lunedì 27 settembre 2010

Methaforèin

"La gente non sa niente delle metafore. È una parola che si vende bene, perché ha un portamento fiero. "Metafora": l'ultimo degli ignoranti percepisce che viene dal greco. Una raffinatezza incredibile, queste etimologie fasulle – fasulle, veramente: quando si conosce una polisemia della preposizione metá e la neutralità buona per tutte le stagioni del verbo phéro, per essere in buona fede si dovrebbe concludere che la parola "metafora" significa qualunque cosa."
( Amélie Nothomb, Igiene dell'assassino)

E invece, la gente sa molto delle metafore. Forse magari qualcuno non sa che si chiamano così e non ne conosce l'etimologia, come non la conosce la Nothomb, però le usa. Eccome.
Methaforèin ha un significato preciso: significa trasportare, trasferire.
La metafora è una figura retorica che permette di associare rapidamente realtà distanti e diverse. Trasferisce porzioni di senso da una parola all'altra, senza esprimere in maniera esplicita ciò che normalmente consente la sovrapposizione dell'una parola sull'altra, creando un rapporto di identificazione più che di somiglianza.


giovedì 16 settembre 2010

DELITTI ESEMPLARI


Il libretto di Max Aub "Delitti esemplari", in una sessantina di pagine, "contempla" circa novanta delitti. Storie vere, dice. Scherzetti, in realtà. Ma inquietanti.
Non ci si aspetti di trovare exempla sui modi di ammazzare.
Basta una pietra, una spinta. Sono i moventi, che fanno "exempla".
E, in questi delitti esemplari, il movente è spesso banalissimo. Insofferenza verso il prossimo, stizza, goccia che fa traboccare il vaso (o la boccettina ).
Assassinio come atto liberatorio e catartico.
Il senso di "vicinanza" che si prova verso l'assassino, piuttosto che verso la vittima, allontana il lettore dal discrimine bene/male, da ogni senso di "moralità".
Siamo tutti potenziali omicidi.
Si preferiscano i surrogati. Maleparole e malipensieri.
O immaginazioni, come queste.

mercoledì 8 settembre 2010

Lamento burino per gli "usi impropri"

C.C. Baxter, in vacanza nel paese dove ebbe i natali il suo trisavolo, è in piazza a prendere il fresco settembrino in compagnia dell' ormai inseparabile Ipad e degli autoctoni volti noti. 
La comparsa del post di M.me Suzette, letto ad alta voce a beneficio degli astanti, Vincenzino, Minuccio, e mastr' Antonio, scatena una vivace discussione. Per deformazione professionale Baxter gira armato di registratorino, che viene prontamente messo in funzione.
Di seguito è riportata la trascrizione delle parole pronunciate (urlate, in verità), da Domenico detto Minuccio, di professione commerciante. Che ha accettato di farcela pubblicare. E con tanto di firma. Speriamo di poterlo ospitare ancora.
 
N'ge posso crete Ciccì.
Me meravigliò de te, che te metti co' cert'aggente. Che sei omo de coldura, co' rispetto parlando, me scí capito no?
Mo' pure le fasciature de Gibó volemo fa diventá na zuzzeria? Tutt'a quello stanno appenzá ste femmine, ué. Io n'é bosso biú,  n'é bosso!  Mo' te racconto.

martedì 7 settembre 2010

Uno scambio di vocali ovvero : La doppia vita del dottor Gibaud.

E' dura la vita del corrispondente! Sempre di fretta a fare domande, a cercare informazioni; a volte si puo' cadere in trappole inaspettate, fare degli errori.
Anche la VC ha rischiato di perdersi in un equivoco vocalico.
Ma non ha intenzione di nascondere il suo passo falso anzi, indossando i panni di una corrispondente contrita ( tailleur marrone scuro con cintura borchiata di corda), rende pubblico l' errore che avrebbe potuto distruggere una reputazione.

Il dottor Gibaud, con le sue fasce elastiche, ha sempre occupato nella storia sanitaria familiare, insieme al confetto lassativo Falqui dal dolce sapore di prugna e alla pomata Vicks Vaporub, da stendere con qualche carezza e un panno di lana caldo su infantili toraci raffreddati, un ruolo insieme curativo e consolatorio. «Ti fa male la schiena, il ginocchio o la pancia ?...- consigliavano le nonne o le zie - metti subito la fascia del dottor Gibaud ». Il calore irradiato dalla fascia si univa alle parole di conforto e il piccolo dolore trovava subito la sua cura.

domenica 5 settembre 2010

Che forma ha la musica?

di Johnny Fritz

C'è qualcuno che nel 2010 dC esce di casa con un lettore cd portatile. Sì, il lettore cd portatile, quello che all'epoca mandò in pensione il walkman. Centomila lire, regalo di papà. Resiste e mi riaccompagna nella tracolla.

Tempo dopo quel regalo da grandi occasioni, cedo alle lusinghe dei primi lettori mp3, ancora ingombranti perché leggevano comunque un compact disc. Vuoi mettere i canonici 70-80 minuti con una media di 170 brani?
Ogni volta si ripeteva la tragedia di selezionare circa duecento brani da decine e decine di dischi. Nessuna canzone era sacrificabile, i parametri di scelta affollavano la mente. Inserisci il cd, seleziona, estrai, converti, rinomina, masterizza. Per poi non ascoltare nulla più delle solite dieci-quindici preferite.
Poi venne il lettore mp3 nelle sue attuali forme e sbalorditive funzioni, e dopo ancora suo figlio più figo: l'iPod. Accattivante, multicolorato, essenziale.
 Ma chissà perché gli 8 giga disponibili promessi non sono mai 8 ma sette e dispari. File di sistema, impostazioni, dice. Roba così. Un'aliquota di spazio che manca per la quale dovrai magari sacrificare quel pezzo di dieci minuti su altri ottocento che è assolutamente indispensabile. E poi, oltre all'obbligo di selezionare i brani con l'iTunes, dipende interamente dal pc anche per ricaricare le batterie (adattatore non incluso) e la stessa dotazione in ioni di litio dura vergognosamente poco.
E allora no: torno al mio lettore cd, sopravvissuto all'umido dello scantinato, ad anni di spostamenti andata e ritorno da casa a scuola e vacanze varie.
Si può parlare di cose di appena dieci anni fa o poco più in termini di "roba di una volta" come la nonna delle vecchie sedie, la mamma della sua irriducibile ventennale Zerowatt, e il babbo della buonanima della vecchia Golf che ci ha portato in giro lungo tutto lo Stivale - isole incluse?
Sì, perchè niente va più veloce della tecnologia e della sua obsolescenza programmata.


sabato 4 settembre 2010

I lettori-rana di Amelie Nothomb

Chi frequenta un mondo di grandi lettori, come quello di Anobii (www.Anobii.com) ne incontra, di lettori-rana. 
Sono quelli che, mentalmente vestiti a festa (perchè leggono come andassero ad una festa, aspettando con ansia sincera il momento di sprofondarci dentro), si buttano nei libri come in un salotto affollato: per stordirsi, per lasciarsi ipnotizzare dal rumore delle parole e da quel che evocano, per "incontrare gente", per riconoscersi belli e bravi, per non pensare. 
Li usano come una specie di anestetico. Non per invocare un sonno bello di sogni, ma per dimenticare di essere vivi anche quando sono svegli. E per non vedere l'infinita infelicità che si portano dentro e che seminano con inconsapevole crudeltà al loro passaggio. Non vogliono ricordare quel che sono e quel che hanno fatto della loro vita e tentar di cambiarla. Vogliono solo dimenticare di essere quel che dentro non accettano di essere (e magari non sanno di essere a volte persino belli, il che aumenta la tristezza della cosa). Anche così, in fondo, la lettura ha una sua funzione benefica.
Se ti capita di incontrarli davvero, però, ti accorgi che dopo ogni libro, come dopo ogni incontro della loro vita reale,  si lasciano dietro un filo nero e gelatinoso di parole e di sofferenza; un filo addobbato magari di spiritosaggini o di frasi sperluccicanti, come perle fasulle. Un filo nero  e gelatinoso esattamente come quello che le rane emettono nella stagione dell'amore:  ma, dal quel filo, non nasce niente. 
Ecco cosa ne scrive la Nothomb: 

giovedì 2 settembre 2010

Calligrammi: istruzioni pratiche

"Et moi aussi, je suis peintre "
  (Guillaume Apollinaire a Pablo Picasso)

Puo' la poesia diventare pittura ? Possono le parole diventare disegno?
Sì, con i calligrammi.
Calligramma nasce dalla fusione di due parole calligrafia ( bella scrittura ) e ideogramma ( il segno che rappresenta una parola o un'idea).
A crearlo è un poeta, Guillaume Apollinaire, per definire le sue poesie, pubblicate nel 1918, dove le parole diventano l'equivalente del tratteggio in un disegno e la poesia pittura.

Certo non è Apollinaire a inventare il procedimento, noto fin dall'antichità, ma è lui a dargli un nome e a usarlo in maniera sistematica, influenzato dalla pittura, dai quadri cubisti, dove le scritte, le parole fanno parte della composizione, anche se sono usate come pure forme senza pero' avere un senso.

Il primo collage di Picasso, Compotier...


Pittore e poeta diventano la stessa persona.
Il calligramma è una sorta di collage fatto con le parole anzichè con immagini ritagliate:le parole acquistano un senso che dipende dalla figura, dalla disposizione e perfino dalla composizione tipografica delle lettere.
Chi legge deve essere attivo, partecipe, deve decifrare, trovare il senso della lettura, immaginare le relazioni sia tra il testo e il disegno che tra le varie figure di una pagina : scrittore e lettore diventano compartecipi, complici.



La cravate et la montre. 

Le parole sulla cravatta alludono alla fatica al senso di soffocamento che puo' provocare. 

Nel quadrante dell'orologio: 
se si guardano in senso orario le parole, si vede come dopo le 6 le parole aumentano mano mano che aumenta il numero delle ore ; dalle 7 in poi ogni frase, ogni parola è un piccolo rebus (7 = settimana=T , infinito rovesciato =8, numero delle Muse = 9 ) poi ci si puo' divertire a decifrarli. 

E che c'entra la cravatta con l'orologio? 
Sta a noi scoprirlo.