domenica 15 aprile 2018

Lonesome dove di Larry McMurtry



Per quanto tardivo e anche per questo, forse, definitivo, è un western puro. Senza la profondità metafisica e shakespeariana di Cormac McCarthy; senza la leggerezza manichea dei vecchi western cinematografici; e senza il revisionismo pentitista dei nuovi antiwestern, da Balla con i lupi in qua. Quello che ne fa davvero un gran romanzo è che vale un buon libro di storia quanto a narrazione di quel fenomeno epico della conquista del west che fu fondativo degli Stati Uniti. E capire meglio in questo momento gli Stati Uniti, da dove vengono e come, è una cosa importante.


La mappa del viaggio  di Gus e Woodrow
Da questo romanzo si ricava un’idea abbastanza precisa di chi erano e cosa volevano e cosa hanno fatto davvero per ottenerla quelli che partendo dai margini della civiltà europea nel pieno della prima rivoluzione industriale, andavano a tentare di conquistarsi un pezzo di mondo percorrendo verso ovest un continente sconosciuto e bellissimo, ricco di risorse e possibilità e altrettanto pericoloso. E' il racconto del lungo viaggio dal Texas al Montana di Gus McCrae e Wodrow Call, alla ricerca di pascoli più verdi per impiantare un ranch. Ci sono le ruvidissime relazioni umane, il cameratismo e l’individualismo, il maschilismo pre-cosciente, ignaro, sofferente e feroce. E c’è la vita difficile delle donne in una società pre-stanziale in cui contano più di tutto la forza e l’intelligenza predatoria; e in cui loro stesse sono come la frontiera:  un territorio sconosciuto, altrettanto attraente e pericoloso, da sognare e conquistare. Ad un certo punto Gus dice: “combattere mi piace ancora. Aguzza l’ingegno. Il solo altro modo per aguzzarlo è parlare con le donne, e di solito è piú pericoloso”.  Eppure uno dei personaggi più belli è proprio quello di una donna, Clara. È il sogno impossibile proprio di Gus McCrae e forse di tutto un genere di umanità maschile che è e già era attratta e spaventata da una compagna forte nella sua profonda femminilità gelosa della propria autonomia. 

C’è una natura nemica e ci sono gli indiani, vissuti tutti e due allo stesso modo: senza manicheismi e col terrore suscitato da qualcosa di ignoto e incontrollabile. Facendo la somma dentro queste pagine c’è appunto la radice principale dell’America; una radice fatta di esplorazione, individualismo armato, creatività, predazione, generosità, competizione. La sua storia da lì comincia e quell’impronta porta dentro, probabilmente indelebile. 

E’ un grande romanzo popolare di gran qualità. C’è nella scrittura una vena ironica sottile come un capillare e un lirismo sobrio, asciugato. E’ essenziale  senza mai essere sciatto: niente cadute in aggettivazioni retoriche o scontate o nella approssimazione delle descrizioni o nella confusione dei verbi. Il ritmo di narrazione è sostenuto, con una successione degli scenari narrativi che tiene lontana la noia e tesa l’attenzione. I personaggi minori che appaiono e spariscono nel giro di poche decine di pagine spesso sono talmente ben costruiti che a distanza di pagine ti giri ancora indietro a pensarci. E poi è una lettura dietetica: niente eccessi di metafore e di simbolismi da smaltire, di impliciti complicati da digerire, di rimandi colti da andare a rimasticare. E’, nonostante la ricchezza di storie da epopea epica,  snello  nella ossatura: giusto qualche flashback del genere più tradizionale, con accessi facili e uscite rapide. 

Una prateria di quasi mille pagine in cui si corre che è un piacere. Le scarabookkiante si è divertito e appassionato. A tratti persino emozionato. La conclusione è impeccabile. Nonostante la mole lo si vede consumarsi e finire col dispiacere che ti lasciano i libri sinceramente amici a cui si è voluto bene.