venerdì 4 settembre 2020

SCARAPERLE - 14 - Emily Dickinson




Forse non c'è ancora un saggio su Emily Dickinson che ne metta a fuoco  come si deve quella che  è la qualità migliore o una delle componenti primarie della bellezza delle sue poesie: la limpida precisione, la lucida esattezza. 

E siccome la mette spesso a servizio della conoscenza di se, dei sentimenti, del mistero della vita e della morte, questa esattezza si traduce in chirurgica spietatezza. Verso gli altri, ma soprattutto verso se stessa. 

Una qualità che può essere legittimamente interpretata anche come cattiveria (avrebbe avuto d’altronde abbondanti ragioni per nutrirne). Ma la vera cattiveria è quella che viene dall’indifferenza al dolore, proprio e altrui; dalla cecitá della mente chiusa alla potenza rivelatrice delle emozioni, proprie ed altrui. Al contrario può essere scambiato come cattiveria quello che invece è il portato inevitabile di una sensibilità straordinaria, messa al sevizio della conoscenza. È lucida manifestazione di una  coscienza ipertrofica.

Ecco un esempio di bellezza abbagliante:


“Cadde tanto in basso nella mia considerazione

che lo udii battere in terra

e andare a pezzi sulle pietre

in fondo alla mia mente.


Ma rimproverai la sorte che lo abbatté meno 

di quanto denunciai me stessa,

per aver tenuto oggetti placcati

sulla mensola degli argenti.”