domenica 18 febbraio 2018

Paradiso di José Lezama Lima



In prefazione Cortazar dice subito che “leggere Lezama è una delle fatiche più ardue immaginabili e spesso più irritanti!”. Detto da lui in effetti c’è solo da aver paura. Se non ti spaventi e vai avanti, scopri che ha ragione. Qualcuno ha anche detto che questo romanzo in certi passaggi sembra dettato da una follia poetica delirante. Molti hanno scritto di “illeggibilità”, di “linguaggio ermetico a tratti indecifrabile”.


Julio Cortazar        e           Lezama Lima 
La difficoltà nasce intanto dal fatto che le frasi di Lima per lunghi passaggi procedono producendo solo immagini. Un meccanismo un po’ come quello del sogno (anche i sogni veri e propri abbondano in effetti e per il lettore quelle sono le immersioni in apnea più profonde e oscure). Come nei sogni, il significato, il legame di senso tra le immagini viene dopo. A volte è immediato, a volte è dura arrivarci.

Per quel che conta la trama, racconta la storia di Jose Cemi, della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua famiglia, dei suoi amici; buona borghesia di immigrazione europea dell’Avana. Che poi è la storia dell’autore probabilmente. Ma in realtà Lezama Lima era un poeta e ha scritto una poesia in prosa lunga ottocento pagine; anzi, ha scritto il suo manifesto poetico. E con la stessa densità espressiva di una poesia. La forma-romanzo gli ha fornito solo il contenitore per farci crescere dentro una specie di giungla tropicale di divagazioni mitologiche, filosofiche e mistiche, di metafore, di descrizioni della stessa vegetazione e architettura domestica e urbana di Cuba. E in sovrapprezzo si è preso la libertà di intrecciare il racconto della realtà con un’immaginazione strabordante: il che sul piano tecnico di lettura complica ulteriormente le cose.
Casa-museo José Lezama Lima, Habana de Cuba
Per raccontare tutto questo usa un vocabolario meticcio, che mette insieme tante fonti: le lingue antiche, le terminologie filosofiche e religiose, i linguaggi delle scienze, dei mestieri e delle arti figurative, la tassonomia botanica e zoologica dei tropici. Il risultato è una costruzione espressiva barocca, ma questo dice ancora poco. E’ un barocco caraibico: meno preciso, più incline alla trasgressione lessicale, all’errore di corrispondenza e di misura, ma è anche molto più ricco di colori e di ormoni. Il risultato finale è di una bellezza espressiva originale, a tratti veramente abbagliante; è bello anche quando il senso sfugge o lo si acchiappa a fatica, solo per il suono-sapore-colore che le parole ti portano.

Alcune pagine, molte direi, sono da incorniciare. Per esempio le scene erotiche, quando Lezama descrive “il proseguire della comunicazione tra gli umani attraverso l’intimità dei corpi” (così lo intende il sesso e lo racconta ben oltre i limiti che separano l’erotismo dalla pornografia). Per esempio quando racconta la morte, quella fisica, dura da leggere, del “colonnello”, della nonna Augusta, dello zio Alberto: sono pagine che danno un’emozione profonda. Per esempio quando, descrivendo case e cose, fa annotazioni sparse sul legame tra i vivi e gli avi che passa proprio attraverso le stanze, gli oggetti, nel ripetersi sorprendente di un gesto o di una frase. Tutte cose che riemergono magari da una sepoltura di decenni e rompono il diaframma tra presente e passato, tra spazio e tempo.
E’ insomma un’esperienza di lettura molto, molto impegnativa, con momenti di frustrazione assoluta, ma anche molto bella. A volte poi Lima tocca livelli di invenzione così innocentemente audaci, di un candore gioioso, da far sorridere. E la lettura diventa un gioco "Buscando visa para un sueño", come dice questa canzone



Volendo dare un’idea finale e tentare un confronto oltre i limiti dell'azzardo, si potrebbe dire che se Gadda anziché un ingegnere lombardo o Bufalino un insegnante siciliano fossero stati due creoli avaneri, ipercolti e in pieno rigoglio ormonale, forse avrebbero potuto scrivere un romanzo così.