sabato 16 aprile 2011

Habemus Papam


di C.C. Baxter
Il vostro C.C. è corso, come sempre, ad una delle prime proiezioni dell'ultimo film di Nanni Moretti. E dopo quella cosa inguardabile che è stata "Il Caimano" (certi soggetti, anche cinematograficamente parlando, è meglio lasciarli stare) è tornato non entusiasta, ma consolato.

Non è un capolavoro, ma un bel film sì. 
Intanto perchè c'è un umanità sofferente, ma pacata, che vive (ed è filmata in modo meraviglioso) a tinte dolci, con toni empatici, ironici ed accettanti. Anche mentre assiste nello sconforto alla fuga per Roma del Papa di fronte al mondo che lo aspetta. 
Poi, l'ambientazione nel Vaticano dei Conclavi, ricostruita in studio in modo scenograficamente impeccabile,  esercita un fascino irresistibile. 
Gli interpreti sono quasi tutti formidabili, a partire dal quello del  portavoce della Santa Sede, passando per un Michel Piccoli, che anche e forse soprattutto quando tace, "riempie lo schermo".  Anche tutto il gruppo dei Cardinali è perfetto. Moretti no. Moretti attore qui sembra la caricatura di sè stesso e poi non ricordiamo nessuna battuta memorabile. Forse l'unica chicca è quel "deficit di accudimento" con  cui mette alla berlina il vizio di produrre surrogati di pillole degli psicanalisti.
Il sospetto "atroce" è che forse è stata l'esigenza del "politicamente corretto" che lo ha devitalizzato: il non voler mettere alla berlina i vizi clericali. E questa occasione persa che puzza di conformismo ulivista  il vostro C.C. non riesce a perdonargliela.
Anche perchè toglie al film un fattore di brillantezza che ha reso indimenticabili i suoi "classici". 


Il punto debole principale di Habemus Papam sta nella sceneggiatura e nel ritmo. La prima ha vuoti come voragini (il malessere del neo papa produce solo un abbozzo di indagine, la figura della Buy è un'altra occasione mancata: tanto per fare due esempi di omissione). La tensione narrativa poi ha cali che a tratti stancano. La scena che voleva essere emotivamente "forte" con l'immancabile pezzo musicale (stavolta musica sudamericana) è bello, ma non certo memorabile. Le scene del Papa in borghese in giro per Roma così come la scena delle "amiche" lasciano freddi, francamente.  

Il pregio maggiore del film è il soggetto. Quello fa la nostra consolazione. Il tema dell'accettazione della inadeguatezza di fronte ai compiti della vita, del valore positivo della rinuncia e della fuga è tema che assai ci interessa e che richiede sensibilità  e coraggio. E poi il pensiero di un abruzzese non può che correre a Celestino V, ovviamente. 
Pur senza emozionare (questo è il vero limite del film: tranne forse che nelle ultime sequenze, non emoziona) qui il tema  è reso bene. E ci piace anche il  gioco come via d'uscita, della ricerca della leggerezza come soluzione terapeutica per reggere il peso delle attese, delle responsabilità, dell'incombere del nulla. Bisogna saper sparigliare quando occorre, saper stornare l'attenzione (la propria e quella altrui) e bisogna saper rispettare il rituale ed il recinto sacro del gioco, arrivando fino in fondo al torneo. 
Un film nel quale si respira accettante umiltà e dolce comprensione in un tempo in cui dominano arroganza ed aggressività è cosa che consola, appunto.
Il senso del film è sicuramente la sua migliore qualità e di certo non è poco. 
Per uno innamorato del Moretti di Bianca, di Aprile, della Stanza del Figlio forse però non è abbastanza.