domenica 17 settembre 2017

Brothers di Yu Hua

Appartiene a quel genere di libri che fanno male. Specie se si ha una particolare  sensibilità per la voce narrante dei bambini quando raccontano, come Brothers, i grandi orrori della storia; oppure  anche   quando parlano delle ordinarie crudeltà che si consumano in famiglia. Toccano qualcosa dentro e straziano. In qualche caso, in questo caso, scatta anche  la rabbia.
Due ragazzini svegli, simpaticissimi  e pieni di vita in un piccolo paese della sconfinata campagna cinese alle prese con la tragedia della Rivoluzione Culturale. Una ondata di violenza paragonabile a quella prodotta dai grandi totalitarismi europei (a cui d’altronde quello cinese è assolutamente assimilabile). Milioni di morti, violenze inaudite, distruzione irreparabile di un patrimonio culturale di libri, monumenti, conoscenze. La storia, questa storia,  entra nella loro casa e loro nella vita e gliele devastano.

Yu Hua descrive tutto con un vocabolario essenziale, come può essere quello di un bambino. E con una leggerezza e una immediatezza di percezioni che emozionano. Ne vien fuori  una potenza tale  da costringere in certe pagine a  fermare la lettura per smaltire l’angoscia. Si lotta con le lacrime.
Comincia come un libro divertente (le prime pagine sono bellissime) e riesce a conservare  quel registro di comica leggerezza sullo sfondo anche degli snodi  più terribili della storia che racconta. La morte e il funerale  del padre sono indimenticabili. Come d’altronde il racconto dei giorni che seguono l’uscita dall’ospedale della madre.
E’ proprio l’assenza di eco, di effetti voluti che le rendono emozionalmente così forti e devastanti. 

Qualcuno ha parlato, per stile e tono narrativo de La vita è bella. Ma lì era un adulto che traduceva e rendeva divertente e tollerabile in un linguaggio-bambino l’orrore di un campo di concentramento, restituendone il senso.  A me è venuto piuttosto da pensare a “Essere senza destino” di Imre Kertesz dove è un bambino appunto che guarda e racconta l’orrore della Storia con l’attaccamento indifeso alla vita e lo spirito intasato del dico come modo di vivere la realtà che hanno i bambini. 
  
E veniamo alla rabbia. C’è stato nella nostra parte del mondo, chi ha subito la fascinazione folle per la Rivoluzione Culturale:  i libretti rossi, lacinaèvicina, il comunismo in versione maoista (come non ci bastasse già l’ingombro di quello sovietico). E chi è vissuto nelle scuole  e nelle università degli anni ‘70 non se li dimentica. La loro arroganza, la cecità dell’ignoranza con cui rivendicavano da lontano una folle appartenenza. Fosse un reato lo chiamerei millantato discredito; uno dei tanti casi in cui tanta parte della sinistra italiana ha tentato di darsi una identità finendo per chiudersi in una gabbia (dove ancora se ne trovano i poveri resti, peraltro). Ecco è a loro che consiglio la lettura di questo romanzo. Mi sembra un ottimo modo per fare un doloroso esame di coscienza e per espiare almeno con qualche lacrima una colpa rimossa o dimenticata con troppa leggerezza.