venerdì 17 giugno 2022

Albertine scomparsa di Marcel Proust

 




Se si vuole leggere qualcosa di bello e di importante sulla questione nebulosa e incandescente dell’abbandono bisogna leggere questo volume, il penultimo, della Recherche. È il tema che percorre tutto il volume, che si addensa in particolare nella prima parte e sfuma progressivamente fino alle pagine veneziane e al ritorno con clamorose novità delle “cronache mondane”.


Sentir parlare Proust dell’abbandono non è solo affrontare il tema dell’essere lasciati dalla persona che si ama e della sofferenza che ne deriva. È questione parecchio più complicata. Che ha le sue radici nel coagularsi del desiderio attorno ad un embrione di rappresentazione mentale di quello che diventerà l’oggetto dell’amore. E quindi nell’impriting originario e sempre diverso da cui ogni storia d’amore inizia. Ognuno ha il suo modo di innamorarsi e di vivere l’abbandono. Coinvolge i sedimenti di abitudine e di affetto, la  sessualità e tutta la costellazione di eventi carichi di energia emotiva di cui ogni rapporto a modo suo è fatto. Si ramifica e si complica  con la gelosia o l’indifferenza,  con la serie variegata e variabile di recriminazioni, rivendicazioni, colpevolizzazioni e sensi di colpa, illusioni e disillusioni, disattenzioni e ossessioni, di cui ogni fine rapporto d’amore diventa il punto di confluenza e di implosione. 


Soprattutto poi, Proust inquadra il tema dell’abbandono non solo nella tematica-fiume che percorre tutta l’opera, che è quella del tempo, degli inganni e dei tesori nascosti oltre i limiti della sua umana percezione, ma anche nella questione della elaborazione del lutto. Perché ogni abbandono comporta un lutto ed ogni lutto ha come precondizione la percezione lancinante di un abbandono.


Dopo la scomparsa della Albertine prigioniera alla fine del volume precedente, il protagonista-narratore della Recherche  fa i conti anche col fatto che l’amore non si spegne con l’abbandono. Al contrario, si riaccende. E poi scopre che si continua a soffrire d’amore per una persona che è morta. Come succede ai mutilati, scrive, che provano dolore all’arto che non hanno più. Forse resta vero che non c’è sofferenza più grande del lutto per una persona vivente, che per propria volontà o per costrizione del destino o di altri (pensiamo alle persone scomparse e in particolare ai bambini scomparsi) ci ha abbandonati. Ma l’amore che continua dopo la morte di Albertine ha tratti strazianti, descritti con metafore che, oltre ad avere la potenza e la sintesi della poesia, sono originali e geometricamente perfette nel rendere la simmetria del significato. Tanto per fare un esempio: “una sorta di talea prelevata su un essere e innestata nel cuore di un altro vi prosegue la propria vita anche quando l’essere da cui essa proviene sia perito”.


Quando si parla della bravura tecnica di Proust, si finisce sempre per andare  sul mistero-miracolo già ricordato della figura e del ruolo del narratore nella Recherche, su cui non si finirà mai di scrivere. E in questa parte così intensamente introspettiva della Recherche mistero e miracolo  risaltano ancora di più. Forse è per questo che Proust diceva che questo è il libro della Recherche che gli era venuto meglio. Ma anche il lavoro di trasfigurazione letteraria che Proust  fa tra la sua esperienza di vita con Alfred Agostinelli e l’Albertine  del romanzo e, insieme, la posizione che parallelamente fa assumere all’amore omosessuale nel racconto, raggiunge un livello tecnico vertiginoso di audacia nell’auto-nascondimento oltre che di ipocrita perfidia. 


D’altronde, per avere della perfidia proustiana una prova ulteriore, basti leggere che dopo lo strazio, il lutto prima per la vivente e poi  per la morta e dopo il lentissimo gocciolare e trascolorare della sofferenza, sotto l’azione impercettibile del tempo che lascia piano piano avanzare l’oblio, chiude la partita in questo modo:

“Così il mio amore che stava finendo sembrava rendermi possibili nuovi amori, e Albertine – come quelle donne lungamente amate per se stesse che poi, sentendo affievolirsi l’inclinazione dell’amante, conservano il proprio potere accontentandosi del ruolo di mezzane – agghindava per me, come la Pompadour per Luigi XV, nuove amichette”. Per arrivare ineccepibilmente a concludere poche righe dopo che “avevo capito che il mio amore era meno un amore per lei che un amore in me…..uno stato mentale”. 


Ultima annotazione. Sul valore immenso della rilettura. Leggere per la prima volta la Recherche significa  sperimentare come nessun altro libro consente di fare, tutta la potenzialità di immersione che la forma-romanzo ha nella bellezza e nei limiti della percezione umana della realtà e in particolare del tempo. Perché la grande intuizione proustiana sta lì: è nella dimensione reale del tempo, molto diversa da quella che ci trasmettono i nostri sensi, la chiave del mistero dell'esistere. E solo l’arte, la trasfigurazione artistica del reale ci può consentirci di provare ad usarla, quella chiave. Per questo, leggere questo libro è una esperienza preziosa, illuminante. Rileggerlo più volte a distanza di anni  oltre che tornare a godere della sua immensa bellezza, ci consente ogni volta di andare un pochino più in profondità e di scoprire nuovi scorci di conoscenza del reale, dell'umano e soprattutto di noi stessi.