lunedì 6 giugno 2022

Camera a sud

Una camera a sud, nella penombra di un primo pomeriggio di piena estate, in un albergo di un’altro tempo, con mura spesse e calcinate di bianco, affacciato sulla piazzetta di pietre arse, sul piccolo molo deserto e sul mare abbagliante d’azzurro. Ma dalle persiane accostate entrava un solo raggio di sole, che si andava ad acquattare nell’angolo in fondo, vigile come un gatto pronto a lanciarsi in tutte le direzioni.


Una camera a sud, arredata con mobili in ciliegio da stanza della nonna perfettamente restaurati, con un sapore di antico vigoroso e giovane, ornati di vecchi centrini all’uncinetto. Davanti al letto un comò che prometteva misteri portava un vaso di margherite e spighe profumate di lavanda. Il letto era alto, in un legno solido e immobile come pietra. Non uno scricchiolio, non una vibrazione. Sui comodini, delle caraffe di cristallo colme di ghiaccio, acqua e limone. Su una piccola panca imbottita ai piedi del letto due pile di maliziosi asciugamani bianchi di spugna.


Una camera a sud, immersa in un silenzio morbido e tollerante, che lasciava filtrare una sapiente miscela di suoni attutiti. Sul fondo, la risacca delle piccole onde. Lontano, vaghe voci umane. Più a ridosso, il tocco attento e delicato di presenze discrete e rispettose, come in attesa di qualcosa che doveva accadere. 

Eravamo lì, avvolti nel lino e nella seta dei nostri abiti belli, sazi di sapori mediterranei. Venivamo dall’“arcobaleno delle sale da pranzo oscure nell’ardore del giorno”(*).


Ed oscuri ardori preparavano altri sapori ed altri appagamenti. Il pomeriggio, forse, non sarebbe finito mai più. 


(*) Marcel Proust - Albertine scomparsa