Che abbiano dato il Nobel a Ishiguro non
sorprende lo scarabookkiante. E quel tanto di inaspettato che c’è in questa
decisione non può che rivalutare il premio e chi lo assegna. Questo romanzo l’abbiamo non solo letto e riletto
negli anni, ma anche regalato ad amici che ritenevamo rischiassero di incorrere
nel triste destino di Mr Stevens. Perché è di qualcuno che ci vive accanto che
ci parla, nonostante la storia si svolga quasi tutta nella prima metà del secolo
scorso.
Il romanzo lo scrive in prima persona, Mr. Stevens; ci racconta la sua storia. Ha davanti
quel che resta del giorno, la sera della sua vita; e lo rode, sotterraneo e inconfessato,
il sospetto di aver sbagliato tutto. A questa ricostruzione è spinto dal fuoco
soffocato, ma che gli brucia ancora dentro di un sentimento. Verso una sua
vecchia collaboratrice, che un giorno decise chissà perchè di andar via.
Quella fu in realtà una delle tante cose belle che ha lasciato
andare e sacrificato al lavoro senza neanche dirselo.
E’ sorpreso dall'avvertire una sopravvivenza di quel legame, Mr Stevens. Cerca di gestirlo dandogli il senso di un ripescaggio professionale. Decide di regalarsi il primo viaggio di piacere della sua vita e andare a sentire se vuole ancora lavorare con lui, sotto il suo nuovo padrone americano. Siamo subito dopo la fine della seconda guerra mondiale.
E’ sorpreso dall'avvertire una sopravvivenza di quel legame, Mr Stevens. Cerca di gestirlo dandogli il senso di un ripescaggio professionale. Decide di regalarsi il primo viaggio di piacere della sua vita e andare a sentire se vuole ancora lavorare con lui, sotto il suo nuovo padrone americano. Siamo subito dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Ma è con la sua esistenza dedicata al lavoro, con
il modo in cui l’ha usata, con i fatti piccoli e grandi che l’hanno riempita che
deve fare i conti. Lo fa in modo sommesso. E anche con il senso di straniamento
che gli procura una emozione che riemerge in modo così inusitato, resistendo ad
una prassi di negazione che ha perfezionato negli anni.
E allora ricorda, ricostruisce, cerca di
capire.
La luce del suo racconto è appunto quella della sera, della malinconia
dolce, composta e rassegnata di qualcosa che va a finire. Tutta una vita e soprattutto
un modo di viverla scorrono con sullo sfondo un tramonto. Da una parte affiora
la speranza che forse gli resterà il
tempo di recuperare qualcosa di buono che ha trascurato. Dall’altra c’è la consapevolezza che la luce migliore, quella
del giorno, della piena forza della vita e dei sentimenti l’ha sprecata, forse irrimediabilmente.
Kazuo Ishiguro |
E’ difficile infatti immaginare per questo
personaggio una prosa più corrispondente. Calza come un guanto, trasmette assoluta
armonia tra forma e sostanza. In una nobile dimora inglese del novecento non si
può che parlare così. E che a scrivere così sia uno scrittore britannico solo di adozione non fa che
innalzarne i meriti.
Ishiguro ha centrato il suo romanzo sulla figura di un
maggiordomo. Il maggiordomo, insieme con il fattore, è stato l’alter ego
storico del padrone pre-capitalistico. Era il primo esecutore del suo modello
di conduzione della casa, come il fattore lo era delle sue terre. Esattamente
come i manager lo sono delle moderne società del capitalismo finanziario. Era
il responsabile dell’organizzazione domestica finalizzata al raggiungimento di quello che era il valore fondamentale e
indiscutibile di quella organizzazione e cioè il benessere del padrone e della
sua famiglia. Esattamente come il manager è il responsabile di tutta o parte
dell’organizzazione dell’azienda capitalistica, il cui obiettivo fondante è la
produzione del valore economico, del profitto. In tutti e due i casi non
importa chi è il padrone e cosa fa o produce, se ammicca ai nazisti o è un laburista,
se fabbrica giocattoli o armi, se
discrimina i dipendenti sulla base della razza o ha una concezione sociale dell’impresa.
Per il maggiordomo come per il manager la sola cosa che conta è fare bene il
suo lavoro, raggiungere l’obiettivo dell’organizzazione di cui è parte e dunque
essere professionale. Tra gli obblighi professionali c’è anche quello di stare sempre
dalla parte del proprio padrone. Tutto il resto non conta o viene dopo.
Non è quindi un caso se il filone culturale del nostro tempo che ha
conservato l’identificazione medievale (spacciandola peraltro come una modernità) con il proprio ruolo lavorativo, fino fare della professione
e della professionalità dei valori esistenziali,
una ragione di esistere, il perno attorno a cui deve ruotare tutto il
quotidiano, tutta la vita, sia proprio il filone della cultura del managerialismo, della
manualistica manageriale anglo-americana
o derivata da quella.
Sta propagando un modo di vivere con tale
potenza egemonica che chi lo adotta, come accade a Mr Stevens, ne resta inconsapevole, perché finisce
col vederlo come l’unico possibile, come
un fatto scontato, ovvio, naturale, prima ancora che giusto. E così il lavoro e
la funzione svolta nel lavoro diventano un fondamento implicito della vita e
della personalità non solo sociale, ma anche della personalità come viene
autopercepita. L’immagine che la funzione svolta sul lavoro gli restituisce è esattamente l’immagine che Mr Stevens ha di
se; è lo specchio in cui si vede riflesso ed è l’unico modo che ha per vedersi e per sentire di essere bravo, di valere qualcosa come essere
umano. Che gli serva anche da guida per
gestire se stesso, le sue decisioni, le sue emozioni è solo una conseguenza.
Anche il rapporto che lega il maggiordomo di Ishiguro al suo
padrone è lo stesso dei moderni manager. Quando gli sta morendo il padre,
quando sente l’amore di una donna che bussa alla sua porta, quando sente l’orrore
del nazismo entrare nel salotto della casa in cui è il primo servitore, è dall’alto
della scala delle priorità poggiata sulla sua professionalità che lui guarda e sceglie.
Procurare benessere al suo padrone così come oggi per il manager produrre profitto per l’azionista
è l’unica legge etica che ritiene legittima e riconosciuta. Di conseguenza, non può che scegliere di
mettere non solo le emozioni ed i sentimenti, ma anche quelle che potrebbero
essere le sue opinioni ai margini della
propria mente e della propria giornata, rimandate anche quelle alla sera della
vita, a quel che resta del giorno.
Cosa accade quando la fine del giorno arriva lo
lasciamo al piacere della lettura.