Ogni tanto si sente qualcuno che, alzando le sopracciglia, scuotendo la testa, smorfiando con la bocca, dice sdegnosamente:
"la tivvùu? ma io non la guardo maiii!!".
In certi ambienti specialmente. Quello dei grandi lettori, per esempio. Quelli intellettual chic. Quelli "di un certo livello".
Dopo magari si apre il dibattito, magari solo mentale (perché ci vergogna, spesso, ad andare a scoprire il bluff), sul "sarà vero-non sarà vero". Perché poi si scopre che del mondo della televisione tutti sappiamo tutto e i numeri dell'audience sono quelli che sono. Ma lasciamo stare questo, adesso.
Neppure ci interessa approfondire la precisazione: "c'è televisione e televisione". Chi non ha potuto vedere "Uomini di Dio" al cinema e lo vede, come può fare in questi giorni, in tv, guarda la televisione e vede un gran bel film.
C'è chi negli anni '60 guardando la televisione ha imparato a leggere.
C'è chi con la tv ha imparato a parlar italiano o ha (ri)scoperto "I promessi sposi" o "I fratelli Karamazov" o Camilleri o la grande musica.
C'è chi grazie alla tv ha assistito a spettacoli, sportivi ad esempio, che mai avrebbe potuto comprarsi dal vivo.
Ma lasciamo stare anche questo.
Pensandoci, prima di parlarne, ci sono venuti in mente due personaggi straordinari. E due "storielline" che ci sono rimaste nella memoria.
Troisi, come tanti grandi comici e tantissimi malati di cuore, cadeva spesso in depressione.
E raccontava che in quei giorni si buttava su una poltrona e restava anche ventiquattr'ore di fila a guardar scorrere le immagini.
Mangiava persino, senza toglier gli occhi dallo schermo.
E si lasciava portare in un ottundimento che gli nascondeva il pensiero, che interrompeva il dialogo doloroso con se stesso e con il suo mal di vivere.
Mastroianni trascorse le sue ultime settimane di vita nella camera della sua casa parigina, con la sola compagnia di Marco Ferreri, l'unico ammesso a tenergli compagnia.
Se ne stavano in silenzio, l'uno nel suo letto di morte, l'altro sprofondato in una poltrona.
Se ne stavano in silenzio, l'uno nel suo letto di morte, l'altro sprofondato in una poltrona.
E guardavano la televisione.
Un canale di documentari di solito: documentari di animali, di preferenza, senza audio. Si lasciavano assorbire dal flusso tranquillo e silenzioso delle immagini, mentre incombeva sulla loro amicizia l'unica rottura possibile, quella ineludibile e definitiva.
Ecco, chi dovesse incappare in una ordinaria sventura della vita o si trovasse solo a dover colmare un qualche misero dispiacere può far la prova. Può provare a ricorrere a Sorella Televisione. Assicuriamo che funziona. Soprattutto senza audio, si.
E poi pensavamo a chi ha vissuto mezzo secolo fa un'infanzia tormentata dalla febbre e dall'obbligo militare di scontarla, come una colpa, da solo a letto. Se la ricordano, loro, la vecchia Rai, che cominciava a trasmettere alle cinque del pomeriggio. E ricordano la condanna, che veniva dall'impossibilità fisica di fare altro, alla malinconia di trasmissioni radiofoniche ingessate e paludate, praticamente inascoltabili. Se non al prezzo di una tristezza che si impustolava di noia, di accorata malinconia, di orribili pensieri. Al punto da non poter più sentir venir fuori nemmeno oggi, da una radio, il suono di un violino, di sera: i due canali radioRai, gli unici disponibili, abbondavano di concerti di violino nei pomeriggi di inverno. Erano lancinanti.
Ad avercele, le trasmissioni televisive mattutine e pomeridiane e notturne di oggi, su mille canali e per tutti i gusti e gl'interessi!
No. Non riusciamo a detestarla Sorella Televisione.
Ecco perché ci dispiace così tanto, che venga fatta ed usata talmente troppo e talmente male, da dover essere abiurata e da non dare neppure a noi, a volte, il coraggio di difenderla dagli ipocriti e dagli spocchiosi. Nonostante tutto.