Franzen è un tipo che non mi piace e, per stare ai suoi romanzi, m’é sembrato buono solo Le correzioni. Gli altri li ho buttati a metà. Quindi Crossroad l’ho avvicinato con tutte le diffidenze. E invece è un bel romanzo. Il suo migliore, secondo me, per la scrittura (pulita e elegante per la verità anche nei precedenti), il ritmo, l’architettura del racconto, la struttura, la trama, i temi che affronta e il modo in cui lo fa. Mi è piaciuto soprattutto perché è un vero romanzo; tanto più gradito in quanto arriva in una fase in cui ormai può essere romanzo qualsiasi cosa: autobiografie, docufiction, saggi e quant’altro si vuole. Questo, come anche il libro di Piperno, uscito e letto da poco, ha il taglio, il respiro e il disegno di un romanzo di stampo classico, con un incastro di storie e insieme una compattezza che ti fa sentire dentro dentro a un mondo. La forma romanzo originale infatti ha soprattutto questo di bello: mentre ti racconta una storia che ha una sua direzione, ti porta in un mondo e ti lascia libero di girarci dentro e attorno; ti da la sensazione di essere come in tutti i campi in cui si fa un gioco, ben protetti da confini e regole, disegnati apposta per fare quel gioco lì. Un piccolo mondo inventato che riflette quello reale e che puoi osservare a distanza di sicurezza sotto il microscopio/telescopio della narrazione.
Qui si respira fin da subito un aria da carnage famigliare in ambiente ecclesiale, animato da velleità di coerenza morale e ansie di confessione, comunione, pentimento, redenzione e salvezza. E a fianco, non caso, sempre presente a far da parallelo e da specchio, ad animare quel mondo c’è una qualche droga. Una famiglia che viene investita e travolta da dinamiche di vita che si incrociano, si allontanano o collidono. E precipitano in un avvitamento che genera tensione narrativa, tiene avvinto il lettore. La specificità è che ogni dinamica conflittuale, che sia di coppia o sociale, ogni personaggio, persino ogni pensiero ed ogni messa in atto vengono raccontati, con una abilità senza sforzo apparente, per mostrare il lato in ombra, la zona oscura. Il buono e il cattivo, il bene e il male, l’intenzione e l’azione, ciò che dall’esterno e da lontano poteva sembrare nettamente demarcato da una linea morale, quando il narratore ci porta ad avvicinarci, si vede che invece è mescolato col suo contrario in una zona grigia. E quando, scavando, ti ci porta proprio dentro a quel fatto, a quella mente, a quel rapporto, capisci che qualsiasi giudizio tu possa farti porterebbe in se la traccia di un errore.
Capisci che ogni categoria come colpa e peccato o bontà e ferocia o integrità e fragilità, ogni griglia morale attraverso cui vuoi setacciare e classificare le cose che pensi, che fai e che accadono non regge alla prova. Stai piuttosto davanti a nuclei di bene e male investiti da scariche di energie ingovernabili; e che sotto quella spinta interagiscono, in sospensione in un vuoto. Esattamente come succede nella materia, in tutto ciò che esiste. Ciò che sembrava buono in una visuale e in una configurazione che sembrava ferma e invece passa o rispetto alla quale si cambia il punto di osservazione, si trasforma in un’altra e diventa cattivo. E viceversa. Anche in questo, Crossroads è un romanzo nel senso più originario. Perché il romanzo si fonda proprio sull’ambiguità implicita nel raccontare, perché riflette a sua volta l’ambiguità del reale. E la forma romanzo, soprattutto nella sua versione antica, più pura, è bella e utile soprattutto per questo.
Una delle cose che mi hanno colpito di più nella “sostanza” di questo libro è il modo in cui descrive proprio quelle energie fuori del controllo cosciente che investono la vita umana. A partire dalla forza vitale e insieme potenzialmente annichilente delle pulsioni, capaci di spazzare via tutte le impalcature di convenzioni, fedi e ideali. E che portano tutti i personaggi a livelli di ipocrisia che sono fisiologicamente mostruosi negli ambienti pervasi da una qualche idea di fede e a commettere gli errori più autolesionistici. Ma ancora di più, sul versante opposto, mi ha colpito la descrizione del meccanismo comportamentale con cui si tenta invece di comprimerle, le pulsioni; e di liberarsi di emozioni e sentimenti. Di come ci si mortifica nelle proprie spinte interiori e di come si sparge il dolore tra le persone che ti amano, nel nome della autoproclamata coerenza morale con un’ideale, una convenzione dominante, una valutazione di convenienza.
Tutti i componenti della famiglia sono investiti e travolti da questo meccanismo. Tentano di imporsi e imporre la loro coerenza nel nome di un "Assoluto", di una “bontà” o di un “rigore” o di una ambizione di “migliorarsi”. Salvo veder affiorare ad ogni passo il dubbio se questo tentativo non lo stiano facendo lungo la via più facile, quella che produce il minor attrito sulla propria vita o sulla propria immagine di se. O peggio, sulla via che li porta a procurarsi un vantaggio, a raggiungere un obiettivo, spesso tutt’altro che “nobile”. Soddisfare pulsioni appunto; oppure un obiettivo meramente materiale. A volte a dominare è il bisogno di sentirsi protetto, al sicuro, in una struttura sociale, in un contesto relazionale o semplicemente in una casa. In altri casi si agisce per consumare una inconfessabile vendetta, o al contario per liberarsi da una colpa proiettandola sull’altro. Ma può essere anche per l’omaggio a un qualche “mostro” mentale che garantisce in cambio la carezza di sentirsi dire “bravo” dal proprio genitore interiore. Tutto questo pacchetto di dividendi costa spesso il prezzo della rinuncia a una emozione e a un sentimento, che presto viene trasmutato in rabbia. Oppure, in alternativa o in successione, viene diluito nella dolcezza ipocrita di un rimpianto, in una vaga nostalgia che fa sentire “belli dentro”. Alla fine, il risultato è che si tradiscono tutti, incapaci di gestire anche il tradimento se non ricorrendo a un nuovo tradimento. Tutto, meno che l’accettazione del fatto di essere dentro una complessità senza una Mente Giudicante; tutto meno che la franchezza di una spiegazione, la pulizia di un conflitto regolato che salvi quel che è salvabile dentro e fra di loro.
In questo senso, il romanzo va letto anche come un bestiario di quello e quelli da cui è bene stare, per quanto difficile sia, il più possibile lontani.