In prefazione Cortazar dice subito che “leggere Lezama è una
delle fatiche più ardue immaginabili e spesso più irritanti!”. Detto da lui in
effetti c’è solo da aver paura. Se non ti spaventi e vai avanti, scopri che ha
ragione. Qualcuno ha anche detto che questo romanzo in certi passaggi sembra
dettato da una follia poetica delirante. Molti hanno scritto di
“illeggibilità”, di “linguaggio ermetico a tratti indecifrabile”.
Julio Cortazar e Lezama Lima
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La difficoltà nasce intanto dal fatto che le frasi di Lima
per lunghi passaggi procedono producendo solo immagini. Un meccanismo un po’ come
quello del sogno (anche i sogni veri e propri abbondano in effetti e per il
lettore quelle sono le immersioni in apnea più profonde e oscure). Come nei
sogni, il significato, il legame di senso tra le immagini viene dopo. A volte è
immediato, a volte è dura arrivarci.
Per quel che conta la trama, racconta la storia di Jose
Cemi, della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua famiglia, dei suoi
amici; buona borghesia di immigrazione europea dell’Avana. Che poi è la storia
dell’autore probabilmente. Ma in realtà Lezama Lima era un poeta e ha scritto
una poesia in prosa lunga ottocento pagine; anzi, ha scritto il suo manifesto
poetico. E con la stessa densità espressiva di una poesia. La forma-romanzo gli
ha fornito solo il contenitore per farci crescere dentro una specie di giungla
tropicale di divagazioni mitologiche, filosofiche e mistiche, di metafore, di
descrizioni della stessa vegetazione e architettura domestica e urbana di Cuba.
E in sovrapprezzo si è preso la libertà di intrecciare il racconto della realtà
con un’immaginazione strabordante: il che sul piano tecnico di lettura complica
ulteriormente le cose.
Casa-museo José Lezama Lima, Habana de Cuba
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Per raccontare tutto questo usa un vocabolario meticcio, che
mette insieme tante fonti: le lingue antiche, le terminologie filosofiche e
religiose, i linguaggi delle scienze, dei mestieri e delle arti figurative, la
tassonomia botanica e zoologica dei tropici. Il risultato è una costruzione
espressiva barocca, ma questo dice ancora poco. E’ un barocco caraibico: meno
preciso, più incline alla trasgressione lessicale, all’errore di corrispondenza
e di misura, ma è anche molto più ricco di colori e di ormoni. Il risultato
finale è di una bellezza espressiva originale, a tratti veramente abbagliante;
è bello anche quando il senso sfugge o lo si acchiappa a fatica, solo per il
suono-sapore-colore che le parole ti portano.
Alcune pagine, molte direi, sono da incorniciare. Per
esempio le scene erotiche, quando Lezama descrive “il proseguire della comunicazione
tra gli umani attraverso l’intimità dei corpi” (così lo intende il sesso e lo
racconta ben oltre i limiti che separano l’erotismo dalla pornografia). Per
esempio quando racconta la morte, quella fisica, dura da leggere, del
“colonnello”, della nonna Augusta, dello zio Alberto: sono pagine che danno
un’emozione profonda. Per esempio quando, descrivendo case e cose, fa
annotazioni sparse sul legame tra i vivi e gli avi che passa proprio attraverso
le stanze, gli oggetti, nel ripetersi sorprendente di un gesto o di una frase.
Tutte cose che riemergono magari da una sepoltura di decenni e rompono il
diaframma tra presente e passato, tra spazio e tempo.
E’ insomma un’esperienza di lettura molto, molto
impegnativa, con momenti di frustrazione assoluta, ma anche molto bella. A
volte poi Lima tocca livelli di invenzione così innocentemente audaci, di un
candore gioioso, da far sorridere. E la lettura diventa un gioco "Buscando visa para un sueño", come dice questa canzone
Volendo dare un’idea finale e tentare un confronto oltre i
limiti dell'azzardo, si potrebbe dire che se Gadda anziché un ingegnere
lombardo o Bufalino un insegnante siciliano fossero stati due creoli avaneri,
ipercolti e in pieno rigoglio ormonale, forse avrebbero potuto scrivere un
romanzo così.