lunedì 7 maggio 2018

Tutto quello che è un uomo di David Szalay





Un gran bel libro. Originale soprattutto, per senso e struttura, anche se la cosa migliore è la scrittura. Senza quella, senza quella qualità non avrebbe retto. Un falso minimalismo. Sembra vetro ed è cristallo. Sfaccettature di senso, limpidezza di descrizione, capacità di cogliere e scomporre nel dettaglio la luce delle cose e del modo in cui vendono viste e vissute. Ma anche fragilità. Un meccanismo delicato, in cui il lettore deve entrare e non distrarsi, prestare attenzione ai dettagli. I paesaggi, su e giù per l’Europa, sono importanti e sono resi con grande nitidezza. Fanno pensare all’America di Hopper. Frasi spesso brevi. Aggettivazione precisa. È semplice come stile, ma devi essere molto bravo per essere così semplice. Altro ingrediente importante: la punteggiatura. Non è solo tecnicamente corretta, ma viene usata benissimo per sincopare il ritmo di lettura. 
La trama scansa tutte le possibili evoluzioni ad effetto, i colpi di scena. Quando c’è qualcosa che potrebbe somigliargli (un fatto importante, una decisione-chiave) lo si lascia scivolare senza nessuna impennata del ritmo, nessun alzo di tono nella scelta delle parole. Ed è una scelta funzionale al senso complessivo del libro: della normalità drammatica con cui le vite scivolano barcamenandosi nella corrente delle cose, per quanto turbolenta possa farsi.

David Szalay
Sono racconti, come fotogrammi di vite, ma messi insieme secondo me fanno un romanzo. E il filo che li lega non è solo lo scorrere delle stagioni della vita, dall’adolescenza alla vecchiaia. Se Szalay avesse lasciato che in ciascun racconto il personaggio fosse lo stesso fotografato in un momento diverso ne sarebbe venuto fuori un tipo umano con una sua connotazione abbastanza coerente. Limitato e ristretto nella sua individualità, però. Sarebbero saltate le possibili varianti, le differenze, che uomini diversi portano con sè (status, cultura, aspetto fisico ecc). E sarebbe saltato il concetto che al di là di queste differenze, al di là delle nostre individualità, c’è per tutti qualcosa, un modo di farsi sentire della vita che li/ci accomuna davanti al corso delle cose. In questo, lo scrive, ad un certo punto, “Pensiamo di essere speciali, e invece siamo tutti uguali”. Probabilmente lì sta una delle cellule germinali del libro e anche la sua genialità. 
Letteratura maschile, senza dubbio, per angolo visuale e sensibilità. Di una tristezza cruda, asciutta. Sono storie di uomini, d’altronde, raccontati nella loro solitudine interiore. Hanno sempre davanti un futuro avvolto nella nebbia e da un certo punto in poi la consapevolezza nuda della fine. Intanto, qualcosa sta per accadere; forse qualcosa o qualcuno sta per dar loro un'opportunità o per far loro del male. Oppure è una turbolenza che chissà dove porta. Sono uomini insomma davanti ad un passaggio stretto, un bivio, un momento in cui forse qualcosa che vale la pena di fotografare si sta determinando. Forse. E questa tensione sottile, questa incertezza corre lungo tutte le pagine. Come una corrente a bassa intensità.
Personaggi che tentano come noi tentiamo, chi più chi meno, di fare le scelte, le possibili correzioni di rotta, le virate di volontà; ma con la forza della corrente delle cose comunque bisogna fare i conti. Si può aver ragione a volte, ma alla fine del gioco è quella che vince. Il senso o, meglio, il dubbio di una incapacità, di non essere all’altezza, permea ogni pagina. A volte c’è il sapore di una sconfitta; che viene per lo più accettata come inevitabile. Fosse anche solo dell’unica sconfitta che a tutti tocca, quella finale, senza rivincita. Poi, occasioni mancate e, magari indossando un sorriso, il triste ripiego dell’accontentarsi: di un’altra donna, di un compromesso, di una nuova città, di un lavoro diverso, di una direzione del destino che non è quella che avevi immaginato e provato a imprimere o che per un attimo pensi di aver intravisto. Della percezione infine che forse una speranza, in qualcosa di misteriosamente nascosto nel tempo infinito che ci precede e ci seguirà si può immaginare di riporla.
Una conclusione delle storie (sono nove) non c’è mai. Le storie, d’altronde (tutte, anche la nostra), scorrono e continuano a scorrere anche dopo che sono finite, in qualche modo: nell’immaginazione, nella memoria che lasciamo, nel tempo dell’universo, appunto. Anche quando abbiamo finito di leggerle e anche quando non ci siamo più. Magari questo, forse, contiene il germe di quella speranza estrema, avvolta nella nebbia. Chissà.
Se fosse una canzone sarebbe questa.
https://www.youtube.com/watch?v=mnYwK...