martedì 22 marzo 2022

Niente paura di Julian Barnes

 



Una amabile lettura sulle idee che ci si può fare della morte quando non si crede in nessun dio. Esposte con  una leggerezza impastata di buone letture e con una vasta e gustosa (si fa per dire) aneddotica. La leggerezza di Barnes è dichiaratamente sorretta e contraddetta da una robusta paura della morte. Il che la rende tanto più credibile e meritoria.


Dietro c’è non solo un apprezzabile lavoro di documentazione, ma un punto di vista preciso, uno schema d’interpretazione (per quel tanto che l'argomento consente). E mi sono sentito d’accordo con molte delle cose che scrive.

D'altronde, sulla morte o si sta zitti (“davanti alla morte, solo il silenzio” disse Pertini, forse citando non so chi, ma mi piace pensare che fosse una frase sua). Oppure, se si vuole essere lucidi, si deve avere la forza di parlarne con leggerezza, disincanto e senso dell’umorismo, senza perdere aderenza con la concretezza e con la logica. Solo così ci si può mettere ad occhi aperti davanti a quello che altrimenti è l’Indicibile.  Ovviamente sapendo che siamo lontanissimi dal venirne a capo (su cosa sia effettivamente). Resta un mistero e solo a provare a fare ipotesi possiamo arrivare.


Difetti: uno e grosso. Esagera col cazzeggio Barnes (vizio della casa) e qui con il cazzeggio peggiore: quello autobiografico. Sta dentro alla moda letteraria del momento d’altronde. Gigioneggia persino, a tratti; si compiace. In quelle pagine lì, ho lasciato scivolare l’occhio in verticale sulle righe. Però quando sta al tema vale la pena (è il caso,si) di leggerlo. Ed è persino un piacere.


Simpatica l’origine del titolo, che nasconde un ameno imbroglio con le parole

“Trovo questo nel mio diario, scritto venti o piú anni fa:

La gente dice della morte: «Niente paura». Lo dicono in fretta, con nonchalance. Ora, diciamolo un’altra volta, piano ma con enfasi. «NIENTE paura».

Jules Renard: «La parola piú vera, la parola piú esatta, quella piú densa di significato è la parola “niente”».”

Insomma, il titolo del libro di Barnes sulla morte dovrebbe essere in realtà questo: “Niente: paura”

Da cui si deduce l’indicazione più utile che si possa dare per una seria riflessione sulla morte e cioè che deve essere, per essere tale, una seria riflessione sul nulla e sul modo in cui contrapponiamo questo concetto a quello di essere.


Naturalmente,  questa lettura ha un senso se siamo tra quelli che non possono farne a meno di pensarci. Perché ci sono quelli che non lo giudicano un argomento interessante. Non ci pensano (di solito, si sono riempiti la vita di preoccupazioni più di breve termine e più f/utili). O almeno non ne  parlano. E se gliene parli sorridono. I più consapevoli dicono di accettarla e basta. C’è, dicono, e non possiamo farcì niente. D’altronde  una sua funzione ce l’ha: senza, la vita su questo pianeta sarebbe sparita da un pezzo. Potrebbe avere i suoi vantaggi: se tutto ci andrà bene, arriverà forse un momento in cui non ne potremo più di sbatterci. Poi, Epicuro docet, se arriva lei, non ci siamo più noi e quindi che senso ha occuparcene? Meglio pensare a vivere meglio possibile finché dura, la vita. Se accetti la morte accetti la vita e la vivi meglio che puoi: questo è sicuro. Per me quelli che la pensano davvero così sono i saggi, i sani di mente; sono quelli che hanno trovato un equilibrio. Ne ho sentiti tanti dire queste cose, ma conosco solo una persona che mi ha convinto di essere veramente così. Gli altri fingono.