La Giuntina è una casa editrice che sta facendo un gran lavoro sulla letteratura israeliana, ebraica e yiddish. Adesso ha fatto scoprire anche a noi questo autore di assoluto livello e possiamo solo essergliene grati. Un catalogo da spulciare ogni tanto, assolutamente.
La moglie del rabbino
Grade appartiene alla letteratura ebraica e yiddish e leggendolo si finisce sempre per pensare ai Singer. Impropri e spesso ingiusti i paragoni: altro tipo di prosa, meno rotonda, meno ad effetto, ma anche questa di pregio, con una narrazione asciutta, essenziale, ma anche a tratti con i sentori della vocazione poetica dell’autore. Pochi aggettivi e riesce a delineare i caratteri del personaggio, a descrivere un paesaggio, un’atmosfera. Il quadro che dà Grade di quel mondo, senza nostalgie di maniera, a tratti anzi impietoso, non per questo ne rende meno la suggestione, la bellezza letteraria, il patrimonio di storie umane e di cultura di popolo che aveva dentro.
E poi
bisogna dire che è veramente potente la caratterizzazione della figura di
Perele, la moglie perfidamente incontenibile e incontentabile del rabbino di
provincia. Lui è un uomo buono e modesto, che finisce con l’essere travolto
dalle strategie di rivalsa della moglie, per lui incomprensibili. La scena della
irruzione di lei al capezzale dell’uomo che l’aveva saggiamente rifiutata (il
rabbino più rabbino di tutti), rompendo il fidanzamento con lei é formidabile.
Personaggio che davvero non si dimentica, anche perché tutti ne abbiamo
conosciuta più di una di donne così.
Lettura d’altronde, che anche per altri aspetti si presta ad interpretazioni e a riflessioni che vanno al di là del mondo e del contesto in cui si svolge. Per esempio sul gioco delle fazioni e sulla capacità che hanno di travolgere la ragione e violentare i caratteri.
Annotazione a margine, personalissima. Leggendo questo libro mi è venuta in mente quella frase credo di Virginia Woolf, che molte donne citano spesso: “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Per fortuna il “sempre” è sempre una esagerazione, ma mi sono confermato nel sospetto, sempre avuto, che, pochi o tanti che siano, comunque si tratti di uomini che hanno avuto una vita molto, molto difficile.
Fedeltà e tradimento
Questi invece sono due bei
racconti. Tutti e due, ma il secondo in particolare, esemplari, sulla disputa
tra illuminismo e scienza da una parte e cultura della verità rivelata
dall’altra, in quel laboratorio di pensiero che fu la comunità ebraica
nell’oriente europeo. Chaim Grade dimostra come si tratti di temi tutt’altro
che superati.
Il
Novecento ha minato la fiducia nella cultura della ragione, nella profondità
come direzione della conoscenza, nei grandi sistemi filosofici, figli della età
della ragione. I nazisti che leggevano i grandi filosofi tedeschi, che
suonavano Bach e guardavano estasiati opere d’arte un attimo dopo aver
ammassato i bambini a colpi di stivali chiodati nei carri merci diretti verso i
lager, hanno messo in discussione la convinzione che la cultura, la
ragione e la bellezza salveranno il mondo. E per capire quanto questo abbia per
esempio influito sui presupposti culturali che stanno dietro alla rivoluzione
informatica e al web, basta leggere anche “solo” il Game di Baricco.
Il
confronto tra l’ebreo laicizzato, rasato e senza cappello, con l’ebreo che
studia solo i libri sacri, con la barba bipartita, il copricapo nero a larghe
tese e la capigliatura con la rasatura degli angoli e i cernecchi è
modernissima e appassionante. E poi l’elaborazione secondo l’ortodossia ebraica
della shoah è resa con un un rigore e con un furore che commuovono. Tanto più
irriducibili in quanto impotenti e percorsi da sensi di colpa, gelosi solo del
valore che hanno di pura, intransigente testimonianza e, nonostante tutto, di
fiducia nel Dio vivente più lontano, crudele e imperscrutabile concepito da
mente umana.
Il
messaggio di ricomposizione, tolleranza e integrazione che da queste due
visioni apparentemente così irriducibilmente contrapposte Grade tira fuori e ci
passa, è una lezione ancora validissima.