giovedì 11 maggio 2017

"Che palle, me pare che sto a legge ‘n libro!"

Poco meno del 60% (il 57,6%) degli italiani sopra i sei anni non ha letto nemmeno un libro nel 2016. Poi c’è una sparuta minoranza che legge qualche decina di libri l’anno. Allo scarabookkiante è venuto il sospetto che tra il resto della popolazione e questa minoranza di lettori amatoriali seriali che strappano ore alla vita propria per leggere soprattutto storie  di vite  altrui, per lo più inventate,   ci siano delle differenze nel modo di essere, di pensare, di parlare, di funzionare del cervello. Sarà o no il caso di vederci più chiaro, vista la quantità di libri che maciniamo?

Non è possibile che  non si formi una qualche diversità nel modo di vedere e soprattutto di raccontarsi la vita tra chi legge tanto e chi per niente. Poco importa  giudicare se è una differenza nel bene o nel male. E stiamo lontani dai  giudizi estremi: da quelli che vengono considerati o si considerano "gente di un altro livello" perché legge. E da quelli che li vedono o si vedono come una sorta di categoria di disadattati, che, incapaci di viverla, la vita, la leggono. Incuriosisce invece tentare di individuare qualche elemento costitutivo, se c'è, di una diversità che ci riguarda.

Partiamo dall'ultima lettura fatta. Abbiamo appena finito di leggere "Seminario sui luoghi comuni “ di Francesco Pacifico e c'è una frasetta che è poi quella che ci ha portato a queste riflessioni. Ad un certo punto Pacifico afferma  
 Il senso di un eccesso di informazioni e di una ridondanza è un’esperienza ineliminabile della lettura (Allo stadio, durante una partita noiosa, ho sentito un tifoso dire: "Che palle, me pare che sto a legge ‘n libro!")” 
Eccola una prima differenza, fondamentale: c'è un che di analitico e di dettagliante nel meccanismo del pensiero e di espressione di un lettore che quando viene fuori suscita spesso questa reazione; "che palle!" Chiamiamola alla Calvino "pesanteur", la "pesantezza" del lettore.



Non sempre viene percepita così, per fortuna. 
Ad esempio, quando ad ascoltare c'è qualcuno che ha la stessa forma mentale non succede. Una cosa l'abbiamo sperimentata: tra chi passa molte ore col libro in mano si finisce sempre col riconoscersi. Quando due lettori "forti" si incontrano e parlano per la prima volta, la sensazione che hanno è di essersi conosciuti e parlati da molto tempo. Ad accomunarli sono le frequentazioni comuni di storie, luoghi e personaggi incontrati leggendo. 
Non solo. 
E' anche e forse soprattutto un certo modo di parlare e un "pensare lungo",  cioè un articolare il pensiero in una catena di concetti, inanellati tra loro come  le maglie di una catena appunto e l'abitudine di collegare  i fatti, anche quelle che sembrano lontani tra di loro. E di impilarli in una sequenza che fa una trama, con un inizio, una fine e quindi un senso, un significato; spesso più di uno. Perché chi legge ama spesso le doppie o triple chiavi di interpretazioni.
Questo può creare una sorta di solidarietà da setta, sulla base della condivisione di un codice. Poi, naturalmente, come accade sempre nelle sette, si creano anche delle forme di contrasto tendenzialmente virulente. D'altra parte, il lettore vive molte ore nella esclusività  del rapporto con un interlocutore muto. La convivenza, per esempio in un social dedicato, con chi vive nella stessa "casa mentale" dopo il piacere del riconoscersi, è inevitabile che determini dei contrasti  e che si faccia fatica a  gestirli. Ma questa è un'altra storia.

Questa sensazione di non essere rifiutati non è che ci sia  solo quando il lettore sta con altri come lui. Ci sono  anche  quelli che semplicemente si sono abituati a convivere e a confrontarsi con una mente che funziona in quel modo. Una moglie che legge pochissimo ad esempio  ride a certe battute a rebus che sente tutti i giorni dal marito "sempre col libro in mano" e che l'ha abituata a divertirsi giocando con le parole. E qualcuno prima o poi  scopre che lei stessa usa dei vocaboli  vengono da un libro di Gadda o di Conrad senza ovviamente immaginarne la provenienza. E’ semplicemente contagiata, infettata dalle secrezioni lessicali provenienti dalla lettura.  La lettura e i suoi portati hanno in effetti un effetto-contagio che modifica non solo  in termini di linguaggio l'ambiente in cui si diffonde.

Si incontrano poi anche menti semplicemente aperte al nuovo, allo strano, al non consueto, che si avvicinano incuriositi a certe formule espressive, a certe citazioni, a certe battute di spirito, a certi giochini verbali che inevitabilmente scappano a chi legge, magari  in una riunione di lavoro o in una chiacchierata al bar o sotto l'ombrellone. Bisogna anche considerare che di solito il lettore coltiva l'attitudine all'umorismo. E questo  aiuta ad ottenere una buona accoglienza. A volte, per la verità si avverte  vagamente qualcosa che somiglia a quel che succede allo zoo: quel po' di meraviglia divertita che potrebbe preludere a una cosa tipo tirare le noccioline  nella gabbia. Ma se ne può sorridere.

Ci sono contesti di lavoro o di conversazione in cui quella forma mentale, quella capacità di collegare e verbalizzare, quel trovare sostegno in metafore e citazioni costituiscono un aiuto, funzionano. E possono essere anche un modo per dare piacere e stimoli a chi ascolta. Bisogna però usare cautela anche in questi contesti più favorevoli. Si corrono un sacco di rischi: di fare  la figura degli spocchiosi, dei saccenti o peggio degli snob;  di rendersi ridicoli o di passare per "noiosi" alla madame Verdurin (tanto per fare un esempio di quel che non si deve fare). Bisogna insomma ricordarsi che la cultura (se vogliamo chiamarla così) non va mai indossata e sfoggiata come un abito. La cultura è quel che resta quando si è dimenticato tutto ciò che si è letto e studiato (lo hanno detto in tanti; noi l'abbiamo letto da Salvemini). Il lettore amatoriale seriale non deve dimenticarlo e mai cedere alla tentazione di esibirla.

Altre volte però,  l’accoglienza è meno divertita e meno tranquilla. Quasi si vede alzarsi il vapore acre dell'imbarazzo, quando scappa quel verso o quella metafora mentre si è in mezzo a gente che non ha mai più letto un libro dai tempi  della scuola. Alla lunga, se fai l'errore di cadere nell'anatema stizzito da "perle ai porci", capisci  che  non puoi lasciar girare liberamente, a folle, il modo di pensare e raccontare le cose che hai preso dalle pagine. Prova una volta a parlare al bar o allo stadio della partita di Eschaton di Infinite Jest. Come fa a non scattare il "cheppalle!", il dileggio? Se ti va bene. 
Se proprio non puoi resistere devi andare su dosi omeopatiche e inzuccherate con l'ironia. Ma in generale è meglio contenersi. 

**********************

Le peculiarità di una forma mentis forgiata sulla lettura e sulla narrativa in particolare, non sono solo di relazione sociale. Più interessante e complicato è il modo in cui si modifica in chi legge e a sua insaputa la percezione della realtà e delle persone. Leggendo, viene progressivamente acquisita tutta una serie di strumenti: un campionario inventato (dalla narrativa) o sistematizzato (nella saggistica o anche nella  poesia) di fenomeni, funzioni, modi d'essere, metodi, teorie, esempi. E' una casistica di vita enormemente più ricca rispetto a quella che può  venire dall'esperienza reale e di cui può disporre la stragrande maggioranza delle persone, chiamiamole così, normali (nel bene e nel male). 

Questo inevitabilmente cambia di parecchio il modo in cui il lettore osserva e si rappresenta mentalmente la gente che poi s’incontra nella vita reale.
Per esempio. Una collega in ufficio arrivata da qualche mese è diventata nervosa, irritabile, acida. Sportiva, giovanile (dimostra molto meno degli anni che ha), di solito allegra,  da un po' non ci si può più parlare senza litigarci.  La tensione cresce di giorno in giorno e la cosa sta compromettendo la convivenza. 
Mettete ad un certo punto di incappare in questo passo del “Teatro di Sabbath” di Philip Roth: 
“«Non c’è niente», le dicono le vampate, «che debba ancora succedere e che possa rivelarsi un bene». Le vampate, quella presa in giro dell’estasi sessuale. È immersa nel fuoco del tempo che fugge. Invecchia di diciassette giorni ogni diciassette secondi che passa in quella fornace. La cronometra sull’orologio Benrus di Morty. Diciassette secondi di menopausa le sgocciolano sul viso. Unta come un arrosto. E poi smette, come se si chiudesse il rubinetto. Ma mentre succede, Sabbath capisce che per lei dev’essere un incubo senza fine: questa volta la cuoceranno davvero, come Giovanna d’Arco.” 
E' chiaro che ti si accende una lampadina. Poi gli esiti non sono scontati, certo. Avere una percezione di questo tipo può essere un modo formidabile per empatizzare o per ferire. Può giustificare o, al contrario, esorcizzare  la tentazione di farci contagiare dall'irritazione.  Questo dipende da come siamo fatti. In tutti i casi, dalla lettura  ci si muove ad un livello  di percezione nuovo, come se si avesse un paio di occhiali che ci svelano delle persone quel che molti altri non vedono o a cui non pensano o arrivano più tardi. Quel che chiamiamo genericamente, un fatto di sensibilità. Il che non esclude la crudeltà o la perfidia. Anzi, il lettore cronico spesso è intimamente  e subdolamente cattivo.

E’ un potenziamento del livello di coscienza, della consapevolezza? Forse. 
E’ una deformazione, una distorsione? Può darsi anche questo. 
A volte in effetti l'abitudine del leggere espone a prendere clamorosi abbagli. Per esempio buona parte del complottismo che c'è  in giro nasce probabilmente da troppe letture, magari sbagliate o male interpretate. L'ossessione di vedere trame e "grandi vecchi" che pianificano la realtà come la trama di un racconto dietro la ordinaria confusione dei fatti e degli uomini nasce anche dal  continuo percorrere capitoli.  

Così come, altro esempio, costituisce una differenza la frequenza con cui ci si costruisce un'immagine irreale, grandiosa nel bene o nel male, su  personaggi normali o magari di livello assolutamente modesto. Accade con i personaggi pubblici, incontrati attraverso i media; e accade anche nella nostra vita di tutti i giorni. Ci facciamo la nostra idea "romanzesca"  come fosse un vestito,  poi lavoriamo  ad appenderlo addosso  a dei poveretti, cercando di interpretarne o peggio di mascherarne con una sorta di make-up ai nostri stessi occhi la banalità, l'insignificanza o semplicemente la non-corrispondenza. La tendenza ad identificarci, a mitizzare o a criminalizzare viene da questa mistificazione contenuta nell'abitudine alla narrazione e quindi a modo in cui produciamo storie. Se poi c'è di mezzo la passione nascono veri mostri, autentici Frankenstein.

La realtà insomma,  da lettori di romanzi,  tendiamo a virarla sul romanzesco. D'altra parte questo non è che il corrispondente  esatto, l'opposto,  del meccanismo costitutivo del romanzo, che isola e riproduce nel laboratorio letterario pezzi di realtà. Il non lettore pragmatico da questi rischi di sicuro è più protetto. 
C'è una cosa  sorprendente e forse inaccettabile per quelli che preferiscono "vivere la vita vera", "fare i fatti", anziché  star lì a "perdere tempo" a vedere come vivono e che cosa fanno personaggi inesistenti: è che il lettore "forte" in realtà vive una vita  emozionalmente  più movimentata della loro. Cosa che è in effetti una conclusione opposta all'immagine di grigiore pantofolato del topo occhialuto da biblioteca che viene comunemente associata al lettore patologico.

In effetti a chi legge ne passano davanti agli occhi  di tutti i colori; ma l'aspetto veramente importante è un altro. E cioè che leggere modifica  il modo in cui si vivono  le  emozioni. Per schematizzare si può dire che la lettura è un esercizio di potenziamento della coscienza a cui corrisponde un esercizio di depotenziamento delle reazioni emotive. Leggere fa provare più emozioni e moltiplica le occasioni di provarne;  però le  emozioni che vengono dalla lettura sono a bassa frequenza, a intensità ridotta rispetto a quelle che proviamo in circostanze analoghe della vita vissuta. Banalmente, vai molte più volte a letto insieme con due personaggi-amanti sempre diversi, ma per quanto bravo sia a scrivere chi ti ci porta, non proverai mai quel che provi andando a letto col tuo amante. 

Le emozioni del lettore, depotenziate nell'intensità e moltiplicate nel numero e nella gamma,  si riflettono, in qualche misura  che è tutta da calcolare, nel modo in cui si percepiscono poi  le emozioni  nella vita reale. 
Da una parte c'è un effetto-vaccino. Leggendo ci  inoculiamo dosi sterilizzate di emozioni che quindi potrebbero attutire l'effetto che ci fanno quelle "piene" e progressivamente immunizzarci, almeno in parte, dal rischio di essere travolti,  quando quelle cose che le scatenano ci capitano per davvero.

Dall'altra parte, mentre leggiamo, nello spazio di attenzione mentale lasciato libero dalla bassa intensità emozionale, si infila la consapevolezza, il testimone muto che osserva, ragiona, analizza, traduce in frasi.

Mentre gli occhi seguono il susseguirsi delle parole lungo le righe in cui i due amanti fanno l'amore, dentro la nostra testa un altro occhio immagazzina dati, zoomma tra dettagli di percezioni, di umori e di pelle e poi allarga la visuale e produce descrizioni, significati, contesti, rimandi, rapporti di causa-effetto. Il suo obiettivo è completamente diverso da quella dei due amanti o da quello che avremmo noi stessi se fossimo uno dei due nella realtà;  e cioè  dare e provare il massimo piacere. Il testimone che vive nel lettore vuole invece innanzitutto sapere, vuol capire e vuol comunicare. 
Questo esercizio di comprendere e condividere  e l'allargamento che ne consegue dello spazio mentale occupato dalla consapevolezza, dalla verbalizzazione, dal pensare lungo e dettagliante   è come  un potenziamento muscolare.   L'allenamento produce effetti anche quando ci si muove nella vita reale. Da qui, anche quella percezione di pesantezza in chi ha una forma mentale più  orientata al pragmatismo, all'essere concentrati e focalizzati sull'azione.

E' quella del lettore una sensibilità emotiva amplificata per una sorta effetto-eco di quel che si prova? 
Vedersi mentre si ama la persona che si ama aggiunge il piacere del vedersi a quello di amare? Può essere. Il sesso d'altronde è la più alta forma di comunicazione tra esseri umani e aggiungere la parola pensata e magari detta al resto della strumentazione fisica di cui disponiamo, se fatto bene, non può che aumentare la bellezza e l'efficacia della comunicazione e quindi del fare sesso. Questo può valere anche per una corsa, un buon pranzo, una conversazione, una partita a tennis.
Oppure si subisce invece  una contrazione dell'energia e dello spazio mentale disponibile per la pura emozione, per il "viverla e basta"? E quindi si è più freddi? 
La storica contrapposizione che molti fanno tra il vivere, che sarebbe sano e il contemplare, che sarebbe invece  insano si estende insomma alla lettura. Probabilmente è una questione di equilibrio e di auto-attenzione. Si può solo continuare a discuterne.
Quel che è certo è che la risposta alla nostra domanda iniziale è si: ci sono due modi diversi di vivere e di raccontarsi la vita tra il lettore seriale e il non lettore. 

È evidente a questo punto che se la lettura ci cambia, arricchendoci e deformandoci persino nella sfera emozionale,   diventa molto importante anche per il nostro benessere e non  solo per la qualità  della nostra cultura approfondire due aspetti. Intanto cosa leggiamo e quindi se e come scegliamo le cose che leggiamo. E poi come leggiamo, che rapporto siamo abituati a  instaurare tra la nostra mente e le pagine che vi immettiamo. Altro discorso che prima o poi sarà il caso di affrontare.