KHORAKHANE' ovvero
LA FORZA DI ESSERE VENTO
Gil
Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta
vasu ti baro nebo
avi ker.
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra
diventi casa.
Kon ovla so mutavia
kon ovla
ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti.
Chi sarà a raccontare
chi sarà
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali.
LA FORZA DI ESSERE VENTO
Questa canzone mi ha fatto fin dal primo ascolto in concerto, nel '98, uno stranissimo effetto. Un effetto tutto fisico: semplicemente, mi colpisce nel corpo.
Insomma, confesso impudicamente che questa canzone mi fa salire i brividi. Brividi veri, intensi. Sempre. Immancabilmente. Anche se la riascolto dieci volte di fila.
Insomma, confesso impudicamente che questa canzone mi fa salire i brividi. Brividi veri, intensi. Sempre. Immancabilmente. Anche se la riascolto dieci volte di fila.
Proprio per questo invece, ho sempre cercato di ascoltarla con parsimonia. Ed anche perchè intuivo, senza capire perchè, che si trattava di brividi di tragedia, di una commozione triste ed esaltante insieme.
Non tutta la canzone mi produce questo effetto però.
E' una canzone che racconta l'orgoglio Rom:
è l'elegia della vita nomade, l'esaltazione della vita come viaggio,"per la stessa ragione del viaggio, viaggiare".
Sono solo le ultime due strofe, quelle "tremende".
Le canta, in un minuto ed in lingua Rom,
Luvi De Andrè, per me una delle più belle voci italiane di sempre
(e, dai più, sconosciuta) .
L'emozione si è ripetuta così intensa e sorprendente, che ho a lungo volutamente evitato di approfondire. Per paura di disperderne in parole la potenza.
Poi, ad un certo punto ho avvertito l'esigenza di sapere. Ho sentito che ero pronto. Sono a andato a cercarmi la traduzione, ho collegato la mente a quella emozione, a quei brividi.
Ed ho creduto di comprendere.
Ho compreso che questi versi raccontano la morte zingara.
Dentro c'è quel che De Unamuno chiamò "il sentimento tragico della vita".
E' proprio un modo di guardare la morte, la propria morte, ma con la gioia aerea del nomade: orgogliosa, libera, leggera ed accettante. E' uno sguardo che poteva avere solo un grandissimo poeta con
"occhi limpidi come un addio.
Lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
Il punto di vista di Dio".
E' un modo che richiede per l'appunto una gran forza:
la khorakhanè, "la forza di essere vento".
Richiede la gioia dell'abbandonarsi al Viaggio, anche all'ultimo.
Da qui, credo, la commozione mista all'esaltazione come di chi percepisce l'accingersi ad una grande, misteriosa, finale avventura.
E' il modo che passa attraverso il diventare fuoco in un accampamento zingaro, che festeggia e racconta la tua partenza "in un sogno di mare", "in una corrente di ali", che ti accompagna fin dove "l'aria azzurra diventi casa".
Ci stanno i brividi. Ci stanno ancora. Forse anche di più, adesso. E penso che il corpo capisce sempre prima.
Noi, con la nostra testa, arriviamo sempre dopo.Gil
Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta
vasu ti baro nebo
avi ker.
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra
diventi casa.
Kon ovla so mutavia
kon ovla
ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti.
Chi sarà a raccontare
chi sarà
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali.
(un consiglio: l'ultimo minuto è da ascoltare a spaccatimpani)