lunedì 19 settembre 2022

La tirannide dell'Io di Enzo Traverso

 


Ci sono due linee di tendenza molto forti nella produzione letteraria più recente. La prima è l’autobiografismo e la seconda è la no-fiction. E all’interno di quest’ultima c’è la tendenza a utilizzare la Storia come serbatoio di storie e personaggi da romanzare. I libri di Carrere, di Scurati, di Vuillard, di Littell, della Auci sono solo degli esempi,  tra i più noti e di livelli di qualità assai diversi. In questo alveo peraltro c’è anche il proliferare di docufiction e docudrama in campo televisivo, cinematografico e dei podcast.


Tendenze, che esistono da quando è stato inventato il romanzo, intendiamoci (basti pensare a Tolstoj, a Stendhal, a Mann, a Manzoni, a Grossmann, ai romanzieri del “finis Austriae”, a Sebald), ma da qualche anno sono particolarmente marcate a scapito dei romanzi di pura invenzione, della fiction e basta.

Poi c’è, in campo storiografico, l’emergere di una tendenza  parallela: quella di scrivere saggi storici, di raccontare la storia, in prima persona. Tendono cioè ad uscire da quella terza persona che  per secoli ha garantito distanza, oggettività, corrispondenza alla verità delle fonti, sterilizzazione del testo rispetto alla mano di chi lo ha scritto, per inserire in quel che pure è e resta un saggio, aspetti emozionali, punti di vista, esperienze personali dell’autore.

Per dirla con le parole di Traverso

“La linea di separazione tra storia e romanzo risulta dunque offuscata da una nuova interazione che crea forme quasi simbiotiche: mentre i romanzieri si ispirano sempre più alla storia e si mostrano estremamente attenti alla verità dei fatti, gli storici cominciano a fare delle loro indagini una narrazione letteraria, ricorrendo a trame ed eroi che nella maggior parte dei casi altri non sono che gli autori stessi.”


Tra il soggettivismo degli storici, la narrativa storica e l’autobiografismo, che  sono cose molto diverse tra loro, c’é  più di un punto di contatto. Due, in particolare. Il primo è, per l’appunto, il venire in primo piano dell’Io dell’autore. Il secondo è il presentismo. Sulla narrazione storica o sul passato dell’autore, sulla Storia e sui suoi protagonisti, su biografie ed autobiografie  vengono  proiettate, spesso contemporaneamente, le ombre ingombranti dell’Io dell’autore e del presente in cui la narrazione viene scritta. Si guarda e si racconta la Storia e  la propria storia alla luce dell’oggi, di quel che come collettività e come persone si è diventato. La convinzione quasi generale  che il passato non può insegnare niente sul futuro genera un atteggiamento culturale per cui  l’uno e l’altro vengono inglobati in un presente eterno in cui tutto è accaduto e tutto può accadere. 

Sono tendenze di successo. Attraggono lettori. Attraggono lettori “profondi” che cercano vie di introspezione e visuali di mondo. E attraggono anche e forse soprattutto lettori “leggeri”, che chiedono ai libri anche o solo intrattenimento, effetti emotivi, qualcosa che somigli ai piaceri della  serialità televisiva o del cinema. Tutti e due cercano personaggi e situazioni in cui riconoscere il proprio modo di essere, la proprio quotidianità, il proprio tempo storico così come lo percepiscono. Questi meccanismi di identificazione come valgono al di là della qualità dei lettori, valgono anche al di là della  qualità letteraria dei libri, che a volte è più che buona e a volte invece scadente.


L’interpretazione che del fenomeno dà Traverso è argomentata e convincente. Si potrebbe riassumerla in due righe sue: “l’orizzonte della nostra epoca è quello della società di mercato, un mondo frammentato e atomizzato. Le sue identità sono individuali, non più collettive”. Dopodiché il discorso ovviamente è più complesso.


Proviamo a schematizzare:


1 L’individualismo come portato fondamentale del neoliberismo ormai dominante produce soggettivazione in tutti gli ambiti, a scapito delle visuali comunitarie e collettive. Tutto diventa un selfie.


2 La storia è finita e dunque il futuro non c’è più. Sommato al fatto che il passato non può più insegnarci niente, tutto si svolge nel presente. “Laurent Binet, che deride i giudizi estasiati secondo cui l’eroe delle Benevole «sembra vero perché è lo specchio dei suoi tempi». Niente affatto, ribatte: sembra vero «perché è lo specchio dei nostri tempi: nichilisti, post-moderni, per dirlo in due parole”


3 La svalutazione della dimensione politica, la spoliticizzazione generale del governo della società e delle vite, toglie a quel che del passato conserviamo nella memoria l’esigenza della trasmissibilità, della condivisione.   “L’espansione dell’“io” comporta per forza di cose un restringimento del “noi”.

La memoria si ritira nella dimensione individuale e si reifica in una serie di feticci (oggetti, cose, luoghi, foto ecc). Oggetti da museo. Musealizzazione della memoria e privatizzazione del passato mettono l’Io nella posizione centrale che poi ritroviamo nelle tendenze che si manifestano nella letteratura e nella ricerca storica. Prima, una certa interpretazione del   passato alimentava una visione comune del presente (e quindi una prassi politica) e produceva una precisa visione  e aspettativa del futuro. Oggi è il campo di gioco, la palestra di esercizio, il laboratorio privato di ricerca dell’Io.

“Un atteggiamento di questo tipo è possibile solo in un mondo – più precisamente, in ciò che viene definito il mondo occidentale – dove il passato non ha più un legame vivo e sentito con il presente, ma rappresenta piuttosto un paesaggio reificato e trasformato in un vasto assemblaggio di luoghi della memoria.”


4 Soggettivismo e presentismo sono forme di ritiro nell’ intimità. Il conosci te stesso diventa metti in un vetrino ed esponi in vetrina te stesso. La cultura californiana di matrice hippye, contaminata di orientalismo si ricicla in versione social. Alla base, minimo comun denominatore globale, il rifiuto della politica. 

Famiglia e culto degli antenati, nostalgia dell’infanzia sostituiscono, in parallelo e reciproco sostegno con i social, le forme di condivisione sociale.

“Se si accetta l’idea che la storia è “una letteratura contemporanea”, bisogna vederla come uno specchio della sua epoca, al pari di ogni creazione letteraria; nella fattispecie, uno specchio dell’inizio del XXI secolo, l’era del neoliberalismo, del ripiegamento verso la sfera individuale.”

“Una volta stigmatizzate le utopie del Novecento e preso atto della loro sconfitta, i rivoluzionari dello Yiddishland cessano di essere membri di un movimento collettivo per diventare vite singole e isolate, i nonni mai conosciuti. Le nuove scritture soggettiviste della storia sono nate anche da questa rottura storica.”


Come si intuisce, il saggio di Traverso, per quanto breve, individua e analizza bene il fenomeno. Va aggiunto che lo fa con un apparato bibliografico notevole, ricco anche di ottimi suggerimenti di lettura, sia sul versante letterario che su quello della saggistica.