per non parlare dei mali dell'anima, del gaddiano "male oscuro".
Non vale mai recriminare sugli errori (nostri e dei medici disattenti a cui ci
siamo affidati) con cui ce li siamo procurati. Comunque sia andata bisogna accettarli. Da una certa età in poi
il medico cosa ci dice alla fine sui nostri doloretti? Ci dice che "bisogna conviverci". E questo
bisogna fare. Vale anche per il dolore fantasma.
Dall’altra parte, inutile negarlo, questa cosa del dolore
fantasma, proprio per sembrare una cosa assurda, ha anche qualcosa di ridicolo.
Tanto più se l’amputazione è vecchia di anni. E tanto più se chi ancora se ne
lamenta è un uomo grande e grosso. Uno che ha saputo ricostruirsi la vita ed ha
saputo cambiarla in meglio, tirando fuori il meglio di se proprio sulla spinta
della sua disgrazia. E poi che fa? Ti viene a raccontare di un dolore causato
da un fantasmino anatomico? Qualcosa che non esiste più da così tanti anni che magari si
contano a decine. Tanto che più passa il
tempo più sembra quasi impossibile che sia mai esistito; come un bimbo abortito
e buttato senza neppure la pietà di una
sepoltura in qualche inceneritore.
Fantasticandoci sopra pensavamo a cosa si dice ad una persona
che si lamenta di un dolore di questo tipo. Non bisogna scordarselo, che di
dolore vero si tratta. Bisogna stare attenti a
conservare almeno la capacità della umana condivisione. Noi per comodità
e per il gusto evocatorio dell'espressione continuiamo a chiamarlo "dolore
fantasma", ma, lo abbiamo detto, non è affatto così: la parte di se che
duole sarà anche un fantasma, ma il dolore è reale. E allora si può solo
tentare in qualche modo di mostrarsene partecipi, di comprenderlo, di prenderlo
con noi ed esprimere l'affetto, la solidarietà, l'empatia che si deve a
qualsiasi persona che soffre.
Senonché in questi casi la tentazione di ricorrere alla
sdrammatizzazione, all'ironia è forte. Anzi, su un dolore fantasma viene anche
più facile , proprio per quel tanto di assurdo e quindi di comico di cui s'è
detto. Chi vive quella situazione ha imparato col tempo ad accettare anche
questa che in fondo è un altro aspetto della sua solitudine. Forse all'inizio ci
soffriva. Forse si arrabbiava. Specie se i primi a scherzarci sopra sono stati
quei "medici disattenti", quelli che l'amputazione l'hanno provocata
o decisa; perché era inevitabile forse; o per mancanza di attenzione. E che poi
si sono forse difesi, poveracci anche loro, dal senso di colpa nel più classico dei modi, con
l'indifferenza, vera o simulata che sia. Per puntellarla, l'indifferenza, cosa c'è di meglio che buttare tutto sullo
scherzo, sminuire, ridicolizzare con modi gentili?
Ci sta anche che lui stia al gioco. Se lo fa però,
in bocca c'è dell'amaro di sicuro. Col tempo ha
imparato ad accettare anche l'ironia, l'indifferenza e forse persino lo scherno. Per chi è abituato a tollerare il dolore, quello vero, anche se
lo chiamano fantasma, tollerare il
resto è un gioco da ragazzi.
Oppure forse si limitano ad un'alzata di sopracciglia, un accenno di sorriso ed un silenzio triste. Poi tornano a dipingere.
Buon '19.