lunedì 27 settembre 2010

Methaforèin

"La gente non sa niente delle metafore. È una parola che si vende bene, perché ha un portamento fiero. "Metafora": l'ultimo degli ignoranti percepisce che viene dal greco. Una raffinatezza incredibile, queste etimologie fasulle – fasulle, veramente: quando si conosce una polisemia della preposizione metá e la neutralità buona per tutte le stagioni del verbo phéro, per essere in buona fede si dovrebbe concludere che la parola "metafora" significa qualunque cosa."
( Amélie Nothomb, Igiene dell'assassino)

E invece, la gente sa molto delle metafore. Forse magari qualcuno non sa che si chiamano così e non ne conosce l'etimologia, come non la conosce la Nothomb, però le usa. Eccome.
Methaforèin ha un significato preciso: significa trasportare, trasferire.
La metafora è una figura retorica che permette di associare rapidamente realtà distanti e diverse. Trasferisce porzioni di senso da una parola all'altra, senza esprimere in maniera esplicita ciò che normalmente consente la sovrapposizione dell'una parola sull'altra, creando un rapporto di identificazione più che di somiglianza.



Sei un babà , non sei dolce come un babà, ma sei un babà. Hai la tenera consistenza, la cedevolezza, la dolce e sugosa morbidezza di un babà: questa è una metafora.

Anni di piombo sono quelli che hannno graffiato le nostre vite. Non « anni pesanti come il piombo, anni grigi come il piombo », ma anni di piombo. Così, in modo fulmineo si riconosce in un periodo, uno stato d'animo cupo, triste, disperato: questa è una metafora.
Di metafore è pieno il linguaggio colloquiale e quotidiano, di metafore si nutre il linguaggio degli artisti.

Avatar per esempio, è il film che ha incassato di più nella storia del cinema.
Le chiavi di lettura metaforiche a cui si presta il film (la fantascienza tutta è una metafora del presente, delle paure del presente) sono tante.
E nell'era del web 2.0, siamo circondati da avatar.
Non hanno forse gli avatar un valore metaforico?  non creano un rapporto di vera e propria identificazione tra l'immagine e il soggetto?
E' la sensibilità di chi crea la metafora (anche con atto involontario) a renderla degna di nota.
Ecco, ad esempio, il postino e il poeta.

E, non c'è bisogno di dirlo, occorre avere "riferimenti sensibili" (esperienza e conoscenza) , anche per recepire le metafore, che germogliano sul terreno della poesia, della pittura, della cinematografia.
Meri esercizi retorici o stilistici, ma anche no.

Mia brutta, dove stan nascosti i tuoi seni?                                     Non ho voglia
Son minuscoli come due coppe di frumento.                                  di tuffarmi
Mi piacerebbe vederti due lune sul petto:                                      in un gomitolo
le torri gigantesche della tua sovranità.                                        di strade.
(Mia Brutta, vv. 5-8  P. Neruda)                                                    (Natale, vv. 1-4 G. Ungaretti)

Giuseppe Crespi a Bologna a metà Settecento raffigura una bella giovane donna dai tratti felini con in braccio un gattino e un fascio di rose.
Un ritratto ?
No.
La bellezza della giovane è insidiosa.
E' come le rose che nascondono le spine, come il gattino che puo' tirare fuori gli artigli.
La donna stessa puo' essere pericolosa.
Le spine, gli artigli : immagini come metafore.


Joseph Cornell isolato, quasi prigioniero nella sua casa a New York fino al 1972 costruisce le sue composizioni, le sue « scatole » che raccolgono oggetti disparati, un mondo di poesia.
Nostalgia del Brasile.
Il Brasile è colorato come le penne del pappagallo. E' esotico come l'etichetta del Grand Hotel incollata sul fondo. Idee, pensieri resi attraverso gli oggetti.
Il Brasile, il pappagallo, il Grand Hotel: metafore di un mondo lontano, irraggiungibile, sognato.

 
                                 Durer in Germania nel 1500 si raffigura nel proprio autoritratto come Cristo. Volontariamente usa i codici della rappresentazione di Cristo : l'aspetto, la frontalità, il gesto della mano.
La scritta spiega , le parole sono evidenti : Io Albrecht Dürer di Norimberga, all'età di ventotto anni, con colori eterni ho creato me stesso a mia immagine".
"Creato" non "dipinto".
Durer si sente non più artigiano ma intellettuale, artista. E il pittore, l'artista è un creatore, quando da sostanza alle sue immaginazioni, è una scintilla, una parte del divino, è come Dio, è Dio.
Il dipinto in se stesso è una metafora.

E la metafora nei millenni è stata usata per trattare l'intrattabile, quel che esplicitato appare  osceno o blasfemo.
La metafora esprime così l'arte più sofisticata e insieme la cultura più autentica del popolo, del volgo. Sublime e volgare appunto. Un esempio? Eccolo, per finire.