I discorsi sulle regole nella gestione della cosa pubblica e non solo, in Italia sono così infestati dai luoghi comuni da rendere ormai chiaro che è così per malafede. Per svuotarli di senso, i discorsi. E per continuare a eluderle, le regole.
La tecnica principe e il principe dei luoghi comuni in materia è legare con vincolo indissolubile le regole all’etica.
E la formula di rito è più o meno quella per cui “per far in modo che si rispettino le regole bisogna far crescere l’etica pubblica e privata”. Qualcuno aggiunge: “si dovrebbe cominciare dalla scuola”. Il rispetto delle regole diventa così una questione di “sani princìpi”, di formazione, di buona educazione. Diventa una questione morale. Anzi, La Questione Morale.
Una formula apparentemente ineccepibile e piena di buone intenzioni, che nella realtà assume il ruolo del palo in una banda di rapinatori. Segnale del male in atto e non sua terapia. Sembra un gioco delle parti. O una divisione dei compiti: c’è chi ruba e c’è chi predica e comizia di etica. Il resto che c’è da fare lo fanno i giudici. La doppia matrice culturale della prassi è palese. Il comune vizio di ipocrisia, altrettanto.
Nel resto del mondo il rispetto delle regole è affidato ad un sistema fatto di tre semplici cose: formulazione chiara, controlli efficaci, deterrenti convincenti. E soprattutto dietro c’è l’idea che l’etica individuale, di norma, consegue e non precede l’adozione di regole socialmente condivise e protette da adeguati meccanismi di applicazione. L’etica individuale si forma cioè adottando un sistema che con la prassi e la dissuasione rende più facile e più conveniente rispettare le regole che violarle.
Dunque anche il terreno principe del malcostume in Italia, l’anomalia della corruzione pubblica italiana (un problema da 60 miliardi di euro/anno, come documenta il rapporto UE di ieri) deriva dalla mancanza di un sistema istituzionale e amministrativo adeguatamente protetto.
Un problema di organizzazione. Non un problema morale.
Lí sta anzi il trucco: collegare all'incontrario il rispetto delle regole del "buon governo" all’adozione individuale prima e collettiva poi di un’etica, dall’aver capovolto i termini di consequenzialità. Serve solo a coprire il fatto che le regole amministrative sono complicate e non funzionano. Che i controlli non ci sono o non sono efficaci, per cui i rischi per chi viola sono legati solo all'azione esterna, parziale e spesso strabica della Magistratura. Ci si lava nobilmente la bocca e forse la coscienza e ci si garantisce che tutto resti com'é.
Di certo, col problema, non c'entra nulla quella sequenza micidiale di luoghi comuni a cui si ricorre di solito: il carattere degli Italiani, la natura degli Italiani, la storia del Nostro Paese. La verità è che quando le norme sono chiare e ben presidiate funzionano in Italia come e forse più che altrove. Chi avrebbe mai scommesso sull’efficacia della normativa antifumo? O dell’adozione del casco e delle cinture di sicurezza? Tanto per stare ad esempi banali. E non è certo un caso che altri esempi di buone regole ben applicate siano difficili da incontrare nel campo dell’ amministrazione della cosa pubblica.
Che è proprio il campo in cui non a caso è nata e si è gonfiata la retorica insopportabile della Questione Morale.