lunedì 25 giugno 2018

Berta Isla di Javier Marias



Se Marias piace, forse questo è uno dei suoi migliori. Se lo si considera invece verboso, noioso, banale, neppure questo (che forse lo è meno di tutti) piacerà. Appartenendo alla prima categoria, per lo scarabookkiante è romanzo di pregio.

Volendo alzarsi al disopra dei partiti, va detto che Marias lo vediamo come una sorta di ragioniere. La sua frase con la situazione o con il personaggio che descrive  deve “tornare”. Nel senso contabile del termine. Deve pareggiare al centesimo. E pareggiare significa che deve corrispondere con precisione al senso.
Ma non è solo questo. Nella contabilità ogni fatto che si registra porta delle conseguenze su più versanti. Per esempio un acquisto è una uscita di cassa, ma è anche un costo, che fa cambiare il bilancio, poco o tanto. E da parte di chi vende, la stessa cosa: è maggiore liquidità, ma anche un ricavo e anche maggiori tasse e così via. Il metodo, applicato al romanzo, dà esiti che possono  essere scambiati per verbosità, per banalizzazione, ma non lo sono affatto. Pochi che non siano ragionieri immaginano che strumento sofisticato e complesso di rappresentazione della realtà sia quello costruito sulla tecnica della partita doppia. Marias è un romanziere importante, che applica la partita doppia anche alle storie più complicate, fino ai limiti del surreale (anche se non è questo il caso).

Javier Marias
La storia del matrimonio tra Berta Isla e Tomas Nevinson e il mondo dello spionaggio che sta sullo sfondo viene resa con questo tipo di strumentazione. D'altronde non c’è niente di più gustoso per un ragioniere veramente bravo che sfidare la realtà, prendendo la più complicata operazione finanziaria o commerciale o di riorganizzazione aziendale e rappresentarla contabilmente con tutta la precisione del metodo che conosce alla perfezione.

Per parlare di contenuti, è  un romanzo sull’attesa e sul segreto: sull’arte difficile di gestire l’assenza delle persone che si amano e delle notizie di quella persona.  E poi sul coraggio che ci vuole a coltivare e onorare il segreto che tutti, senza eccezioni, ci portiamo dentro; il proprio e quello altrui. Che è poi la chiave vera di tutte le grandi storie d'amore. Anzi, più in generale, quelle sono le qualità che contribuiscono a fare lo scheletro di tutte le personalità solide, degli uomini e delle donne con un carattere. Chi non sa coltivare e rispettare il mondo segreto proprio e altrui vive e fa vivere male. Volendo scendere ancor più in profondo, è una storia sulla irrilevanza dei destini individuali e sulla loro precarietà e intercambiabilità. Sotto tutti questi punti di vista, di contenuto intendo, tra  i romanzi di Marias di sicuro è tra i più stimolanti.

Il tutto è reso con un tono narrativo  da candore neutro, da fedeltà mite ai fatti, spostando i cambi di visuale da un protagonista all'altra. La storia è raccontata dai due personaggi principali con due angolazioni completamente diverse, incastrate in modo che rende molto bene anche come ritmo narrativo. E il cambio dalla prima alla terza persona funziona senza attriti e stonature.

Ulteriore merito è quello di raccontare quella che è nonostante tutto una bellissima  storia d'amore, senza mai scivolare nel sentimentalismo (una cosa che non appartiene ai ragionieri). E infine riesce a tenersi lontano da un finale consolatorio; lo lavora invece, il finale dico, in modo elegante  con la tecnica della dissolvenza. Scelta saggia,  perché la soluzione lascia tutto lo spazio che serve  per accompagnare per mano Berta e Tomás nell'immaginazione del lettore ben oltre la parola fine.