martedì 5 luglio 2022

Il Duca di Matteo Melchiorre




Un romanzo vero, di stampo classico cioè; magnificamente scritto, che avvince dalla prima pagina.  Conduce per mano il lettore trascinandoselo dietro in una condizione crescente di tensione, di inquietudine, nel disagio vero dell’inquietudine. E anche nella curiosità di capire non solo dove va a finire la storia labirintica che racconta, ma dove va a parare il senso che vuol trasmettere. E da quale piega dei tempi che viviamo nascono quel senso e il bisogno di scrivere una roba così.

Il dubbio che la potenza della scrittura e la complessità dell’architettura narrativa andasse a infrangersi contro un muro di banalità o affondasse nel niente me lo sono portato per un buon tratto. Poi capisci che non solo miracolosamente regge, ma che dietro e sotto c’é davvero tanto di noi e del nostro tempo su cui fermarsi a pensare.

Da tanto non usciva in Italia un romanzo così. Finalmente.


M’ha preso subito “la scintilla”, come diceva Calvino. Sarà che in quest’estate malsana i corvi sulla mia collina di fronte all’Adriatico, imperversano e con i corvi inizia il romanzo. Sarà che in poche pagine ti porta subito nel suo mondo. Sarà che uscivo con rimpianti dall’ultimo libro di Davide Longo e m’é sembrata salisse dalle pagine qualche assonanza di odori e atmosfere (montagna, malinconia, un passato dal quale “non si scappa”, che porta e ancora produce un carico di  sofferenze). Insomma il godimento è stato immediato.


Insieme col godimento cresceva andando avanti l’inquietudine prodotta dalla vicenda. Quando leggo che tra le qualità del romanzo c’é quella di tenere avvinto il lettore, di tenerlo legato alla vicenda raccontata e ai suoi sviluppi, credo che al montare di questa inquietudine ci si riferisca. Ma l’inquietudine è anche l’addensarsi di una tensione, di un che di sgradevole. Insomma dalla vicenda fin dall’inizio, soprattutto per la sapienza  tecnica con cui l’autore gioca con le anticipazioni, i presentimenti, le divinazioni non ci si aspetta niente di buono. La narrazione in prima persona, la tonalità ammiccante in cui viene fatta, la rielaborazione costantemente autocritica e dolente che la pervade, ci fanno schierare dalla  parte del protagonista narratore e insieme ci spingono a temere per lui. Insomma é un racconto che stimola una partecipazione emotiva sofferta del lettore.


Poi ci sono i luoghi, la montagna, con quel che significa in termini reali, materiali, ma anche simbolici ed emozionali. La montagna vista  in maniera  tutt’altro che elegiaca, vissuta con timori e resistenze, ma anche in uno stato di immersione emozionale profonda. Fuori dai modelli letterari oggi dominanti fatti di stereotipi. Mai con indifferenza, mai senza il rispetto che si deve alle cose capaci di colpirci nel profondo, nel bello, ma anche  nel brutto, nel bene e nel male, nell’avventura, ma anche nella noia e nella crudeltà di sui la natura può essere capace di sommergerci. Qualcosa quindi che ci attrae e ci respinge insieme, ma che non ci consente mai di ignorarla, di pensare e agire come se non ci fosse, persino quando ci diamo alla fuga da essa.


I temi del romanzo sono riassumibili in due parole: sangue e discordia. 

“per sangue intendo tanto il sangue rosso e denso delle vene quanto il siero di cultura che per altri e immateriali alambicchi stilla di generazione in generazione e di secolo in secolo”

Sangue  cioè come patrimonio e insieme condizionamento che viene non solo dalla trasmissione dei geni, ma dei copioni famigliari,  di certi moduli di comportamento che passano attraverso le generazioni. Sono frutto di  sistemi di valore di cui siamo spesso inconsapevoli, che producono  protocolli di gesti e sequenze di pensiero, abitudini, una peculiare risonanza emotiva davanti ai fatti della vita. Funzioni che si attivano in determinate situazioni, reazioni automatiche a spinte sociali e ambientali, modelli genitoriali introiettati. 


Discordia intesa come sequenza che si attiva e che procede senza che noi sappiamo o possiamo interromperla. È resa come una reazione chimica che passa dall’ambiente naturale e sociale, dal sistema di relazioni alla mente, trasformandosi in ossessione, determinando quel che pensiamo e quel che facciamo.


Due temi che hanno il comun denominatore di sottrarsi al governo consapevole della mente, alla presa di coscienza seguita da un agire razionale. Il come se ne esce (tentare di buttare via tutto, farsene trascinare o trovare un’altra soluzione) questo è il tema del romanzo. E il modo tormentato e dubitante in cui lo risolve convince proprio nel suo essere lontano da ogni stereotipo di illuminazione o conversione, da ogni fede o certezza finalmente raggiunta.

Il protagonista non è un eroe. Il nostro tempo non è d’altronde un tempo di eroi. È un uomo pervaso dai dubbi, oscillante tra visioni e soluzioni contraddittorie e alternative, soggetto alla spinta delle pulsioni. Riottoso e impulsivo nello stesso tempo, candido e cinico, coraggioso e pronto a dileguarsi. Ed è anche questo essere la storia di un antieroe uno dei grandi pregi di questo romanzo.