lunedì 4 aprile 2022

La distruzione di Dante Virgili



Il romanzo ha la forma di un flusso di coscienza e va ben al di là in un delirio cupo, disperato. E' punteggiato da immagini apocalittiche, di distruzione globale (con visioni profetiche, visto che è stato scritto nel ‘57: i grattacieli di New York in fiamme, l’incubo trasposto in speranza della guerra nucleare), e scene reali e fantasmatiche di pura brutalità, soprattutto sessuale. L’energia vitale del protagonista-narratore è fatta per lo più da ansia di rivalsa e di vendetta; sia storica (è dichiaratamente nazista) che personale (per la condizione in cui vive di povertà e di marginalità sociale). Il sentimento espresso dominante è la nostalgia malata. La percezione del presente è fatta di desideri frustrati, degrado, bassezze umane, monotonia, cupio dissolvi. Tutti prodotti della decomposizione del passato e dell’avvelenamento permanente dei pensieri. E il veleno, il vero sentimento di fondo,  è l’odio. C’è odio verso gli altri, c’è odio verso la propria vita e verso gli oggetti del proprio desiderio: le donne, la ricchezza, il potere, la cultura dominante capitalistica e quella antagonista comunista, gli esiti della storia con la sconfitta di Hitler (per il quale prova venerazione), la vita in generale e soprattutto quella che immagina venga vissuta e goduta dagli altri, dai ricchi. Nulla si salva. Nemmeno la madre, colpevole di avergli dato un aspetto fisico di cui si vergogna e che lo penalizza nella competizione sessuale. Fa pensare a  Houellebecq su questi come su altri aspetti. Su ogni cosa che lo circonda fa aleggiare il male: lo stare male e il volere il male.


La prosa è frammentaria, nervosa; riflette questo sfacelo mentale. La punteggiatura è ridotta al minimo e usata spesso in modo arbitrario. Nel tempo della narrazione, presente, passato e futuro sono fusi e difficili da distinguere. Le  fantasie, le ricostruzioni storiche, i ricordi e le allucinazioni irrompono nel racconto del reale e si ritirano senza interpunzioni. I pensieri, una specie di singhiozzo mentale, invadono la descrizione della scena e i dialoghi. Ne viene fuori una narrazione continuamente distorta, deviata, interrotta. Anche con continue inserzioni di frasi in tedesco:  senza un traduttore dentro l’app di lettura è ancor più difficile da leggere.


Lettura terribile, dunque. Fuori di sicuro da ogni lista di libri da consigliare. Eppure un romanzo che  senza essere un capolavoro ha una crudezza espressiva, una immediatezza, un intensità che tengono attaccati alla lettura. La voce narrativa, il tono del racconto, l’atmosfera che ci si respira dentro hanno qualcosa di magnetico. È una mostruosità anche in questo senso: un romanzo dai contenuti e dalla forma che più respingenti non si potrebbe, ma che  cattura il lettore; lo ammalia con la cupezza;  lo fa pensare mentre lo inorridisce. Scava fino a mostrare le radici dell’umano sentimento  dell’odio e delle forma che può assumere nel nostro tempo. Anche in questo senso, romanzo di una attualità straordinaria. 


La prefazione di Roberto Saviano è molto interessante. Quella  si può consigliare a prescindere dal romanzo. E nella prefazione ci sono anche  alcune indicazioni per affacciarsi in generale sulla letteratura dell’odio. 

La scrittura dell’odio è stata ed è  ancora in certi casi una scrittura di qualità,  di alto livello letterario e di anche di grande profondità. Che illumina aspetti dell’uomo e della società importanti. Senza fare paragoni, scrittori dell’odio sono stati Baudelaire e Celine o anche,  in certe pagine, tra le più belle,  anche il nostro Gadda (si pensi a Eros e Priapo, ma non solo).

Si fa tanto un parlare di odio, di haters, si studia quello becero e schermato dei social. Qui c’è l’odio vero, portato alle sue estreme conseguenze esistenziali, che nasce dalla profondità del dolore di esistere, che impregna la vita, la distorce. Dunque, lettura tutt’altro che inutile. Di sicuro, non banale.


L’odio,  in Virgili, sottende disperazione, vitalismo frustrato e soprattutto, la percezione del vuoto che circonda e segna l’esistenza quando crolla ogni fede. Distruzione significa annientamento, andare verso il niente. Il bersaglio dell’odio è l’Altro; ma l’Altro è solo qualcuno o qualcosa che, per il fatto di essere fuori di noi e davanti a noi, ci riflette l’immagine di quella vacuità, del niente che ci portiamo addosso e che ci accomuna. Per dire la percezione opposta (e nel libro questa cosa viene fuori in modo esplicito, anche se sotto forma di disprezzo e di nostalgia insieme), bisogna pensare alle visioni religiose, al sentirsi fratelli in un qualche dio che sostituisce quel nulla, che ci vuole accomunati tutti in un processo di creazione e poi di salvezza dal nulla. Senza le religioni dobbiamo essere capaci di pensare stando affacciati senza rete sul quel nulla. Lo dice bene Ferruccio Parazzoli, ex dirigente della Mondadori che di Virgili fu interlocutore  “La religione è proprio questo, no? Io ti do il punto fermo al quale tu ti aggrappi e non guardi giù. Però, il guardar giù… è come quando si sta in montagna… guardare l’abisso è affascinante come guardare le vette, con la differenza che io non mi sento spuntare le ali se guardo la cima di una montagna, me le sento spuntare se guardo di sotto” (da Cronaca della fine di Antonio Franchini). In questo modo di sentire,  l’alternativa sembra essere tra “l’Assoluto o l’Assurdo”.


È consapevole, e lo scrive, Virgili, che il punto doloroso, il fatto inaccettabile è la coscienza della inevitabilità della morte e della dissoluzione. Il suo problema è il tempo. “Tutta una faccenda giocata sul tempo. Sul tempo. La labilità delle vicende umane a quali tenui fili è sospeso il destino della storia”. E’ da lì che si genera il vortice mentale che lo risucchia e in cui vorrebbe far precipitare con lui tutti e tutto. La distruzione è l’estremo tentativo di affermare una volontà, di esercitare la potenza. Questo,  mentre cresce la coscienza (sempre vissuta come una malattia, una degenerazione) che è una illusione, che è tutto vano, perché in realtà non ci sono scelte, non possiamo decidere niente. Il vuoto incombe, ci possiede e ci imprigiona in una piccola bolla spazio-temporale: “Noi siamo trascinati da una forza irresistibile mai neppure un istante siamo padroni di decidere”

E’ questo che fa precipitare nell’odio e nella distruzione : “NON DEV’ESSERE COSÌ ANNI DI VITA sempre più brevi poi un cumulo informe divorato dai vermi. In questi pochi passi che mi separano dal margine in questo residuo di respiri e di battiti tutto è LECITO“.


Quindi,  è da questo nodo che si genera il cortocircuito sessuale e sadico che attraversa tutto il romanzo.  La perversione del potere incontrollato e violento sulla donna e sull’oggetto del desiderio è la conseguenza di questa consapevolezza della morte e dell’annichilimento. Eros d’altronde è la spinta a fondersi con l’altro; e questo, in una visione in cui il nulla è l’unica idea che vince e che resta, significa assumere il potere di nientificare, come una rivalsa o un esorcismo e diventa un estremo atto di perversa comunione. Una comunione cercata ed esercitata attraverso il potere ed una gerarchia che nelle società democratiche secondo Virgili è regolata dal denaro. Leggendo certe pagine, come quella della Villa dei misteri viene da  pensare al Pasolini delle 120 giornate di Sodoma. Ma l’aspetto della mercificazione e dell’asservimento, dell’esercizio del potere sui corpi che in Pasolini era inquadrato in una prospettiva storica e letto in una interpretazione marxiana, qui assume il valore di una perversa compensazione esistenziale e di una disperata rivendicazione vitalistica,  l’ultimo grido selvaggio prima del nulla.


Le pagine finali  sulle logiche della dissuasione nucleare che sembravano  regolare nel ‘57 come ancora oggi l’equilibrio mondiale dell’era atomica sono lucide, attualissime. 


"l'uomo non agisce per il proprio interesse anche se lo conosce se sa dove sta. Batte un’altra via quasi sempre, quella del piacere o del rischio o dell’avventura. Ma stavolta c’è il fatto nuovo. Deve cambiare se non vuole essere annientato. Forse da quando è cominciata l’era atomica inaugurata dagli americani il suo comportamento si è fatto più ragionevole? Ancora più evidente il fallimento della ragione. Ci occorrono armi nucleari per difenderci da un eventuale aggressore. Ma quanto più aumenta la nostra capacità di difesa tanto più cresce la possibilità di distruzione. Ed ecco la proliferazione delle atomiche. Altri stati le otterranno. Allora. Potrebbero correre il rischio di una guerra a tutti i livelli, nulla di più probabile che i nazionalismi risorgano, o le piccole potenze potrebbero TRASCINARE LE GRANDI. Insomma, fra tanti, prima o poi, per calcolo per errore, qualcuno farà il primo sgancio eh eh. V’è un senso d’ineluttabilità in questo.... Ho fede nell’antiragione, io."


I tempi che viviamo, con l’invasione russa dell’Ucraina fanno tornare il dubbio se non avesse ragione. Un dubbio che mette brividi.  Come tutto il romanzo, d’altronde.