tag:blogger.com,1999:blog-77531194880329652272024-03-21T09:26:01.452+01:00scarabooksscarabocchi, scaracchi, scaracollate ed altro ancoraScarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comBlogger223125tag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-4714458980590947122023-04-27T09:24:00.002+02:002023-04-27T09:35:30.637+02:00Guerra e pace di Lev Tolstoj<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2cqrbPpCdHDZErEuwIycKOXsDmLxO8IjDOV1PGuOSMradsmV1q1ukhwviXPrxgscgW--vVbVRC-NjhQOLEpd6l2Ntlr9C1WvzmIniViWdj89gzt7VfFpX8Jq2BhjpTFWS1cfI64aeNiS9JFooQTqS_LS3bkR1jczOHKJrf2NWJfPc8LnfyoYeVA1A/s600/Guerra%20e%20pace.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="376" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2cqrbPpCdHDZErEuwIycKOXsDmLxO8IjDOV1PGuOSMradsmV1q1ukhwviXPrxgscgW--vVbVRC-NjhQOLEpd6l2Ntlr9C1WvzmIniViWdj89gzt7VfFpX8Jq2BhjpTFWS1cfI64aeNiS9JFooQTqS_LS3bkR1jczOHKJrf2NWJfPc8LnfyoYeVA1A/w251-h400/Guerra%20e%20pace.jpg" width="251" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Va bene che i classici li chiamiamo così perché hanno la
capacità di andare oltre il loro tempo, il tempo in cui sono stati scritti e in
cui sono ambientate le loro storie.
Sanno cioè continuare a parlare delle cose umane anche alla modernità più lontana nel futuro. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Va bene che più si attraversano gli anni e i libri, più
si scopre la bellezza delle riletture.
Perché le riletture sono affrancate dalla febbre della trama, dagli imbarazzi del
primo incontro con i personaggi, dalla più o meno piacevole fatica di scoprire stilemi e
meccanismi narrativi. La leggerezza fa guadagnare alla rilettura lo sguardo
alto e la profondità della penetrazione nel testo. Fa venir fuori il puro
piacere che viene dalla bellezza della lettura. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Per fare un esempio,
è purissima bellezza letteraria la potenza drammatica dell’annuncio
della morte di Petja prima a Natascia, mentre sta tentando di elaborare il
senso e il lutto della morte di Andrej e poi alla madre. È paragonabile per
forza emozionale forse alla scena di Cecilia e della madre nei Promessi
sposi. Ambedue di una resa romanzesca quasi insostenibile. La potenza
drammatica alla prima lettura abbaglia. Alla seconda avvolge.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Va bene tutto questo, però rileggere Guerra e pace e
pensare per tutto il tempo che Tolstoj era uno di noi, un uomo del novecento, è tutta un’altra cosa. Alla rilettura balza fuori evidente. Tolstoj è morto nel 1910, ma i suoi romanzi
maggiori sono stati scritti nella seconda metà dell’800 e di quel secolo
portano ovviamente l’impronta. Eppure lo
si può davvero leggere come un autore del nostro tempo, ben al di là del
contesto storico ed al di là del fatto, nel caso di Guerra e pace, che di un romanzo storico si tratta. Ma le
piccole storie, persino quelle autobiografiche, come la grande Storia, se
filtrate nel laboratorio del romanzo da un grande narratore, travalicano i
limiti della vicenda e parlato a tutti e di tutti, al di delle epoche e degli
individui.</span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Va anche detto che la nuova traduzione di Emanuela Guercetti
accende un’altra luce sulla lettura.</span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">Il primo tratto</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;"> di modernità </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">sta
nella riproposizione, in pieno positivismo, della centralità del Mistero e
della consapevolezza della povertà degli strumenti umani davanti ad esso.
Bisognerà aspettare l’emergere degli enigmi della meccanica quantistica e della
relatività, perché questa percezione torni ad essere dominante, comune. E il </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;"> </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">Mistero in Tolstoj è quello novecentesco: il
mistero dell’essere, dell’esistere tra due nulla; è anche</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;"> </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">il mistero</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">
</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">del fenomeno lancinante della coscienza umana dell’esistere e del
morire; infine é il mistero della imperscrutabilità che diventa ora anche irrintracciabilità
del divino. C'è la ricerca disperata di un dio ordinatore della mente e della Storia che sembra sparito.</span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Il secondo sta nel sé narcisista ed ipertrofico, anche quello potentemente
novecentesco, di Tolstoj. E che è il suo
motore creativo, la forza che lo faceva sedere a scrivere. Un bisogno di
riconoscersi e compenetrarsi nel Tutto, che si scontrava con quella percezione
del dubbio e col rifiuto di accettare la propria morte e la “morte di dio” di cui si diceva. I suoi personaggi,
Andrej e Pierre su tutti, cercano disperatamente una via di salvezza dal
nulla. Vogliono continuare a comprendere
e tener il mondo dentro un logica, dentro un senso, che per quanto
inafferrabile, lo trascenda e lo/li affranchi dalla dissoluzione, prima morale
e poi fisica. Ma la vera
rappresentazione di Dio in Tolstoj è il
suo sé, che vuol fondersi col reale, cerca una onnipotenza perduta di cui conserva la memoria e la nostalgia.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Il terzo è nella visione religiosa a cui, con questa
ricerca disperata del divino, approdano Tolstoj e i suoi personaggi. Una
visione che sta al di sopra delle chiese e delle dottrine e che si fonda su bontà
e accettazione, su comunione e passività. Una visione che Tolstoj proietta
sulla Storia assumendo la strategia del ritiro del generale Kutuzov, come paradigma non solo militare e
politico, ma esistenziale. L’abbandono di Mosca e la ritirata verso est dei
russi davanti all’ invasione napoleonica diventa non solo una dimostrazione di
patriottismo attraverso la passività e la negazione dell’azione, ma di
accettazione ribelle, di sconfitta trionfante, di non azione vincente. Citati, nel
suo bellissimo volume su Tolstoj, l’ha definita una forma di taoismo cristiano
e probabilmente ha ragione. La volontà di Dio di Tolstoj è molto diversa dalla
resa alla Provvidenza di Manzoni: è un lasciar andare, un assecondare il corso
delle cose, e insieme uno artificio strategico per vincere.<o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Infine sia in pace che in guerra, sia nelle dinamiche
famigliari e sentimentali che in quelle politiche e militari, l’adesione ad una religione e ad una identità
di nazione, di famiglia, di ruolo mostra sempre il segno, la ferita profonda e
dolorosa del dubbio di arbitrarietà, di inconsistenza, di vanità. C’è
l’incombere del nulla novecentesco in Tolstoj. E tutte le regole, tutti i piani
umani di mettere ordine, di imporre un senso alle cose appaiono, già al
concepimento, ridicolmente confutabili e vani. Basta cambiare visuale e condizione sociale,
psicologica, economica o basta un fatto traumatico (una malattia, una ferita,
una perdita, un amore e quant’altro), basta un raffreddore nel caso di
Napoleone e tutto cambia senso e colore,
tutto precipita in una sconfitta. Perchè non c’è più un criterio assoluto di discrimine, non c'è più chi traccia il confine certo e
stabile tra bene e male. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Con la storia e gli storici, Tolstoj assume toni di
invettiva, da pamphlet più che da romanzo storico. Gli aspetti più forse più
interessanti della visione della Storia di Tolstoj sono due. Il primo è
quella per la quale è impossibile ricostruire
quel che è accaduto senza partire da una qualche Verità rivelata, la sola che
consentirebbe di individuare davvero la genesi dei fatti e di distinguere il
Bene dal Male. Se viene meno quella, ogni ricostruzione è parziale, arbitraria,
nel complesso falsa. Il secondo è la spersonalizzazione della dinamica dei
processi storici collettivi. Come quelli della vita individuale, sono il
prodotto di un complesso di forze, di fattori che sfuggono al dominio
dell’individuo (e quindi anche dell’eroe, del capo, di una classe dirigente,
come delle masse che stanno per irrompere nella grande Storia) e producono
effetti indipendenti da qualsiasi umana volontà. Uno gnommero direbbe Gadda,
che di questa percezione della complessità fece un cardine della sua visione
del mondo. <o:p></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;"> </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">La non azione di Tolstoj, il suo rigetto verso ogni pretesa
di ricostruire i fatti dando loro un senso ed una spiegazione univoche e ancor
più verso la velleità</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;"> </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">di orientare e
modificare i processi (da quelli naturali delle malattie, a quelli militari, a
quelli politici e storici, a quelli dei sentimenti) ha una faccia ribelle, anarchica,
insofferente, febbricitante, irritata, a volte violenta. Esemplari, oltre che
bellissime, sono le pagine che raccontano la reazione di Rastopcin, il
comandante in capo di Mosca, davanti alla fuga di massa dei moscoviti. In</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;"> </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">frangenti come quello l’uomo di Tolstoj alle
prime reagisce, cerca di scovare di chi è e dove sta la colpa, divide il mondo
in vittime e carnefici, individua capri espiatori, cerca e vuole i nemici, li
uccide. È il canovaccio psicologico prima che storico del</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;"> </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">secolo che verrà. Un</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;"> </span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">modo per negare e nascondere la frustrazione
di chi vorrebbe essere onnipotente e si scopre invece impotente. Impotente
davanti alla morte, al nulla, alla complessità, alla incomprensibilità e
ingovernabilità delle cose, di quel Tutto che invece ambirebbe appunto a
dominare fino a fondersi con esso.</span></p>
<p class="MsoNormal" style="text-align: left;"><span face=""Arial",sans-serif" style="font-size: 14pt; line-height: 115%;">Poi, quando i suoi
personaggi sono soli davanti alla morte e all’irreparabile (l</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 18.6667px;">e pagine della morte di Andrej o della prigionia di Pierre sono magnifiche ed esemplari)</span><span face="Arial, sans-serif" style="font-size: 14pt;">, questo bisogno di salvezza finalmente trova la strada di una evazione mistica,
in una accettazione, in una passività che regala almeno l’illusione di una
pace. E anche questo parla al nostro tempo.</span></p></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><br /></div><br />Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-9893072970722773512023-03-31T08:02:00.000+02:002023-03-31T08:02:14.119+02:00I romanzi di Laszlo Krasznahorkai<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLyhmIRSft-uk6iMTeUJsa5G7R5zw4SnoeG5mUykJUR0iL9X7mtQXArrRCD216AFX2bHnP4MNIhNAtEx_ismwQIt2qvuWNvlXLnS4TIUovaPyYSePWwLufYx4TQKrh2XBKeMJW3IZV6o8vlqcnlD5pI1E36dhMBZuQzHLHdrzTYsEn9LEqB4v0e_cq/s182/Laszlo%203.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="182" data-original-width="130" height="182" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgLyhmIRSft-uk6iMTeUJsa5G7R5zw4SnoeG5mUykJUR0iL9X7mtQXArrRCD216AFX2bHnP4MNIhNAtEx_ismwQIt2qvuWNvlXLnS4TIUovaPyYSePWwLufYx4TQKrh2XBKeMJW3IZV6o8vlqcnlD5pI1E36dhMBZuQzHLHdrzTYsEn9LEqB4v0e_cq/s1600/Laszlo%203.webp" width="130" /></a><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9z8FdRTNkw02CSqNRa6dvxvyk0WwBvezrVF6poaDahvqlVyOmAiQEkTQbfi0YxfnEoJbADKTPaFwCH5ik5ZNPM3Tl5CcCrC0aTNjVLJG3Yr_TomIx_2bsLObx9x-rnLjtbV5V0B5TBx7wKO6M1E11XXXsQH_cLYDL7pbGlHyZW5Y_uTkSq5xLk_vR/s180/Laszlo%202.webp" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="180" data-original-width="129" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9z8FdRTNkw02CSqNRa6dvxvyk0WwBvezrVF6poaDahvqlVyOmAiQEkTQbfi0YxfnEoJbADKTPaFwCH5ik5ZNPM3Tl5CcCrC0aTNjVLJG3Yr_TomIx_2bsLObx9x-rnLjtbV5V0B5TBx7wKO6M1E11XXXsQH_cLYDL7pbGlHyZW5Y_uTkSq5xLk_vR/s1600/Laszlo%202.webp" width="129" /></a></div></div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX0gXIAiWSGnQqmsvoQGfoQBR8K8Ho2AB_KV8UT2q9gRP3SdfZeHiCKJ0ByDzrj2HB717QBD5qYLrZH8OhGEDrxCkvDutEumuZvL_55_wyn-HqqTO1dPPkVKyAZ5_0muCwwDwbTP4xqSZZL7B7oTwqkKJi3thhYnJt0LBEmwceZPhkYOBYoyD43aax/s182/Laszlo%201.webp" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="182" data-original-width="130" height="182" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX0gXIAiWSGnQqmsvoQGfoQBR8K8Ho2AB_KV8UT2q9gRP3SdfZeHiCKJ0ByDzrj2HB717QBD5qYLrZH8OhGEDrxCkvDutEumuZvL_55_wyn-HqqTO1dPPkVKyAZ5_0muCwwDwbTP4xqSZZL7B7oTwqkKJi3thhYnJt0LBEmwceZPhkYOBYoyD43aax/s1600/Laszlo%201.webp" width="130" /></a></div><br /><br /><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqPaImEpQyekVpTZtL82NNPSytVnWpCeOwiFkHerJ3pDIPoPYfVnqridRt_-oC1NUOABmQRmgz33Womwnmx47aDO3vT8J87UAV2lu-9yAx8ERM2NyCJIqfWt7-WBIYVlkwezbSictlTQD-D4qySDYC7dGtwuBMf4CdOaEH5V886HG7CUqtYJIA4aO-/s266/Laszlo%204.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="266" data-original-width="190" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqPaImEpQyekVpTZtL82NNPSytVnWpCeOwiFkHerJ3pDIPoPYfVnqridRt_-oC1NUOABmQRmgz33Womwnmx47aDO3vT8J87UAV2lu-9yAx8ERM2NyCJIqfWt7-WBIYVlkwezbSictlTQD-D4qySDYC7dGtwuBMf4CdOaEH5V886HG7CUqtYJIA4aO-/w143-h200/Laszlo%204.jpeg" width="143" /></a></div><br /></div><br /><span style="font-size: large;"><br /></span><p></p><p><span style="font-size: large;">Qual è il romanzo migliore di Krasznahorkai? </span></p><p><span style="font-size: large;">Leggerne uno qualsiasi e porsi questa domanda significa arrivare sempre alla stessa risposta.</span></p><p><span style="font-size: large;">E’ senza dubbio il più grande scrittore vivente che si può incontrare. Lo è per la potenza visionaria nel costruire le storie, per il livello di profondità della riflessione filosofica da cui cui i suoi libri risalgono, per la complessità e la bellezza della sua prosa.</span></p><p><span style="font-size: large;">Le letterature dell’est stanno producendo in questi ultimi anni le cose migliori che si trovano in giro. Penso anche a Cartarescu e a Gospodinov soprattutto. E per una ragione precisa che li accomuna. Perché riescono ad elevare l’ultimo grande tracollo della storia contemporanea, quello dei regimi del comunismo reale, a paradigma del tracollo nichilista della metafisica dell’uomo contemporaneo e della percezione ormai comune del (non)senso che ha il vivere nell’universo e nel nostro piccolo mondo così come possiamo percepirli ed interpretarli oggi. Sembra che il crollo dell'ultima utopia apra la strada al trionfo del nulla. E Krasznahorkai anche nel racconto di questa percezione è il più grande. </span></p><p><span style="font-size: large;">Pochi scrittori hanno un livello di qualità così alto e così omogeneo nei romanzi che hanno pubblicato nel corso degli anni. E’ per queste ragioni che ogni volta che si finisce di leggerne uno dei suoi libri, sembra è il migliore. </span></p><p><span style="font-size: large;">Poi si va a riguardare li precedenti e ci si accorge che ogni classifica è arbitraria. Quindi la risposta alla domanda è semplicemente che sono tutti bellissimi. </span><br /></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-57822740420379077802023-03-30T08:42:00.001+02:002023-03-30T08:42:12.559+02:00Diario di un'estate marziana di Tommaso Pincio<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7WFOcktII2wUcWRoBpr6rzG_g5GUHlFw-xhRmZJ4RlYCcLwKSUuRiYEzu1DGaoPpJ6Vg5YOonb2JgausTkQCyKpdz70xQncm4NdGSgaAIMisEK9F87ui8chz0upE8Mm3C-vJ9WQOCaL8CdGEntizzGQI2ghMqo1ayzkYioxmV4d819V7c9aL6rLA7/s275/Pincio.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="275" data-original-width="183" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7WFOcktII2wUcWRoBpr6rzG_g5GUHlFw-xhRmZJ4RlYCcLwKSUuRiYEzu1DGaoPpJ6Vg5YOonb2JgausTkQCyKpdz70xQncm4NdGSgaAIMisEK9F87ui8chz0upE8Mm3C-vJ9WQOCaL8CdGEntizzGQI2ghMqo1ayzkYioxmV4d819V7c9aL6rLA7/w266-h400/Pincio.jpeg" width="266" /></span></a></div><span style="font-size: large;"><br /></span><p></p><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">In quest’anniversario dei 50 anni dalla morte di Ennio Flaiano, di tutti i libri e di tutte le commemorazioni in tv o in teatri, librerie e biblioteche in cui sono più meno piacevolmente incappato, questo diario di Pincio è la cosa migliore. </span></p><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Ha disegnato l’immagine forse più vera, ha reso la sostanza letteraria e umana più autentica di Flaiano. O almeno di quella che anch’io, da suo lettore fedele, mi porto dentro ormai da decenni. Una sostanza fatta da alcuni ingredienti fondamentali, che Pincio, scrivendo un diario che potrebbe essere anche letto come un auto-analisi o un romanzo-memoir o un saggio, ha individuato molto bene. La profonda malinconia che li accomuna innanzitutto; il “broncio infantile” a nascondere e insieme ad amplificare l’effetto delle fiammate di intelligenza, di ironia, di acume che si trovano nei scritti di Flaiano e che tutti dicono si alzavano nella sua conversazione. La malinconia e il broncio come atmosfera mentale di fondo, che nascevano (e nascono sempre) dalla infanzia negata; quella che ti lascia l’alone indelebile della percezione di essere inadeguato e dunque immeritevole di attenzione, rispetto, affetto e quindi destinato ad essere respinto.</span></p><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Poi Pincio individua e spiega la centralità nella visione di Flaiano del mondo di due idee-chiave: l’idea dì inutilità, di vanità delle cose e l’idea dell’errore e dell’equivoco come criterio base della interpretazione delle scelte e dei fatti. Infine c’è la pratica della mortificazione. Quella subita (dell’infanzia, in una famiglia che lo aveva allontanato e della giovinezza, negli anni tristi del fascismo e della guerra coloniale) e quella agìta. La mortificazione cioè che usava per spegnere gli effetti che gli producevano i riconoscimenti, i segni del successo che gli venivano tributati troppo tardi e per motivi e moventi a cui non credeva e che non prendeva sul serio. La stessa mortificazione che usava anche per arrivare alla rassegnazione davanti al dolore degli insuccessi e degli insulti del destino e che gli disegnava sul viso una sorta di “sorriso dell’impiccato” (come si dicesse a se stesso “vedi? Che ti avevo detto?”). </span></p><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-feature-settings: normal; font-kerning: auto; font-optical-sizing: auto; font-stretch: normal; font-variant-alternates: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; font-variation-settings: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Viene fuori nel libro anche il rapporto con Fellini, che ha riempito il suoi film dei fantasmi di Flaiano senza mai riconoscergliene la paternità e il rapporto di “odiamore” con Roma. Due tradimenti paralleli e mai davvero perdonati. Lettura utile, ma anche assai piacevole, soprattutto per la “voce” che Pincio trova: soffusa, malinconica (molto da serata estiva romana), che dà un’idea di autenticità e di calore.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-36801582693581608652023-03-29T19:20:00.001+02:002023-03-29T19:20:58.120+02:00La ricreazione è finita di Dario Ferrari<p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjS_wziGEw_zUNhs7PE1MRcUtA1Fxf-ZxVpwH2VRxCQC2YTg9De4tEZ11wcd3aBHQwdsf_20T99z9Tnr8yYA6XLa_fKDLDmFRU29dMGXO20SiqPRN4cUn_4SUmV42C5POEDEs0ydSOMlPa-4VJJwO97CCqknsLv83TjKS0uWmAVhPSVMwKSSOyzHGRl/s266/Ricreazione.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="266" data-original-width="190" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjS_wziGEw_zUNhs7PE1MRcUtA1Fxf-ZxVpwH2VRxCQC2YTg9De4tEZ11wcd3aBHQwdsf_20T99z9Tnr8yYA6XLa_fKDLDmFRU29dMGXO20SiqPRN4cUn_4SUmV42C5POEDEs0ydSOMlPa-4VJJwO97CCqknsLv83TjKS0uWmAVhPSVMwKSSOyzHGRl/w286-h400/Ricreazione.jpeg" width="286" /></a></div><p><br /></p><p><span style="font-size: large;">Non mi è per niente “un grande romanzo italiano”, come dice qualcuno. Finché sta sul protagonista-narratore regge bene. È originale, ha una sua freschezza di stile, rende bene personaggi, ambienti, epoca. Ed è giusta anche la voce quando racconta di Viareggio, della fidanzatina, del mondo accademico e delle sue figure (un po’ troppo macchiettistiche, ma funzionano), anche di un certo neo-vitellonismo anni ’70-80. </span></p><p><span style="font-size: large;">Quando passa a parlare dello scrittore-terrorista e dei suoi compagni (la biografia di Tito Sella, in particolare, ricostruita non si capisce bene come) diventa approssimativo, poco credibile e molto opinabile come rappresentazione degli anni di piombo. Nemmeno come versione parodistica dà l’idea di cosa è stato. Soprattutto diventa noioso. Il personaggio manca di messa a fuoco, resta immerso in una nebbia. E tutta la sua vicenda non sta proprio in piedi. Il parallelismo con il protagonista narratore poi, che dovrebbe giustificare l’esistenza stessa del romanzo oltre che la sua struttura, mi pare cosa confus’assai. Di buono resta solo la voce narrante .</span></p><p><span style="font-size: large;">Insomma è un romanzo disomogeneo e largamente imperfetto, con una trama cucita male ed un finale ad effetto, appunto, che scivola nel noir come avrebbe potuto scivolare nella fantascienza o nel romanzo rosa. Tutto piuttosto arbitrario e approssimato. Insomma una cosa non da buttare, per la scrittura soprattutto, ma in linea con la mediocrità italiana del momento. Niente di più.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-3709204238552660002023-03-28T11:01:00.001+02:002023-03-28T11:01:23.740+02:00Lezioni di Ian McEwan<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjs1iofkPwDIONB4mpHninMaPNayHqM0lcXyCZrqUJMRcv2IwjewWYe7bVmp8-G7mmu2-T52iHcMmKyNpOdNCP6AdzxNhs56kgdf3FpN1WbFbg--4yv8jBYOf-0MxIw73LvnSUyvkAK5DrGRq-of84YtGm2E0DiTxFutfodP3UnsHkhsd5sGFe42stf/s1585/Lezioni.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1585" data-original-width="1000" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjs1iofkPwDIONB4mpHninMaPNayHqM0lcXyCZrqUJMRcv2IwjewWYe7bVmp8-G7mmu2-T52iHcMmKyNpOdNCP6AdzxNhs56kgdf3FpN1WbFbg--4yv8jBYOf-0MxIw73LvnSUyvkAK5DrGRq-of84YtGm2E0DiTxFutfodP3UnsHkhsd5sGFe42stf/w253-h400/Lezioni.jpeg" width="253" /></a></div><br /><p></p><p><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p><span style="font-size: large;">Un bel romanzo, di quelli veri: largo, lungo e pieno di Storia e di storie. Poi, McEwan ha una delle voci narranti più belle ancora in circolazione. La usa (anche qui) per soggetti e trame molto strutturate e spesso disturbanti (ma questo lo è meno del solito). Ha scritto alcuni romanzi indimenticabili e alcuni molto meno. Però che la sua prosa, il suo stile, la sua tonalità di racconto avvolgano il lettore e siano un insieme inconfondibile, questo è sicuro. E anche in questo libro è così.</span></p><p><span style="font-size: large;">Nei suoi romanzi c’è sempre una profusione dei dettagli di ambiente, dei retropensieri, delle piccole e grandi vicende che sottostanno a oggetti e atteggiamenti. In “Lezioni” più che in altri questa cosa funziona come un’arma a doppio taglio. Da una parte tenderebbe ad annoiare il lettore che vuole ritmo (McEwan, anche per questo, non piace a tutti). Dall’altra compensa l'andamento lento della trama, che peraltro per lunghi tratti, esasperando il ricorso al flashback, è più una trama all'indietro che in avanti. E così, il sapere e con gli aggettivi giusti e la giusta tonalità di narrazione, in un ricevimento per esempio, cosa si mangia, di che si parla, che musica c’è in sottofondo, che fanno i bambini, che tempo fa fuori e com’è la temperatura dentro, quali sono i rimandi nel passato delle cose anche minime che succedono, ti fa abitare quel salotto e quindi il romanzo, aspettando di capire dove si va a parare. Non bisogna avere fretta, nel leggerlo.</span></p><p><span style="font-size: large;">Anche perché merita la pazienza che impone. E' un romanzo importante nell'opera di McEwan. Insieme con il suo personaggio sembra fare una resa dei conti, un riepilogo di senso della sua storia e insieme della grande Storia degli ultimo secolo. E ha come primo merito quello che ci si affeziona e si partecipa al destino di questo personaggio. Alla fine diventa un caro amico e non si può non pensare che il libro sia una sorta di testamento dolceamaro dell'autore. Leggendo, ho anche pensato a Stoner (salendo di livello) e (scendendo invece; e parecchio) al Colibrì di Veronesi. Qualità a parte, rispetto a tutti e due, è senz'altro maggiore la quantità e la complessità dei temi che tira fuori. Complessivamente credo sia uno dei compendi, dei ritratti più efficaci dell'epoca che ci è toccato di attraversare. A voler entrarci dentro, al merito dico, il commento occuperebbe lo spazio di un trattato. Quindi, anche per questo, si può solo consigliare di leggerlo.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-64915486363992509752023-03-27T10:21:00.001+02:002023-03-27T10:50:22.653+02:00La malnata di Beatrice Salvioni<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1AT-TDbrSbpNDhi4Da9h5U6xPNUQz3RdjaObr2NmtV6jBNiERfiJ2fnlUxkMwDTdwyEuXla1sTMyWVr-8fEy1ipGGbNNhX0HEl1g3tISZNZZ_bNp7ihXi4U04Qm6-sFd1ULuv9biptdU7qA-cq_7RcoddHst1kDSY2eH4S078Zfz5TG6G9SGq5IK4/s281/Malnata.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="281" data-original-width="179" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1AT-TDbrSbpNDhi4Da9h5U6xPNUQz3RdjaObr2NmtV6jBNiERfiJ2fnlUxkMwDTdwyEuXla1sTMyWVr-8fEy1ipGGbNNhX0HEl1g3tISZNZZ_bNp7ihXi4U04Qm6-sFd1ULuv9biptdU7qA-cq_7RcoddHst1kDSY2eH4S078Zfz5TG6G9SGq5IK4/w255-h400/Malnata.jpeg" width="255" /></a></div><p></p><p><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p><span style="font-size: large;">Opera prima interessante, direi esemplare, soprattutto come caso editoriale di prodotto progettato a tavolino e come esempio di predestinazione concepita in vitro (ad un grande battage pubblicitario, al mercato internazionale, alla riduzione televisiva). Dietro ci sono un certo livello di talento e di applicazione, una grande scuola di scrittura (grande in tutti i sensi), una grande agenzia letteraria e un grande editore (idem come sopra). Evidente il gran lavorio che ci sta dietro (basta leggere i ringraziamenti). Evidente (decisamente troppo) nel soggetto prescelto il modello dell’”amica geniale”.</span></p><p><span style="font-size: large;">Ne è venuta fuori ovviamente una cosa tipo la Coca Cola, tipo il panino McDonald, tipo la Nutella, tipo la pizza. Pochi possono onestamente dire che fa schifo. Molti pensano che sia buonissima. In ogni caso, si fa consumare rapidamente e senza problemi, ha un suo gusto labile e accattivante e risolve a costi contenuti il problema. Poi lascia un po’ la voglia della prossima e comunque è di quel genere di proposta che rappresenta sempre una soluzione in mancanza di meglio o di volontà di mettersi in cerca. </span></p><p><span style="font-size: large;">Quindi, è un romanzo che si legge in un pomeriggio, è ben costruito nella scrittura (la voce narrante è molto ben impostata), nel ritmo, nel disegno dei personaggi e nell’ambientazione storica (in letteratura, a nord, il “ventennio” e seguito funzionano quasi sempre; come la mafia al sud). Una storia che “prende” e che ha i suoi tratti di riconoscibilità: l’accento sulla tematica di genere, un certo taglio di impegno civile e politico, un’atmosfera e una serie di messaggi da favola nera per bravi adolescenti tatuati del tempo di Tik Tok. Che è il target di riferimento. Non c’è l’ecologismo, ma non si poteva metter tutto. La cosa che proprio non regge è il finale. Immangiabile, da vecchio film western: per rendere l’idea senza spoilerare, basta immaginare la scena standard sotto l’albero in un canyon con la corda già pronta per l’impiccagione. L’effetto è come se nel BigMac, al posto della maionese ci avessero messo la marmellata. Per la fretta, temo, perché più che un finale è una troncatura.</span></p><p><span style="font-size: large;">Per il resto un buon prodotto per il consumo globale. </span></p><p><span style="font-size: large;">Ps) Tre stelle (una, di incoraggiamento) perché se in Italia imparassimo con i romanzi a fare anche la Coca Cola al posto dei tanti Tavernello in circolazione, secondo me sarebbe una buona cosa.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-9909598575798807892022-09-19T18:51:00.001+02:002022-09-19T18:51:15.764+02:00Le perfezioni di Vincenzo Latronico<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEDOvjNNEj8JRo3QAtg-Mzewhba2kTykCEnibywwU6odnF_uncwLBiH35NW_ctTlhcyiijfkRuD4G_pRWf1TAeVSBguhx4kzB91ZRmWYTNOp0I0EnZz0kbXBWi7EO7maOQBWbGq7L0JRRBel66GKRcdoQjw_WHnloekEmIkV2giQKdhK18TxDaFEoG/s1400/49abfd019d3d4c77a603f46f7106a938.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1400" data-original-width="1000" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEDOvjNNEj8JRo3QAtg-Mzewhba2kTykCEnibywwU6odnF_uncwLBiH35NW_ctTlhcyiijfkRuD4G_pRWf1TAeVSBguhx4kzB91ZRmWYTNOp0I0EnZz0kbXBWi7EO7maOQBWbGq7L0JRRBel66GKRcdoQjw_WHnloekEmIkV2giQKdhK18TxDaFEoG/w286-h400/49abfd019d3d4c77a603f46f7106a938.jpeg" width="286" /></a></div><br /></div><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Vita di due giovani web-creativi innamorati (stranamente, un ragazzo e una ragazza), a Berlino (e qui si torna alla normalità: se non a Berlino, dove?). In omaggio a Le cose di Perec, descrizione iper-analitica di casa (con perfezioni e imperfezioni), sesso (come con la casa), città (idem come sopra), lavoro (molto e solo smart), cucina (immancabile la passione per “l’impiattamento” e preliminari), pensieri (“un paesaggio interiore dissestato da vent’anni di internet”: diciamo confusi, ecco). Un capitoletto di impegno compassionevole (l’impegno politico, si sa, è diventato impossibile, anche a Berlino). Un paio di puntatine veloci a Lisbona e in Sicilia (finiscono per annoiarsi anche là). Piccolo colpo di scena finale. </span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La cosa che mi ha colpito di più? Mai che leggessero un libro, neanche in formato elettronico piratato, neanche americano sul managerialismo (che per me è il ground zero della lettura).</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Non ho capito bene se il romanzo è così ben scritto e centra così bene il problema (il loro, reale e interessante, ma sarebbe lungo parlarne seriamente) da portare il lettore (che sarei io) ad oscillare tra depressione e irritazione perché loro sono deprimenti e irritanti. Oppure se è proprio il romanzo che fa questo effetto a pendolo. Il dubbio resta, ma comunque l’effetto quello è. Fortuna che è brevissimo.</span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">E non aiuta a dissiparlo (il dubbio, dico), il tono narrativo (peraltro, gradevole) che sembra prendere tutto talmente sul serio (piante, pub, leccate, videate, tiramenti mentali) che non capisci se è empatico o raffinatamente ironico (insomma, li commisera, li descrive con distacco o sottosotto li percula?). </span></div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span style="text-align: center;">Confesso che certe frasi mi sono rimaste sospese in testa come UFO (oggetti non identificati), però un loro effetto lo fanno (come gli UFO, appunto). Tanto per riportarne una: “La città saliva e scendeva come una marea”: “c’avrá voluto dì?” (come diceva la Simona Marchini a Black Out). Che poi è la considerazione che potrei estendere a tutto il romanzo. </span></span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-17289201160656445282022-09-19T11:35:00.002+02:002022-09-19T11:36:31.242+02:00La tirannide dell'Io di Enzo Traverso<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbFH1NHskpadJ9LnRU2d94vyzCyCtOYeP7i87BVoM19rZ6lK07GIYBJioOdqysXg8an4t2i8Fg7Dl7a-jgsRRmCLQoJxw32LkbGTIL74Am_ClHXdxkiQPx1xB1jO7v3SNNadFaRD4s4_3qYXecPaqI2NwJJL24H7RtV9adDoeBiHNs9pNeVj7XbqT2/s1200/Traverso.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="800" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbFH1NHskpadJ9LnRU2d94vyzCyCtOYeP7i87BVoM19rZ6lK07GIYBJioOdqysXg8an4t2i8Fg7Dl7a-jgsRRmCLQoJxw32LkbGTIL74Am_ClHXdxkiQPx1xB1jO7v3SNNadFaRD4s4_3qYXecPaqI2NwJJL24H7RtV9adDoeBiHNs9pNeVj7XbqT2/w266-h400/Traverso.jpeg" width="266" /></a></div><br /><p></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Ci sono due linee di tendenza molto forti nella produzione letteraria più recente. La prima è l’autobiografismo e la seconda è la no-fiction. E all’interno di quest’ultima c’è la tendenza a utilizzare la Storia come serbatoio di storie e personaggi da romanzare. I libri di Carrere, di Scurati, di Vuillard, di Littell, della Auci sono solo degli esempi,<span class="Apple-converted-space"> </span>tra i più noti e di livelli di qualità assai diversi. In questo alveo peraltro c’è anche il proliferare di docufiction e docudrama in campo televisivo, cinematografico e dei podcast.</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Tendenze, che esistono da quando è stato inventato il romanzo, intendiamoci (basti pensare a Tolstoj, a Stendhal, a Mann, a Manzoni, a Grossmann, ai romanzieri del “finis Austriae”, a Sebald), ma da qualche anno sono particolarmente marcate a scapito dei romanzi di pura invenzione, della fiction e basta.</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Poi c’è, in campo storiografico, l’emergere di una tendenza<span class="Apple-converted-space"> </span>parallela: quella di scrivere saggi storici, di raccontare la storia, in prima persona. Tendono cioè ad uscire da quella terza persona che<span class="Apple-converted-space"> </span>per secoli ha garantito distanza, oggettività, corrispondenza alla verità delle fonti, sterilizzazione del testo rispetto alla mano di chi lo ha scritto, per inserire in quel che pure è e resta un saggio, aspetti emozionali, punti di vista, esperienze personali dell’autore.</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Per dirla con le parole di Traverso</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><i>“La linea di separazione tra storia e romanzo risulta dunque offuscata da una nuova interazione che crea forme quasi simbiotiche: mentre i romanzieri si ispirano sempre più alla storia e si mostrano estremamente attenti alla verità dei fatti, gli storici cominciano a fare delle loro indagini una narrazione letteraria, ricorrendo a trame ed eroi che nella maggior parte dei casi altri non sono che gli autori stessi.”</i></span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Tra il soggettivismo degli storici, la narrativa storica e l’autobiografismo, che<span class="Apple-converted-space"> </span>sono cose molto diverse tra loro, c’é<span class="Apple-converted-space"> </span>più di un punto di contatto. Due, in particolare. Il primo è, per l’appunto, il venire in primo piano dell’Io dell’autore. Il secondo è il presentismo. Sulla narrazione storica o sul passato dell’autore, sulla Storia e sui suoi protagonisti, su biografie ed autobiografie<span class="Apple-converted-space"> </span>vengono<span class="Apple-converted-space"> </span>proiettate, spesso contemporaneamente, le ombre ingombranti dell’Io dell’autore e del presente in cui la narrazione viene scritta. Si guarda e si racconta la Storia e<span class="Apple-converted-space"> </span>la propria storia alla luce dell’oggi, di quel che come collettività e come persone si è diventato. La convinzione quasi generale<span class="Apple-converted-space"> </span>che il passato non può insegnare niente sul futuro genera un atteggiamento culturale per cui<span class="Apple-converted-space"> </span>l’uno e l’altro vengono inglobati in un presente eterno in cui tutto è accaduto e tutto può accadere.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Sono tendenze di successo. Attraggono lettori. Attraggono lettori “profondi” che cercano vie di introspezione e visuali di mondo. E attraggono anche e forse soprattutto lettori “leggeri”, che chiedono ai libri anche o solo intrattenimento, effetti emotivi, qualcosa che somigli ai piaceri della<span class="Apple-converted-space"> </span>serialità televisiva o del cinema. Tutti e due cercano personaggi e situazioni in cui riconoscere il proprio modo di essere, la proprio quotidianità, il proprio tempo storico così come lo percepiscono. Questi meccanismi di identificazione come valgono al di là della qualità dei lettori, valgono anche al di là della<span class="Apple-converted-space"> </span>qualità letteraria dei libri, che a volte è più che buona e a volte invece scadente.</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">L’interpretazione che del fenomeno dà Traverso è argomentata e convincente. Si potrebbe riassumerla in due righe sue: <i>“l’orizzonte della nostra epoca è quello della società di mercato, un mondo frammentato e atomizzato. Le sue identità sono individuali, non più collettive”.</i> Dopodiché il discorso ovviamente è più complesso.</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Proviamo a schematizzare:</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><b>1</b> L’individualismo come portato fondamentale del neoliberismo ormai dominante produce soggettivazione in tutti gli ambiti, a scapito delle visuali comunitarie e collettive. Tutto diventa un selfie.</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><b>2</b> La storia è finita e dunque il futuro non c’è più. Sommato al fatto che il passato non può più insegnarci niente, tutto si svolge nel presente. <i>“Laurent Binet, che deride i giudizi estasiati secondo cui l’eroe delle Benevole «sembra vero perché è lo specchio dei suoi tempi». Niente affatto, ribatte: sembra vero «perché è lo specchio dei nostri tempi: nichilisti, post-moderni, per dirlo in due parole”</i></span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><b>3</b> La svalutazione della dimensione politica, la spoliticizzazione generale del governo della società e delle vite, toglie a quel che del passato conserviamo nella memoria l’esigenza della trasmissibilità, della condivisione. <span class="Apple-converted-space"> </span>“L’espansione dell’“io” comporta per forza di cose un restringimento del “noi”.</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La memoria si ritira nella dimensione individuale e si reifica in una serie di feticci (oggetti, cose, luoghi, foto ecc). Oggetti da museo. Musealizzazione della memoria e privatizzazione del passato mettono l’Io nella posizione centrale che poi ritroviamo nelle tendenze che si manifestano nella letteratura e nella ricerca storica. Prima, una certa interpretazione del <span class="Apple-converted-space"> </span>passato alimentava una visione comune del presente (e quindi una prassi politica) e produceva una precisa visione<span class="Apple-converted-space"> </span>e aspettativa del futuro. Oggi è il campo di gioco, la palestra di esercizio, il laboratorio privato di ricerca dell’Io.</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><i>“Un atteggiamento di questo tipo è possibile solo in un mondo – più precisamente, in ciò che viene definito il mondo occidentale – dove il passato non ha più un legame vivo e sentito con il presente, ma rappresenta piuttosto un paesaggio reificato e trasformato in un vasto assemblaggio di luoghi della memoria.”</i></span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><b>4</b> Soggettivismo e presentismo sono forme di ritiro nell’ intimità. Il conosci te stesso diventa metti in un vetrino ed esponi in vetrina te stesso. La cultura californiana di matrice hippye, contaminata di orientalismo si ricicla in versione social. Alla base, minimo comun denominatore globale, il rifiuto della politica.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Famiglia e culto degli antenati, nostalgia dell’infanzia sostituiscono, in parallelo e reciproco sostegno con i social, le forme di condivisione sociale.</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><i>“Se si accetta l’idea che la storia è “una letteratura contemporanea”, bisogna vederla come uno specchio della sua epoca, al pari di ogni creazione letteraria; nella fattispecie, uno specchio dell’inizio del XXI secolo, l’era del neoliberalismo, del ripiegamento verso la sfera individuale.”</i></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><i>“Una volta stigmatizzate le utopie del Novecento e preso atto della loro sconfitta, i rivoluzionari dello Yiddishland cessano di essere membri di un movimento collettivo per diventare vite singole e isolate, i nonni mai conosciuti. Le nuove scritture soggettiviste della storia sono nate anche da questa rottura storica.”</i></span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: large;">Come si intuisce, il saggio di Traverso, per quanto breve, individua e analizza bene il fenomeno. Va aggiunto che lo fa con un apparato bibliografico notevole, ricco anche di ottimi suggerimenti di lettura, sia sul versante letterario che su quello della saggistica. </span></span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-79313731529406012602022-09-19T11:25:00.001+02:002022-09-19T11:25:21.075+02:00Sia lode ora a uomini di fama di James Agee e Walker Evans <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIzemleqJYuzlMejSRVsLwGdCqNXoVjN41mHavhC-k5_B5WcmZgDxzJbEW5evi4v-SEhjHMBA5kAhNa4zxWi6f-acC_qDZSj5Re7vhz8jIfbQreqw_gku3PiekwafshvCFCi-zbq3KDC26QKVE6ysNh7WnIg-QIi7IVeEpzIP6AcTfYATe4-Be_lH8/s1754/Sia%20lode.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1754" data-original-width="1463" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIzemleqJYuzlMejSRVsLwGdCqNXoVjN41mHavhC-k5_B5WcmZgDxzJbEW5evi4v-SEhjHMBA5kAhNa4zxWi6f-acC_qDZSj5Re7vhz8jIfbQreqw_gku3PiekwafshvCFCi-zbq3KDC26QKVE6ysNh7WnIg-QIi7IVeEpzIP6AcTfYATe4-Be_lH8/w334-h400/Sia%20lode.jpeg" width="334" /></a></div><br /><div><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Romanzo-reportage, anche fotografico, che è diventato un po' una leggenda. Una cosa è certa: un po' ti toglie la pelle. Vollmann nella introduzione a I poveri (un libro che tratta dello stesso argomento con tutt'altra tonalità) scrisse “leggere Sia lode ora a uomini di fama è come prendere uno schiaffo in faccia”. È così. Intanto, perché si capisce ad ogni pagina che la pelle l’ha tolta anche a chi lo scriveva, mentre lo scriveva. E poi, Agee in effetti non perde occasione per prendersi a schiaffi da solo. Per i complessi di colpa dice ancora giustamente Vollmann, ma non solo. Certo, il tema del senso di colpa dell'intellettuale famoso e impotente davanti alla tragedia degli ultimi è importante nel libro. Ma lo è anche Il tema metaletterario del rapporto tra giornalismo e letteratura, tra fedeltà della rappresentazione e creazione artistica, tra dovere della testimonianza e narcisismo.</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La cosa migliore è la ricerca della bellezza dell'umano, anche sulle soglie estreme della povertà. Le descrizioni sono ossessivamente minuziose, ma sempre con quello sguardo all’orizzonte lungo delle vite e della condizione generale del vivere. Sempre come fosse davanti a qualcosa che ha del sacro e quindi anche del sublime. Fa pensare alla minuzia devota con cui Melville in Moby Dick parla come se scrivesse un manuale di balene per balenieri. Potrebbe annoiare, ma è in quella punta di noia che si nasconde la percezione del grandioso e non bisogna lasciarsela sfuggire. Lo scova nelle facce, nelle cose, nelle case, nei campi, nelle bestie, nei vestiti, nelle scarpe, nei paesaggio, nello straziante cimitero. Il che, sì, un po’ riscalda il cuore, ma fa anche aumentare la forza dell’effetto che nel lettore fa la tragedia di quel vivere, del vivere. </span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzAq7_FvTzuv5GD9XKNNgY3wEpylmpcXVEfj4RkvquKyWz034_7ChFYKcOvbBK1WofYl3T3-u6x0balcih4ucltJxAALME75hFqsM7GZTSrfdJmaLjWFdVnnFT4qz_y2ZM5iyVWKIg2H5_GNfwLNbbVFzPT_0YaxJV1Asa1zyhqfrJ7L8aHJjdWY5v/s251/Sia%20lode%202.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="200" data-original-width="251" height="255" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzAq7_FvTzuv5GD9XKNNgY3wEpylmpcXVEfj4RkvquKyWz034_7ChFYKcOvbBK1WofYl3T3-u6x0balcih4ucltJxAALME75hFqsM7GZTSrfdJmaLjWFdVnnFT4qz_y2ZM5iyVWKIg2H5_GNfwLNbbVFzPT_0YaxJV1Asa1zyhqfrJ7L8aHJjdWY5v/w320-h255/Sia%20lode%202.jpeg" width="320" /></a></span></div><span style="font-family: arial; font-size: large;">Lo commuove. Lo fa pensare. Nonostante chi scrive lo faccia sempre col ciglio asciutto. Non vuole commuovere anche quando sarebbe umano volerlo e commuoversi. E non vuole nemmeno giustificare, coprire, nascondere la faccia brutta e oscura e degradata di quella umanità.</span><p></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjAwo7es3cqg2urBGewxSqM7Sk-0fJGNUj4v5HBD9bv-xD2-bOEXzxYVk6D4IQf64VqT864H0pXp57dhB2-agHB3YQx1p0-rYcZuSjWrWg2qNB3D6xviMGnrwBxGFAYPM8obk6j-KggIhlIeuoIF1W5TVltgSuy7jNLsONb3BNcGPOyx60nVBdiEwG/s1024/Sia%20lode%203.jpeg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="783" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjAwo7es3cqg2urBGewxSqM7Sk-0fJGNUj4v5HBD9bv-xD2-bOEXzxYVk6D4IQf64VqT864H0pXp57dhB2-agHB3YQx1p0-rYcZuSjWrWg2qNB3D6xviMGnrwBxGFAYPM8obk6j-KggIhlIeuoIF1W5TVltgSuy7jNLsONb3BNcGPOyx60nVBdiEwG/s320/Sia%20lode%203.jpeg" width="245" /></span></a></div><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: large;">Poi c’è la cum-passione: la spinta dell’autore, che si percepisce in ogni parola, a condividere e a sottrarre alla solitudine; a riscattare, raccattando in mezzo alla mortificazione della miseria e dello sfruttamento quelle che potrebbero sembrare solo briciole di splendore, di coscienza e di umana nobiltà; e, forse, chissà, persino di speranza. Briciole che sono comunque, alla fine, quanto di più prezioso quegli esseri umani e tutti gli esseri umani, per il semplice fatto di esistere come tali, hanno. È anche questa sensazione di partecipare, questa condivisione a rendere la lettura del libro, alla fine, una semplice, complicata, terribile, accorata consolazione.</span></span><p></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Due annotazioni finali. Il capitolo più esemplare e anche sconvolgente del libro è quello dedicato alla educazione dei bambini, descritta con tanto di argomentazione come pratica criminale di asservimento e come genocidio delle umane potenzialità. E al suo interno sono illuminanti le considerazioni sulla coscienza, sul suo valore salvifico. Ne mette bene in evidenza però anche il risvolto di disperata dannazione che può avere nella vita umana il dono e la sventura di imparare ad essere coscienti.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Il senso più profondo e la parte più bella del libro sta nel capitolo titolato “Due punti”. Che è il suo manifesto, anche poetico, di intenti; ed è quindi una sorta di lirica sinossi del libro. Una quindicina di pagine da leggere assolutamente. E poi, lentamente, da rileggere.</span></p></div>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-73463605572972689202022-09-19T11:13:00.000+02:002022-09-19T11:13:28.674+02:00Trust di Hernan Diaz<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRdxIUj46CwntT5UcVU7tbor6ozW13bzxynbKW9scMG7FLcNVefPoxjE2Oo3SGg8KBWXYNRco6koSS3ccqvKeDmgGLHp81Dd4n-20cojsW0mGBcK_ZCOcK6CFONsEvvcx2b9P1Xi84FPXRFaB4GpgXH-lsstODUkUwGGtptGdZa3WMA9sWYJpNL3rY/s454/Trust.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="454" data-original-width="289" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRdxIUj46CwntT5UcVU7tbor6ozW13bzxynbKW9scMG7FLcNVefPoxjE2Oo3SGg8KBWXYNRco6koSS3ccqvKeDmgGLHp81Dd4n-20cojsW0mGBcK_ZCOcK6CFONsEvvcx2b9P1Xi84FPXRFaB4GpgXH-lsstODUkUwGGtptGdZa3WMA9sWYJpNL3rY/w255-h400/Trust.webp" width="255" /></a></div><br /><p></p><p><br /></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Romanzo in quatto parti, quattro voci, quattro versioni e quattro moduli narrativi completamente diversi, attorno alla stessa vicenda. Originale, sperimentale, se si vuole, ma non per puro esercizio formale. La struttura è funzionale alla storia e diventa sostanza a sua volta. Romanzo vero, dunque.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Si, un libro sui soldi, ma i soldi in fondo sono un pretesto per disegnare due figure, un legame ed un’epoca. E a tratti lo fa con una capacità espressiva formidabile. Per dare un’idea, ecco come descrive il primo incontro tra i due:</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">“Un’ombra esitò, proprio accanto a lei, sulla soglia che conduceva a un salottino. Helen notò che il suo profilo nero sul pavimento esprimeva la stessa esitazione – il rammarico di essere stata sorpresa, la mancanza del coraggio di andarsene, la riluttanza a farsi avanti. Le sagome senza volto sembravano contemplarsi, come se desiderassero risolvere la situazione tra di loro, senza dover disturbare i rispettivi proprietari. Helen non fu sorpresa quando a emergere dal salottino fu Benjamin Rask.”</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">L’ultima parte, il diario, è splendida. Per il contenuto, per il modo in cui scioglie e disvela, ma soprattutto per il tono narrativo, per l’efficacia e per l’emozione che trasmette.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-40925643073718513132022-09-19T11:09:00.004+02:002022-09-19T11:09:54.767+02:00La casa di marzapane di Jennifer Egan<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9-ecm44av_ndDxSYBRbcoBEQIv8u2J4tEHElMOeHElQkJKnFBlsafH3ujIuE5Q1kMR7vfOv1xEuNpExnxqoQqGefCk7d9fiUGTN3mbgAoe41PeuHyffRfH8HTRp6Cdut7OfMtWO4BjQ1YFxJlkQXRMDVydOIR_oRaeUGM0eAKHA4j8D4EHeL0R3sR/s445/Egan.webp" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="445" data-original-width="290" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9-ecm44av_ndDxSYBRbcoBEQIv8u2J4tEHElMOeHElQkJKnFBlsafH3ujIuE5Q1kMR7vfOv1xEuNpExnxqoQqGefCk7d9fiUGTN3mbgAoe41PeuHyffRfH8HTRp6Cdut7OfMtWO4BjQ1YFxJlkQXRMDVydOIR_oRaeUGM0eAKHA4j8D4EHeL0R3sR/w261-h400/Egan.webp" width="261" /></a></div><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 11px; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p class="p1" style="font-family: "Helvetica Neue"; font-size: 11px; font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><br /></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">“Il tempo é un bastardo” é stato un romanzo importante, innovativo nell’architettura e nello stile. </span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Dopo un romanzo così, era impossibile credo non avere la curiosità di leggere questo. E la notizia (non scontata) è che regge il confronto, non delude. Tutt’altro. Ancora e altrettanto innovativo (forse più, per certi aspetti). Altrettanto elegante e raffinato nella prosa. Per esempio il capitolo titolato (Lulù la spia - 2032), per quanto stilisticamente sconcertante, è un capolavoro di fantasia e abilità tecnica. Ma con i paragoni mi fermerei qui; li lascerei al gusto e alla sensibilità del lettore. </span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Dico solo che, per quanto mi riguarda il contenuto, il filo rosso del soggetto di questo ultimo romanzo è collegato con filoni di riflessione per me più interessanti: il tempo (che era centrale già nel primo, come del resto in una larga parte della letteratura migliore da un secolo a questa parte), il fenomeno dei social e la rete come “coscienza collettiva” (con tutti i rischi e le opportunità che apre), l’interazione tra intelligenza artificiale e la mente umana, il ruolo e il peso dei fenomeni quantitativi e il libero arbitrio nel determinare le decisioni umane (c’è un altro capitolo bellissimo su questo). Tanto per dire, il legame tra l’autenticità e il rimanere incogniti, la elusione dell’identità e l’appagamento che ne deriva è uno spunto che mi è sembrato straordinariamente originale e interessante. E nello sviluppo che fa di questa idea si può vedere la prefigurazione di una sorta di cura omeopatica del narcisismo attraverso un uso controcorrente del filtro dell’identità digitale. Ma da qui si andrebbe troppo lontani per lo spazio di un commento. In ogni caso di buona, forse ottima, letteratura si tratta.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-60164619886105426142022-07-28T07:31:00.005+02:002022-08-11T07:09:01.475+02:00Il comunista di Guido Morselli<p></p><br /><span style="font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU-X7GoPzASGAZtogdt897Mk_CoVx1G6TOYvo9sr1nSPcRS9YLsJOCsUS5ZTGj1t-xQFG9LruG2wDX9ipVmO3fa_DgcraNS0Ihj2I-XfmlFfBeMdHvWCgF64qXsTSPwzmTkwp9lTg82GULE2kHRB0L2SbSyjfR8GwrLIHSCROBnfRGCOdjTq9bRYIm/s316/Il%20comunista.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="316" data-original-width="200" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU-X7GoPzASGAZtogdt897Mk_CoVx1G6TOYvo9sr1nSPcRS9YLsJOCsUS5ZTGj1t-xQFG9LruG2wDX9ipVmO3fa_DgcraNS0Ihj2I-XfmlFfBeMdHvWCgF64qXsTSPwzmTkwp9lTg82GULE2kHRB0L2SbSyjfR8GwrLIHSCROBnfRGCOdjTq9bRYIm/w253-h400/Il%20comunista.jpg" width="253" /></a></div><br /></span><div><i><span style="color: #313131; font-family: Arial;">Bisogna convincersi e ricordarsi che Morselli era un grande scrittore. E da grande scrittore aveva anticorpi potentissimi contro ogni forma di</span><span style="color: #313131; font-family: Arial;"> </span><span style="color: #313131; font-family: Arial;">autobiografismo. Era bravissimo a usare il romanzo, come forma espressiva ideale</span><span style="color: #313131; font-family: Arial;"> </span><span style="color: #313131; font-family: Arial;">per</span><span style="color: #313131; font-family: Arial;"> </span><span style="color: #313131; font-family: Arial;">nascondere e insieme rendere universale e generale quel che aveva capito e voleva raccontare di sé e del modo in cui vedeva il mondo e gli altri. Chi legge “Il comunista” non deve dimenticarselo e non deve fare l’errore di leggerlo come</span><span style="color: #313131; font-family: Arial;"> </span><span style="color: #313131; font-family: Arial;">come se fosse un romanzo solo e nemmeno soprattutto politico. Perché sarebbe un abbaglio, un grosso errore.</span></i></div><div><br /></div><div><p></p>
<p style="color: #313131; font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 17px;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr1Ngz8xhSa1fzeZM9j8vKbff7pnB8sq4FK9wSUFjxUF9-vsEVIaCdPKKJabei574JPU8xT3ATVWIP-A9VeORTbvfpxM6A5DPk0Fa5a6Tv2GphVwEe95dsTezd-L7OlY7G-ZboQLUZQN5GChAoUF5SF1kHaUFZlmibdUq-D_lc-bgiYAVUbgC_fW7f/s1600/FD057161-7980-4B3A-B06B-77A4A78B62B3.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="1600" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr1Ngz8xhSa1fzeZM9j8vKbff7pnB8sq4FK9wSUFjxUF9-vsEVIaCdPKKJabei574JPU8xT3ATVWIP-A9VeORTbvfpxM6A5DPk0Fa5a6Tv2GphVwEe95dsTezd-L7OlY7G-ZboQLUZQN5GChAoUF5SF1kHaUFZlmibdUq-D_lc-bgiYAVUbgC_fW7f/w320-h180/FD057161-7980-4B3A-B06B-77A4A78B62B3.png" width="320" /></span></a></div><p style="color: #313131; font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 17px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><div><span style="font-family: arial; font-size: large;">Morselli era un uomo colto e sofferente, consapevole del proprio dolore di vivere, che si arrovellava attorno alla condizione dell’esistere, alle umane contraddizioni e alle proprie innanzitutto. Non credeva da un lato alla possibilità di ricondurle ad un principio assoluto, a una verità rivelata o scientificamente acquisita per sempre. E dall’altro non credeva a nessuna loro ricomposizione dialettica, a nessuna sintesi progressiva, a nessun sole dell’avvenire che immancabilmente sorgerà. Percepì, certo, e forse si divertì anche ad indagare e smascherare le ipocrisie, le meschinità dell’apparato del Pci, il carrierismo intonacato di ipocrisia che vi si annidava, la sua insopportabile invadenza nella sfera del privato. </span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;">Quel che più gli interessava però era il tentativo di aggirare, piegare e ingabbiare con l’oppressione della burocrazia e dei dogmi la verità e la realtà della condizione umana. Alla base di questo romanzo e di tutta la sua opera c’è la convinzione, che nulla ha che fare con la politica, per cui l’essere umano è un groviglio di dolore e di spinta vitalistica, di entusiasmo e di abbandono, di bisogno di capire e di desiderio di oblio, di ricerca del piacere e di certezza della fine. Non a caso il protagonista del libro, l’on Ferranini, “uomo parabolico” si definisce, oscillante tra poli umorali, sentimentali e di pensiero mutevoli e opposti. E che in questo oscillare tenta comunque di trovare una sua intima coerenza, una sua personale forma di fedeltà a se stesso, una sua “purezza”.</span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;">Per fare un esempio, uno dei maggiori pregi di questo libro, non sta tanto nella straordinaria modernità della sua visione del lavoro, che pure, a sessant’anni di distanza è ancora capace di suonare come una denuncia dell’arretratezza della elaborazione delle sinistre occidentali. Ci ricorda che in una utopica società felice il lavoro sarebbe ridotto al minimo indispensabile e mai potrebbe esser visto come modo per nobilitare l’uomo, per dargli dignità. Mai potrebbe essere fondamento di una Costituzione di una Repubblica ideale. Mai potrebbe stare in una enciclica papale. Non sarebbe rivendicato, ma piuttosto rinnegato. Al suo protagonista Morselli fa dire: “Il Primo Maggio non è la celebrazione del lavoro, è una celebrazione contro il lavoro, e difatti la si attua con l’astensione, dappertutto, URSS compresa. È un po’ come io intendo la commemorazione dei defunti: in onore dei morti, ma non certo in onore e lode del dover morire. Il Primo Maggio serve a ricordare che il lavoro è una mortale fatalità.” </span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;">Epperò la cosa veramente importante è un’altra: è che a Morselli parlare del lavoro serviva soprattutto come paradigma, per esprimere un dato astorico e pre-economico, connaturato nel destino dell’uomo, che per lui era condannato alla fatica di strappare alla materia, alla natura, le condizioni per garantirsi una sopravvivenza continuamente minacciata. E non ci sarebbe mai stata una società utopica in grado di cancellare questa condanna. Neppure la tecnica può salvarci da questo destino. Guarda al lavoro, guarda all’uomo nella sua dimensione economica, sociale, guarda alla politica e al conformismo dei comunisti solo per arrivare a dimostrare la fragilità ineliminabile della vita; per scrivere della condanna dell’uomo alle vie paraboliche dettate dall’universo e dalla materia e non alle linee rette segnate dai sistemi dottrinali; per denunciarne il destino di essere continuamente costretto alla fatica vana di esistere e di resistere alla aggressione inconsapevole di una natura indifferente e di cedere infine alla malattia e alla morte. Non è di certo un dato marginale per capire Morselli il fatto che fosse un appassionato cultore di Leopardi.</span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;">L’errore della lettura politica o prevalentemente politica di questo romanzo e dell’altro che lo aveva preceduto (Incontro col comunista) costò carissimo a Morselli. La sua storia editoriale a rileggerla è struggente e insieme indigna. “Scrittore senza destinatario“ lo ha definito in un bel saggio che porta questo titolo Francesco Olivari. Scrittore con l’h” si definì egli stesso: potette scrivere solo libri muti, impubblicati perché rifiutati. Sempre. E da tutte le case editrici. Solo dopo morto, grazie ad Adelphi, venne fuori una produzione letteraria ricchissima, varia, di insospettata qualità. A tratti, di altissima qualità. Ormai si era rassegnato a scrivere per sé. Il giorno che si uccise aveva ricevuto l’ultimo rifiuto a pubblicare quel piccolo gioiello che è “Dissipatio H.G.”</span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;">Fu senz’altro anche per questi due romanzi che finì nel tritacarne dell’editoria italiana degli anni ‘50 e ’60, largamente dominata da intellettuali legati al Pci. La corrispondenza tra Morselli e Calvino, i commenti su di lui di Moravia, a leggerli oggi fanno arrossire di vergogna e di rabbia. Si era persino dovuto piegare alla ingiunzione di cambiargli titolo, al romanzo. Per lui d’altronde non era quella la cosa più importante. Bisogna dire “anche” perché la ragione principale dei rifiuti forse fu che proprio non lo capirono. In un mondo diviso in due chiese che pretendevano di detenere una Verità e in cui bisognava schierarsi per galleggiare, non capirono la sua problematicità (che era una sua grandezza); non capirono la complessità del suo modo di vedere gli uomini, l’idea che raccontava del senso dell’esistere, il dolore che si portava dentro e che nascondeva, scomponendolo nei suoi personaggi con un’arte narrativa raffinatissima, precisa e labirintica. </span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: arial; font-size: large;">Non lo capirono dunque, questo è certo, ma resta forte il dubbio che senza quei due romanzi, letti come provocatori e pericolosi (per il partito, per la linea, per l’ortodossia, per il Migliore di turno) da chi contava molto allora se si trattava di decidere cosa pubblicare in Italia, forse avrebbe avuto maggior ascolto e maggior attenzione. E d’altronde è dura dire quale delle due spiegazioni è più infamante per chi lo lasciò con l’”h”, muto. Fu una cosa da servi sciocchi, non si sa se più sciocchi o più servi di partito. Ha ragione Linda Terziroli nella sua appassionata biografia titolata “ Un pacchetto di Gauloises” quando scrive “Guido Morselli rappresenta non tanto lo scrittore postumo, quanto la crisi del mondo della letteratura italiana e dell’editoria.”</span></div></div>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-66836000877491078982022-07-05T11:07:00.000+02:002022-07-05T11:07:17.910+02:00Il Duca di Matteo Melchiorre<p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiu4Fb293uLABlgT6D_PRT4yyxkNME3w_D5dWXFKQDKjX3-nGAGe6vuEo_RQ4JO2DiJ4x-rcqjX0WxyW_XayQGlYpTmbzTw_aUf3Nn4CMd6BQRSnnxeqo2FQgfhtaEODCrX2ZyFiWxVOcP4ZVoUh0ZR-kerY4wb36uPTaYXItofd1LZopNHno-oD5yf/s1585/3482B60C-F35C-4526-9320-38FA1CA0336E.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1585" data-original-width="1000" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiu4Fb293uLABlgT6D_PRT4yyxkNME3w_D5dWXFKQDKjX3-nGAGe6vuEo_RQ4JO2DiJ4x-rcqjX0WxyW_XayQGlYpTmbzTw_aUf3Nn4CMd6BQRSnnxeqo2FQgfhtaEODCrX2ZyFiWxVOcP4ZVoUh0ZR-kerY4wb36uPTaYXItofd1LZopNHno-oD5yf/w253-h400/3482B60C-F35C-4526-9320-38FA1CA0336E.png" width="253" /></a></div><br /><p><br /></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Un romanzo vero, di stampo classico cioè; magnificamente scritto, che avvince dalla prima pagina. Conduce per mano il lettore trascinandoselo dietro in una condizione crescente di tensione, di inquietudine, nel disagio vero dell’inquietudine. E anche nella curiosità di capire non solo dove va a finire la storia labirintica che racconta, ma dove va a parare il senso che vuol trasmettere. E da quale piega dei tempi che viviamo nascono quel senso e il bisogno di scrivere una roba così.</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Il dubbio che la potenza della scrittura e la complessità dell’architettura narrativa andasse a infrangersi contro un muro di banalità o affondasse nel niente me lo sono portato per un buon tratto. Poi capisci che non solo miracolosamente regge, ma che dietro e sotto c’é davvero tanto di noi e del nostro tempo su cui fermarsi a pensare.</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Da tanto non usciva in Italia un romanzo così. Finalmente.</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.7px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">M’ha preso subito “la scintilla”, come diceva Calvino. Sarà che in quest’estate malsana i corvi sulla mia collina di fronte all’Adriatico, imperversano e con i corvi inizia il romanzo. Sarà che in poche pagine ti porta subito nel suo mondo. Sarà che uscivo con rimpianti dall’ultimo libro di Davide Longo e m’é sembrata salisse dalle pagine qualche assonanza di odori e atmosfere (montagna, malinconia, un passato dal quale “non si scappa”, che porta e ancora produce un carico di sofferenze). Insomma il godimento è stato immediato.</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.7px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Insieme col godimento cresceva andando avanti l’inquietudine prodotta dalla vicenda. Quando leggo che tra le qualità del romanzo c’é quella di tenere avvinto il lettore, di tenerlo legato alla vicenda raccontata e ai suoi sviluppi, credo che al montare di questa inquietudine ci si riferisca. Ma l’inquietudine è anche l’addensarsi di una tensione, di un che di sgradevole. Insomma dalla vicenda fin dall’inizio, soprattutto per la sapienza tecnica con cui l’autore gioca con le anticipazioni, i presentimenti, le divinazioni non ci si aspetta niente di buono. La narrazione in prima persona, la tonalità ammiccante in cui viene fatta, la rielaborazione costantemente autocritica e dolente che la pervade, ci fanno schierare dalla parte del protagonista narratore e insieme ci spingono a temere per lui. Insomma é un racconto che stimola una partecipazione emotiva sofferta del lettore.</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.7px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Poi ci sono i luoghi, la montagna, con quel che significa in termini reali, materiali, ma anche simbolici ed emozionali. La montagna vista in maniera tutt’altro che elegiaca, vissuta con timori e resistenze, ma anche in uno stato di immersione emozionale profonda. Fuori dai modelli letterari oggi dominanti fatti di stereotipi. Mai con indifferenza, mai senza il rispetto che si deve alle cose capaci di colpirci nel profondo, nel bello, ma anche nel brutto, nel bene e nel male, nell’avventura, ma anche nella noia e nella crudeltà di sui la natura può essere capace di sommergerci. Qualcosa quindi che ci attrae e ci respinge insieme, ma che non ci consente mai di ignorarla, di pensare e agire come se non ci fosse, persino quando ci diamo alla fuga da essa.</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.7px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">I temi del romanzo sono riassumibili in due parole: sangue e discordia. </span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">“per sangue intendo tanto il sangue rosso e denso delle vene quanto il siero di cultura che per altri e immateriali alambicchi stilla di generazione in generazione e di secolo in secolo”</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Sangue cioè come patrimonio e insieme condizionamento che viene non solo dalla trasmissione dei geni, ma dei copioni famigliari, di certi moduli di comportamento che passano attraverso le generazioni. Sono frutto di sistemi di valore di cui siamo spesso inconsapevoli, che producono protocolli di gesti e sequenze di pensiero, abitudini, una peculiare risonanza emotiva davanti ai fatti della vita. Funzioni che si attivano in determinate situazioni, reazioni automatiche a spinte sociali e ambientali, modelli genitoriali introiettati. </span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.7px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Discordia intesa come sequenza che si attiva e che procede senza che noi sappiamo o possiamo interromperla. È resa come una reazione chimica che passa dall’ambiente naturale e sociale, dal sistema di relazioni alla mente, trasformandosi in ossessione, determinando quel che pensiamo e quel che facciamo.</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Due temi che hanno il comun denominatore di sottrarsi al governo consapevole della mente, alla presa di coscienza seguita da un agire razionale. Il come se ne esce (tentare di buttare via tutto, farsene trascinare o trovare un’altra soluzione) questo è il tema del romanzo. E il modo tormentato e dubitante in cui lo risolve convince proprio nel suo essere lontano da ogni stereotipo di illuminazione o conversione, da ogni fede o certezza finalmente raggiunta.</span></p><p style="font-family: "Helvetica Neue"; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Il protagonista non è un eroe. Il nostro tempo non è d’altronde un tempo di eroi. È un uomo pervaso dai dubbi, oscillante tra visioni e soluzioni contraddittorie e alternative, soggetto alla spinta delle pulsioni. Riottoso e impulsivo nello stesso tempo, candido e cinico, coraggioso e pronto a dileguarsi. Ed è anche questo essere la storia di un antieroe uno dei grandi pregi di questo romanzo.</span></p><div><br /></div>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-92215878126255282162022-06-29T18:53:00.000+02:002022-06-29T18:53:08.534+02:00Con irriverenza parlando di Mino Maccari<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT_469Wxrhig_qLOOnrHK-K1Rj8jdgihNgJmlpG8wiKx4yUZFaklVHJn92HlxeCblKLbJo-DJluIegvr9jdUqm8UbgatqXT353y6zykI-5YznvJqMwLVltUUuaqDyjvu5SdhG4kdTAnK-8km3KdUhmOUjyZ32H5nLpyXVCe7feZhZ8BMRN0cWg_tiF/s286/MACCARI.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="286" data-original-width="176" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT_469Wxrhig_qLOOnrHK-K1Rj8jdgihNgJmlpG8wiKx4yUZFaklVHJn92HlxeCblKLbJo-DJluIegvr9jdUqm8UbgatqXT353y6zykI-5YznvJqMwLVltUUuaqDyjvu5SdhG4kdTAnK-8km3KdUhmOUjyZ32H5nLpyXVCe7feZhZ8BMRN0cWg_tiF/w246-h400/MACCARI.jpeg" width="246" /></a></div><p><br /></p><p>Leggere e rileggere Mino Maccari mi piace tanto anche per un motivo che non dipende da lui. È uno degli italiani che più si cita senza nominarlo. Il più delle volte, senza neanche sapere chi fosse o scambiandolo per un altro (spesso, Flaiano, di cui era amico ed a cui lo accomunava l’intelligenza inguaribile e rassegnata, il dono della sintesi, la capacità di usare le parole a volte come fionde o scudisci, a volte come tarli nella mente). Non lo dico per compiangerlo. Al contrario: non c’è niente di più bello che veder riconosciute belle e buone cose tue, senza che chi lo fa sappia che sono tue. Fosse ancora in vita Maccari ne godrebbe, sono sicuro; lo divertirebbe da matti. Un piacere sofisticato, sottile, un piacere per pochi nella società dell’immagine e del marketing. È come quando rivedi e correggi anche in modo pesante le prose altrui e ti dicono: “ma andava bene allora? Non hai cambiato niente? Io questo volevo scrivere”. Meglio di un applauso. </p><p>“Ho una famiglia da farmi mantenere” tanto per dire l’ha scritta lui e nonostante Flaiano l’abbia riportato con tutto l’onore della attribuzione di paternità, passa per essere roba di Flaiano. Stessa cosa per “cercavo un impiego, ho trovato un lavoro”. O anche “un pugno di uomini indecisi a tutto”. Oppure “ho poche idee ma confuse”. Al di là di questo, il libricino è una fonte inesauribile di godimento e di rovelli mentali. Da due righe, a volte da due parole, si parte per giri che portano lontanissimo. Prendete questo ferocissimo epitaffio in due parole, appunto: “Nacque, nocque”. Su quante (e quali) tombe potrebbe esser messo? Oppure pensate alla trama di amori giovanili prematuramente perduti che potrebbe stare dietro a quello che pure come un epitaffio si può leggere: “E fu così che io persi la sua verginità”. Oppure, dichiarare di avere “progetti per il passato”: quanta letteratura (magari proustiana) ci può stare, dietro? Poi, c’è che queste intelligenze capace di spremere situazioni e concetti come limoni e servirvi il succo in gocce, col passare del tempo ci sembra avessero il dono della preveggenza; ma è solo appunto la capacità di andare all’essenza. Per esempio, in tempo di recrudescenza estiva del Covid per generale rilassamento, trovare una cosa così, colpisce (soprattutto se il Covid, per quanto annacquato, comunque te lo sei beccato): “Disse il bacillo/ Mi sento arzillo,/ Vedo che arriva/ Chi mi coltiva”. O in tempo di guerra, con i ragazzini russi mandati a massacrare e massacrarsi senza dirglielo, fa il suo effetto leggere “Dare loro alla Patria” (andava di moda con l’apostrofo allora, ma scriverlo senza non era e non è roba per tutti). Come pure, in un’epoca così disperata da fidarsi degli influencer, fa bene leggere una perla così: “I meno dotati sono sempre i più attivi. Il nulla li rende leggeri, mobili e pronti a innumerevoli iniziative”. Ti apre la testa con il forcipe, c’è poco da fare. </p><p>Con Flaiano, condivideva anche il gusto per i pozzi artesiani di senso. Sono buchi fatti nell’ovvio o, al contrario, nel surreale da cui continua a sgorgare di tutto: “Dopo aver trovato, è allora che bisogna cercare”. O anche “E Provvisorio uccise Definitivo”. E ancora “Ho già tante colpe per conto mio, che non mi è assolutamente possibile tollerare quelle degli altri”. Oppure “Oggi, o mai più” che da auto-ultimatum, diventa via di fuga, speranza volitiva di in/evasione eterna. E sullo stesso tema “Non fare oggi ciò che non potrai fare domani”; e così sei proprio al sicuro. Era un gran dispensatore di saggezza sotto mentite spoglie Maccari, di consigli amari e cinici “Meglio bastardi che mai”, “Fotti e non parole”, “Se sei onesto sei fottuto”. Ma anche le istantanee di un’epoca o di una città sono da incorniciare. Quella democristiana per esempio: “Della camicia nera i tristi eredi / Se la sono allungata fino ai piedi”. O quella di una Roma postribolare: “Quando annotta/ Spunta la mignotta/ E par che dia/ Un po’ di vita all’archeologia”. E capace anche di un audace, disincatato romanticismo “D’amor sostegno/ Spesso è l’assegno/ Un cuore esperto/ Lo vuol coperto/ Un cuor devoto/ Lo prende a vuoto”. E amen.</p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-3754745190680941192022-06-17T10:27:00.002+02:002022-06-17T10:53:44.681+02:00Albertine scomparsa di Marcel Proust<p> </p><p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZCiDkpMnInBWZGj5W1fGaAdFVjs9-GGOMN2wBo2FbEkdvQC_KQM3k_hBDj6noYFvs7uIFNgIN_z-j3Z_QKTG9i-qPEl2ilVWtb_Hw3-gdq6BziFupFY9Jmw5YjQoKJICugVIr80w-AAujH6eUq5PY08YZPCCiB-hwECaWpxmxryW6-q_er3JCw5do/s346/Albertine.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="346" data-original-width="222" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZCiDkpMnInBWZGj5W1fGaAdFVjs9-GGOMN2wBo2FbEkdvQC_KQM3k_hBDj6noYFvs7uIFNgIN_z-j3Z_QKTG9i-qPEl2ilVWtb_Hw3-gdq6BziFupFY9Jmw5YjQoKJICugVIr80w-AAujH6eUq5PY08YZPCCiB-hwECaWpxmxryW6-q_er3JCw5do/w256-h400/Albertine.jpg" width="256" /></a></div><br /><p><br /></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Se si vuole leggere qualcosa di bello e di importante sulla questione nebulosa e incandescente dell’abbandono bisogna leggere questo volume, il penultimo, della Recherche. È il tema che percorre tutto il volume, che si addensa in particolare nella prima parte e sfuma progressivamente fino alle pagine veneziane e al ritorno con clamorose novità delle “cronache mondane”.</span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.1px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Sentir parlare Proust dell’abbandono non è solo affrontare il tema dell’essere lasciati dalla persona che si ama e della sofferenza che ne deriva. È questione parecchio più complicata. Che ha le sue radici nel coagularsi del desiderio attorno ad un embrione di rappresentazione mentale di quello che diventerà l’oggetto dell’amore. E quindi nell’impriting originario e sempre diverso da cui ogni storia d’amore inizia. Ognuno ha il suo modo di innamorarsi e di vivere l’abbandono. Coinvolge i sedimenti di abitudine e di affetto, la sessualità e tutta la costellazione di eventi carichi di energia emotiva di cui ogni rapporto a modo suo è fatto. Si ramifica e si complica con la gelosia o l’indifferenza, con la serie variegata e variabile di recriminazioni, rivendicazioni, colpevolizzazioni e sensi di colpa, illusioni e disillusioni, disattenzioni e ossessioni, di cui ogni fine rapporto d’amore diventa il punto di confluenza e di implosione. </span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.1px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Soprattutto poi, Proust inquadra il tema dell’abbandono non solo nella tematica-fiume che percorre tutta l’opera, che è quella del tempo, degli inganni e dei tesori nascosti oltre i limiti della sua umana percezione, ma anche nella questione della elaborazione del lutto. Perché ogni abbandono comporta un lutto ed ogni lutto ha come precondizione la percezione lancinante di un abbandono.</span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.1px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Dopo la scomparsa della Albertine prigioniera alla fine del volume precedente, il protagonista-narratore della Recherche fa i conti anche col fatto che l’amore non si spegne con l’abbandono. Al contrario, si riaccende. E poi scopre che si continua a soffrire d’amore per una persona che è morta. Come succede ai mutilati, scrive, che provano dolore all’arto che non hanno più. Forse resta vero che non c’è sofferenza più grande del lutto per una persona vivente, che per propria volontà o per costrizione del destino o di altri (pensiamo alle persone scomparse e in particolare ai bambini scomparsi) ci ha abbandonati. Ma l’amore che continua dopo la morte di Albertine ha tratti strazianti, descritti con metafore che, oltre ad avere la potenza e la sintesi della poesia, sono originali e geometricamente perfette nel rendere la simmetria del significato. Tanto per fare un esempio: “<i>una sorta di talea prelevata su un essere e innestata nel cuore di un altro vi prosegue la propria vita anche quando l’essere da cui essa proviene sia perito”.</i></span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.1px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Quando si parla della bravura tecnica di Proust, si finisce sempre per andare sul mistero-miracolo già ricordato della figura e del ruolo del narratore nella Recherche, su cui non si finirà mai di scrivere. E in questa parte così intensamente introspettiva della Recherche mistero e miracolo risaltano ancora di più. Forse è per questo che Proust diceva che questo è il libro della Recherche che gli era venuto meglio. Ma anche il lavoro di trasfigurazione letteraria che Proust fa tra la sua esperienza di vita con Alfred Agostinelli e l’Albertine del romanzo e, insieme, la posizione che parallelamente fa assumere all’amore omosessuale nel racconto, raggiunge un livello tecnico vertiginoso di audacia nell’auto-nascondimento oltre che di ipocrita perfidia. </span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.1px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">D’altronde, per avere della perfidia proustiana una prova ulteriore, basti leggere che dopo lo strazio, il lutto prima per la vivente e poi per la morta e dopo il lentissimo gocciolare e trascolorare della sofferenza, sotto l’azione impercettibile del tempo che lascia piano piano avanzare l’oblio, chiude la partita in questo modo:</span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><i>“Così il mio amore che stava finendo sembrava rendermi possibili nuovi amori, e Albertine – come quelle donne lungamente amate per se stesse che poi, sentendo affievolirsi l’inclinazione dell’amante, conservano il proprio potere accontentandosi del ruolo di mezzane – agghindava per me, come la Pompadour per Luigi XV, nuove amichette”. Per arrivare ineccepibilmente a concludere poche righe dopo che “avevo capito che il mio amore era meno un amore per lei che un amore in me…..uno stato mentale”.</i> </span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 16.1px;"><span style="font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-family: Arial; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;">Ultima annotazione. Sul valore immenso della rilettura. Leggere per la prima volta la Recherche significa sperimentare come nessun altro libro consente di fare, tutta la potenzialità di immersione che la forma-romanzo ha nella bellezza e nei limiti della percezione umana della realtà e in particolare del tempo. Perché la grande intuizione proustiana sta lì: è nella dimensione reale del tempo, molto diversa da quella che ci trasmettono i nostri sensi, la chiave del mistero dell'esistere. E solo l’arte, la trasfigurazione artistica del reale ci può consentirci di provare ad usarla, quella chiave. Per questo, leggere questo libro è una esperienza preziosa, illuminante. Rileggerlo più volte a distanza di anni oltre che tornare a godere della sua immensa bellezza, ci consente ogni volta di andare un pochino più in profondità e di scoprire nuovi scorci di conoscenza del reale, dell'umano e soprattutto di noi stessi. </span></p><div><br /></div>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-22030168749887922252022-06-06T16:37:00.002+02:002022-06-06T16:46:00.843+02:00Camera a sud<p></p><p class="p2" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 24.5px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Una camera a sud, nella penombra di un primo pomeriggio di piena estate, in un albergo di un’altro tempo, con mura spesse e calcinate di bianco, affacciato sulla piazzetta di pietre arse, sul piccolo molo deserto e sul mare abbagliante d’azzurro. Ma dalle persiane accostate entrava un solo raggio di sole, che si andava ad acquattare nell’angolo in fondo, vigile come un gatto pronto a lanciarsi in tutte le direzioni.<span class="s2"></span></span></p><p class="p2" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 24.5px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p3" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span class="s2"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Una camera a sud, arredata con mobili in ciliegio da stanza della nonna perfettamente restaurati, con un sapore di antico vigoroso e giovane, ornati di vecchi centrini all’uncinetto. Davanti al letto un comò che prometteva misteri portava un vaso di margherite e spighe profumate di lavanda. Il letto era alto, in un legno solido e immobile come pietra. Non uno scricchiolio, non una vibrazione. Sui comodini, delle caraffe di cristallo colme di ghiaccio, acqua e limone. Su una piccola panca imbottita ai piedi del letto due pile di maliziosi asciugamani bianchi di spugna.</span></span></p><p class="p3" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span class="s2"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></span></p><p class="p3" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span class="s2"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Una camera a sud, immersa in un silenzio morbido e tollerante, che lasciava filtrare una sapiente miscela di suoni attutiti. Sul fondo, la risacca delle piccole onde. Lontano, vaghe voci umane. Più a ridosso, il tocco attento e delicato di presenze discrete e rispettose, come in attesa di qualcosa che doveva accadere. </span></span></p><p class="p3" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span class="s2"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Eravamo lì, avvolti nel lino e nella seta dei nostri abiti belli, sazi di sapori mediterranei. Venivamo dall’“<i>arcobaleno delle sale da pranzo oscure nell’ardore del giorno</i>”(*).</span></span></p><p class="p3" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span class="s2"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></span></p><p class="p3" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span class="s2"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Ed oscuri ardori preparavano altri sapori ed altri appagamenti. Il pomeriggio, forse, non sarebbe finito mai più. </span></span></p><p class="p2" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 24.5px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span class="s2"></span><br /></span></p><p class="p3" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span class="s2"><span style="font-family: arial; font-size: medium;"><i>(*) Marcel Proust - Albertine scomparsa</i></span></span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-8735982539037925102022-05-01T10:58:00.003+02:002022-05-02T15:14:48.506+02:00Stalingrado di Vasilij Grossman <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7JcRlim4-E6GDfXs_VdUxB_SGEbq1XxaYTzGbX7OXsmjr660bs3t8U3Pz62-x_TTh_5tpDReGb1SroSSPWE8KnG1DjZ13SQAreAxbZkH22NvUBaV7-WAymk6HTI0gmmtyTSXRCzqAeQes7foVDl_xFPGLoGFIecbJhcqtS_3rDO-rX7R71BX4UURS/s842/Stalingrado.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="842" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7JcRlim4-E6GDfXs_VdUxB_SGEbq1XxaYTzGbX7OXsmjr660bs3t8U3Pz62-x_TTh_5tpDReGb1SroSSPWE8KnG1DjZ13SQAreAxbZkH22NvUBaV7-WAymk6HTI0gmmtyTSXRCzqAeQes7foVDl_xFPGLoGFIecbJhcqtS_3rDO-rX7R71BX4UURS/w255-h400/Stalingrado.jpg" width="255" /></a></div><br /><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Chi ha letto Vita e destino non credo perderà l’occasione di leggere questo romanzo, che ne é la prima parte. Il consiglio è poi rileggerlo, Vita e destino; perché la storia acquista una prospettiva più compiuta e un’altra profondità. E soprattutto i personaggi principali acquistano un altro spessore. Insieme fanno uno dei grandi capolavori della letteratura del Novecento. Su temi e senso dell’opera intera di Grossman scrissi tutto nel commento a Vita e destino. </span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: large;">https://scarabooks.blogspot.com/2022/05/vita-e-destino-di-vasilij-grossman.html</span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Qui riporto qualche impressione di lettura aggiuntiva.</span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 13.8px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: large;"><span> </span>I personaggi dei libri di Grossman sono una folla sterminata. La grande capacità che questo scrittore ha è quella di riuscire a creare un legame tra il lettore e ciascuno di essi. Più o meno forte, più o meno intenso, ma non ce n’è uno che non ispiri un sentimento, con cui non si stabilisca un legame emozionale. È questo legame che poi genera le emozioni forti, quando un personaggio viene travolto da un lutto, da un amore o dalla morte. Nasce dalla nitidezza del tratteggio psicologico, ma anche dalla struttura del racconto, che ce li presenta prima nella loro normalità, nella loro piccola storia. E poi ce ce fa vedere esposti alla furia tragica della grande storia. Suggerisce qualcosa che si potrebbe tradurre banalizzando in un “potevo essere io”, ma dietro c’è una idea precisa di umanità e una tecnica narrativa per renderla concreta, in carne ed ossa. È in questo senso che la rilettura giova ed è un piacere.</span></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 13.8px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>A un certo punto Grossman scrive: “In quelle ore tutto, intorno, era solenne e minaccioso.” Ecco, solenne ci sta bene a definire il tono della prosa di Grossman. C’è solennità nel racconto della minaccia tedesca, della resistenza russa, del lavoro delle retrovie che c’è dietro, delle piccole vite, delle grandi tragedie, delle figure della grande Storia di quel periodo (Hitler in particolare). E c’è solennità nelle descrizioni sia delle battaglie che dei paesaggi, che sono mischiate insieme. Più Cechov che Tolstoj, come ha giustamente notato Piersanti. Il carattere lirico, che è importante nel tono complessivo del racconto nasce anche da questa solennità. E anche la solennità viene da quel sentimento religioso di commozione e di comunione che ispira la sua visione delle cose. La mezza paginetta in cui Tolija nel suo primo giorno di battaglia viene scolpito attraverso il tratteggio efficacissimo del breve percorso di vita, dal giorno prima alla infanzia non lontana, che lo ha portato lì in mezzo alle bombe è esemplare in questo senso. Ce lo ricorda come uno che conosciamo bene, una presenza cara, con cui abbiamo condiviso cose. Ed è questo il nucleo della potenza narrativa di Grossman: nel creare condivisione, comunione, tra i personaggi e tra i personaggi e il lettore.</span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 13.8px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p style="color: #313131; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 16px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Il Capitolo 32 della Parte Seconda sono le pagine più belle del libro. Sei, indimenticabili. Chi non ha letto niente di Grossman può andare in libreria, aprire lí e si rende conto subito di che si sta parlando. Una cosa di potenza sbalorditiva. Sembra Guernica di Picasso messa in righe. Sbalordiscono in particolare i dettagli. L’orrore nasce da una fotografia fatta con le parole. Colpiscono, lancinanti, le descrizioni di animali e bambini. La città vista come unico corpo vivo che, sotto le bombe, sprizza sangue, fumo nero, acqua, polvere, lampi di fuoco, lacrime, frantumi di vetri, ferro, scintille, cenere, sguardi dell’ultimo istante. Un crescendo musicale fatto di lamenti,, scoppi, urla. E il silenzio della normalità che diviene improvvisamente terribile, con cui tutto inizia, il pomeriggio di domenica 23 agosto 1942.</span></p><p style="color: #313131; font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 16px; min-height: 13.8px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: large;"><span> </span>Non c’è ancora, in Stalingrado, o almeno non c’è palese la presa d’atto del fallimento della rivoluzione, la coscienza della degenerazione del sovietismo in totalitarismo burocratico. Non c’è il parallelismo coraggioso e lucido tra i totalitarismi. Resta tutto in embrione, sulla sfondo della cronaca di guerra, delle biografie e delle cronache famigliari. In questo senso Stalingrado è interessante perché mostra il processo di presa di coscienza: il suo punto di partenza, la struttura di valori di Grossman e la forza della sua adesione iniziale al bolscevismo. Anche il bisogno di riscatto, di giustizia, di libertà che quel movimento intercettò, per certi aspetti catalizzò e poi tradì.</span></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 13.8px; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span><span style="color: #313131; font-family: arial;"><span> </span>Si avverte già vacillante, ma c’era ancora </span><span style="color: #313131; font-family: arial;">in Grossman l'adesione al bolscevismo</span><span style="color: #313131; font-family: arial;">. Sta comunque sotto una convinzione più forte: quella nella comunione tra gli umani. E degli umani con il resto del mondo, con la natura, con l’essere delle cose e dei viventi. </span></span><span style="color: #313131; font-family: arial;">Da lì nasce la commozione, la forza emozionale che fa muovere insieme il popolo dei suoi romanzi: dal sentirsi uniti da qualcosa. Poi che questo qualcosa esca fuori nelle imprese comuni (il lavoro, soprattutto, la difesa della patria, della rivoluzione, dell’idea socialista, della libertà, della famiglia, della vita dell’altro) è importante, ma è una conseguenza. </span><span style="color: #313131; font-family: arial;">Stalingrado, come Vita e Destino, è percorso dallo stesso filo rosso della fiducia nella bontà di fondo dell'essere umano; qualcosa di comune e di innato nell’uomo, che sopravvive alla ferocia della guerra, delle dittature, dei cinismo e degli opportunismi, a tutti i calcoli di convenienza. E che riemerge nelle circostanze più sfavorevoli, quando più il suo apparire sembra irragionevole, inspiegabile, forse anche folle.</span></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Altra cosa che colpisce in questo romanzo come in Vita e Destino sono la struttura e in molte pagine la tonalità epica del racconto. Ed è una componente potente del fascino delle opere di Grossman, perché produce in chi legge una sensazione pacificante anche mente i fatti raccontati sono terribili, emotivamente duri ai limiti del sopportabile. L’affabulazione epica sembra avere il potere di sollevare il lettore ad una altezza e ad una distanza che gli consentono non solo di reggere l’impatto, ma di ricavarne una forza che pacifica. Una cosa questa che fa il paio, nell’effetto che produce a quell’emergere della bontà umana come valore insopprimibile di cui si diceva sopra.</span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 13.8px;"><br /></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212529; counter-reset: list-1 0 list-2 0 list-3 0 list-4 0 list-5 0 list-6 0 list-7 0 list-8 0 list-9 0; cursor: text; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; margin: 0px; padding: 0px; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: large;">Chi volesse una mappa per orientarsi tra personaggi e scenari di guerra può andare sul link sotto. E' fatta veramente molto, molto bene.</span></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212529; counter-reset: list-1 0 list-2 0 list-3 0 list-4 0 list-5 0 list-6 0 list-7 0 list-8 0 list-9 0; cursor: text; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; margin: 0px; padding: 0px; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: large;">https://www.italianacontemporanea.org/wp-content/uploads/2021/08/0Polittico.pdf</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-73294137152879410592022-05-01T10:26:00.004+02:002022-05-01T11:16:53.496+02:00Vita e destino di Vasilij Grossman <p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRSDxiu84yZs6aUwwsCa71JMGSuEh6yrHaPEYUcCOy_Fu0_KGpebmEVZ0Z1KF9rcB4NIiLrGXmTkaqEErFnxfESakOpC0cC8pmCeT2h3yhS9BIF6wIyIIi8S4pmettC2vwb7e3_ieCSRMhdBCDU8oSNbYYjjHjP4h8CiwHdRFlf7tqBHnyL_aIfb_e/s949/Vita.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="949" data-original-width="600" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRSDxiu84yZs6aUwwsCa71JMGSuEh6yrHaPEYUcCOy_Fu0_KGpebmEVZ0Z1KF9rcB4NIiLrGXmTkaqEErFnxfESakOpC0cC8pmCeT2h3yhS9BIF6wIyIIi8S4pmettC2vwb7e3_ieCSRMhdBCDU8oSNbYYjjHjP4h8CiwHdRFlf7tqBHnyL_aIfb_e/w253-h400/Vita.jpg" width="253" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: large;"><span> </span>È uno dei più grandi romanzi del novecento, riconosciuto ormai come un capolavoro. Ha già passato tanti guai: la sua stessa storia editoriale è già un romanzo. </span></span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Grossman era un ingegnere chimico, reporter di guerra, ebreo, comunista sovietico convinto, abile nel sopravvivere ai margini della nomenklatura staliniana. Non vacilla neppure quando gli arrestano la moglie che a fatica riesce a strappare alle grandi epurazioni staliniane. Poi scopre la grande persecuzione antiebraica, una delle tante cose che accomunarono nazismo e stalinismo. E Grossmann deve farci i conti. Alla fine degli anni 60, dopo quasi vent’anni di macerazione interiore, tira fuori un immenso manoscritto. In tre copie. Lui da uomo di partito ne porta una al KGB e il KGB dopo averlo letto gli perquisisce la casa, gli requisisce la macchina da scrivere e persino la carta carbone con cui aveva battuto e gli dice che il suo lavoro potrà essere pubblicato forse fra 250 anni. Arriva invece tra vicende incredibili alle stampe negli anni 80 e solo l’anno scorso in Italia in forma completa e definitiva. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Sono 827 pagine straordinariamente avvincenti, dense, piene di storie: un racconto complesso e nello stesso tempo essenziale, in cui niente è superfluo. Impossibile annoiarsi. L’impianto è tolstoiano: l’hanno definito il Guerra e Pace del ‘900 ed in qualche misura lo è davvero. La storia-base è quella della famiglia Saposnikov, la madre e le due sorelle in particolare (Liudmila e Euzenia). Attorno a loro gira una moltitudine sterminata di altri personaggi più o meno importanti. Dunque, come in Guerra e Pace c’è la vicenda corale di una famiglia normalmente complicata, fatta di gente che lavora, si innamora e si interroga su quel che gli succede attorno. E c’è una vicenda storica epocale, la battaglia di Stalingrado, lo scontro finale dei due grandi totalitarismi del XX secolo, la battaglia decisiva della ultima grande guerra europea. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Vita e destino è quindi anche un grande romanzo storico su uno snodo decisivo della seconda guerra mondiale, scritto da un grande reporter di guerra. Di più: è il romanzo in cui nazismo e comunismo vengono riconosciuti come fenomeni omologhi nella loro visione dell’uomo e della storia. I mostruosi meccanismi del totalitarismo che li accomunano vengono smontati ed analizzati con precisione, in modo quasi chirurgico. Ma Vita e destino è anche il romanzo dell’uomo comune del nostro tempo, dell’individuo colto nella sua quotidianità, di uno come noi insomma, posto davanti ed in mezzo agli orrori della storia. Di uomini e donne che si sono trovati a vivere in un’epoca in cui hanno imperversato idee con forze terribili a loro disposizione, che volevano tutte affermare quel che ritenevano essere dal loro punto di vista il bene assoluto. Idee e forze che si rivelano invece spaventose macchine di annientamento e di oppressione dell’uomo. Guerra e pace era scritto con la lingua e la tecnica di narrazione dell’ottocento russo. Vita e destino è scritto con una lingua asciutta, quasi fredda, in cui si riconosce la formazione di un grande giornalista: frasi brevi, nessuna concessione alla retorica, alla pornografia dei buoni sentimenti. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span>Nonostante la mole non è un mattone, tutt’altro, ma è un romanzo duro, forte, anche difficile. Non solo perché tratta argomenti duri, ma anche per ragioni tecniche, di lettura: folla sterminata di personaggi (una decina maggiori e circa 600 minori) nomi russi (tre nomi per personaggio e a volte il diminutivo) diversi piani narrativi che si incrociano, ciascuno con protagonisti, scenari e storie diverse. Non bisogna lasciarsi scoraggiare dalle prime cento pagine e appuntare i nomi e gli scenari. Soprattutto non bisogna avere fretta: questo non è un romanzo che si passa come le acque alle terme. Questo è un romanzo che impone lui il suo tempo di lettura: ha un suo ritmo interno e richiede una lettura lenta, impegnata, da lettore motivato, che cerca qualcosa di importante e che deve sapere che qualcosa di importante troverà, perché estrae dalle tragedie del‘900 una riflessione universale. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Grossman parte dall’assunto che nessuno è innocente, che nessuno è completamente buono e nessuno è completamente cattivo, che ciascuno porta in sé inscindibilmente fusi, il bene ed il male. Ognuno di noi deve sapere che avrebbe potuto essere l’uomo che chiude la porta della camera a gas dietro al piccolo David ed a Sofia Levinton, in alcune delle pagine più intense, belle e sconvolgenti che io abbia mai letto. Da questo consegue che se bene e male sono inscindibilmente mischiati, quando l’aspirazione al bene si fa dottrina, manifesto, catechismo e si dota di un apparato (che sia partito, chiesa, stato, burocrazia, esercito) porta in sé nelle dottrine e negli apparati anche quella parte, quel germe del male che è in lui e che si annida proprio in quello che ritiene essere il bene assoluto. Per il fatto stesso di ritenerlo tale. La lezione della storia del ‘900 è esattamente questa: è la storia di chi vuole il tuo bene in assoluta sincerità e che in assoluta buona fede, semplicemente, ti annienta, dopo averti sottoposto alla sofferenza più atroce e alla percezione più lancinante del male. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Vita e destino ci dice che se c’è un insegnamento universale da trarre dagli orrori del nazicomunismo è che bisogna guardarsi da chi afferma di volere il tuo bene nel nome di una verità che ti salva. Sembra delineare una situazione disperata e paralizzante, ma ci dice anche che tale non è. Lì sta la lezione universale, quella che trascende la Storia: nell’uomo portato alle condizioni estreme, persino dentro la Lubjanka o nelle camere a gas, riaffiora miracolosamente qualcosa di astorico e di antistorico. È una energia, una forza talmente irrazionale da apparire sciocca, autolesionistica; una forza irriducibile proprio perché irragionevole, folle, al di sopra della valutazione del bene e del male, che quindi nessuno riesce a controllare e nessun apparato riesce a soffocare. </span></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span> </span>Questa forza connaturata nell’uomo è la forza della bontà compassionevole, nel senso non pietistico e peloso, ma nel senso della condivisione della passione (cum-passione), della sofferenza dell’altro. È la forza della bontà offerta a mani nude, fragile, debole eppure invincibile, perché non calcola convenienze e non chiede contropartite né terrene né ultraterrene. “La bontà, amore cieco e muto è il senso dell’uomo il suo unico, vero elemento di immortalità”.</span></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212529; counter-reset: list-1 0 list-2 0 list-3 0 list-4 0 list-5 0 list-6 0 list-7 0 list-8 0 list-9 0; cursor: text; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; margin: 0px; padding: 0px; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: large;">Chi volesse una mappa per orientarsi tra personaggi e scenari di guerra può andare sul link sotto. E' fatta veramente molto, molto bene.</span></p><p style="background-color: white; box-sizing: border-box; color: #212529; counter-reset: list-1 0 list-2 0 list-3 0 list-4 0 list-5 0 list-6 0 list-7 0 list-8 0 list-9 0; cursor: text; font-family: Helvetica, Arial, sans-serif; margin: 0px; padding: 0px; white-space: pre-wrap;"><span style="font-size: large;">https://www.italianacontemporanea.org/wp-content/uploads/2021/08/0Polittico.pdf</span></p><p><br /></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-16311345426210537552022-04-20T09:36:00.000+02:002022-04-20T09:36:34.881+02:00Malacqua di Nicola Pugliese<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLhe2PRFBZaGWH03sEW_5F5I_lgeNugNtxGKN2kDSiyZKPqHLJCF0LkgkWcVxjPLbf8kRU-EygXGTK1-8ikuZ7EBj89P51W0VLHznDr6VC3iKODPH5L8c3UDBYBTYYTkrKZ7-BnGwMWvIGhiDoRcVdj0xK1pNFk5Lj5cDgIfIw-8IP_m3J5vE6cYqV/s767/BCB34B09-032E-4ACF-BEB7-001F6DAD81A4.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="767" data-original-width="500" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLhe2PRFBZaGWH03sEW_5F5I_lgeNugNtxGKN2kDSiyZKPqHLJCF0LkgkWcVxjPLbf8kRU-EygXGTK1-8ikuZ7EBj89P51W0VLHznDr6VC3iKODPH5L8c3UDBYBTYYTkrKZ7-BnGwMWvIGhiDoRcVdj0xK1pNFk5Lj5cDgIfIw-8IP_m3J5vE6cYqV/w261-h400/BCB34B09-032E-4ACF-BEB7-001F6DAD81A4.png" width="261" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><p></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 10px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">L’impressione, leggendo, è che sia un libro scritto in un momento di sospensione; e anche in uno stato di grazia. Lo racconta quel momento: <span style="font-style: italic;">“se ne restò in tal modo inebetito per qualche minuto a indagare su se stesso, il proprio destino, i misteri del creato, l’accadimento insolito”. </span>Non a caso è l’unico di Pugliese (tranne un libricino di racconti introvabile). La sua biografia e la storia editoriale del romanzo, pure quelle, fanno pensare a qualcosa di molto strano; piene come sono di inquietudini, presagi, voglia di essere dimenticati, colpi di testa e fughe che rompono improvvisamente una normalità apparentemente banale.</span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 10px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">D’altronde, ci sono uomini e libri che se la portano dentro più forte quella inquietudine. Che è tutta interiore, per lo più, affogata e nascosta nella monotonia quotidiana. Che, se riesci a guardarla e capirla, si rivela quasi sempre essere la percezione del miracoloso e del tremendo dentro al vivere umano, con la coscienza del male e della morte e senza una spiegazione che dia ragione di tutto. La cercano e ovviamente non la trovano. Una ricerca che resta di solito silente e confusa. Se esplode possono venir fuori magari atti di follia che poi definiamo inspiegabili o opere d’arte come questa.</span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 10px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span style="text-align: center;">Ha tentato di dire cose molto difficili, quasi impossibili da raccontare, Pugliese: la morte e il male che si nasconde, imperscrutabile; l’attesa e il presentimento di qualcosa; la realtà che ti minaccia e insieme ti distrae; l’orrore del vuoto di senso, dove si può sperare di trovare “il significato ultimo” o forse c’è solo il niente; il mistero del vivere e la vita che ti spinge a andare avanti e basta, che ti suggerisce la saggezza del lasciar andare e del fare “solo” quel che si deve e quel che si può. E poi c’è la fiducia in quel che sarà, la resa e l’abbandonarsi al mistero e a quel che si porta dentro di bellezza, di passioni e di dolore.</span><span style="text-align: center;"> </span></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 10px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span style="text-align: center;">Ha messo tutte queste cose e altre ancora, Pugliese,</span><span style="text-align: center;"> </span><span style="text-align: center;">nel posto più improbabile e meno adatto, potresti pensare, a tenerle dentro: Napoli e Napoli in una pioggia che sembra non dover finire mai e che sembra preparare chissà quale “accadimento”. C’è riuscito con uno stile originalissimo, mischiando gli stilemi della cronaca alla lirica all’epica. Ci sono pagine da antologia (il funerale di Rosaria, la decisione di Luisa Sorrentino, la prima volta di Giovannella, la storia di Susan e Salvatore), che emozionano. Ma tutta l’atmosfera trasmette una emozione accorata e di spaesamento.</span></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 10px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span style="text-align: center;">La chiave sta nell’attesa proprio nell’”accadimento”, quel senso di vaga intuizione e di qualcosa che deve succedere, tra l’angoscia e la speranza. Uno stato mentale che tutti forse proviamo quando incontriamo l’inconsueto che accade e che ci avvicina al Mistero che circonda e percorre come un fiume carsico la vita. Dietro segni surreali tremendi (la pioggia implacabile, case e strade che sprofondano, le bambole che urlano, la paura della gente) o a segni altrettanto surreali, ma che sembrano voluti da una entità compassionevole (le monetine che cantano, il mare che va incontro ai bambini cacciati dalla spiaggia) c’è il bisogno e la vaga percezione di un perché, di un senso. O forse c’è solo la spinta a immaginare e a credere qualcosa che spieghi, che dia una svolta, che ci condanni in modo chiaro o che ci salvi. </span></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 10px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><span style="text-align: center;">Di fronte all’idea della morte e al male, di fronte agli orrori (pensiamo a quel che abbiamo fantasticato, detto e letto da due, tre anni a questa parte, tra pandemia e guerra), sempre l’uomo ha provato a trasformare eventi e fatti in segni, in preludi e preannunzi. Ha cercato di interpretare, immaginare, indagare, magari anticipare attraverso un vaticinio; di scovare simboli nella apparente banalità delle cose. Nel tentativo riuscito di raccontare</span><span style="text-align: center;"> </span><span style="text-align: center;">questo e nel modo in cui ci riesce sta la bellezza di questo romanzo.</span></span></p><p><br /> </p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-14033624867603693242022-04-04T13:00:00.002+02:002022-04-04T18:21:38.998+02:00La distruzione di Dante Virgili<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjF6yEC5k1sQdQt_cxz30v1tADUk3dKX8HifFCFlOSFimODc33RtF0ou-rSZchNnUNW4q3keZL548TsHneqLDisNOXLoSI2cf1oEBXXYSAqjt5tfX7WJX2SzzoFW3BJfrtK-2kwtfVq78QvNLoDkRo-JTI_rZELg5v9Z47Htb8GLAkJ06IcCiNoK2Zi/s589/Virgili.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="589" data-original-width="424" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjF6yEC5k1sQdQt_cxz30v1tADUk3dKX8HifFCFlOSFimODc33RtF0ou-rSZchNnUNW4q3keZL548TsHneqLDisNOXLoSI2cf1oEBXXYSAqjt5tfX7WJX2SzzoFW3BJfrtK-2kwtfVq78QvNLoDkRo-JTI_rZELg5v9Z47Htb8GLAkJ06IcCiNoK2Zi/w288-h400/Virgili.jpeg" width="288" /></a></div><br /><br /></div><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Il romanzo ha la forma di un flusso di coscienza e va ben al di là in un delirio cupo, disperato. E' punteggiato da immagini apocalittiche, di distruzione globale (con visioni profetiche, visto che è stato scritto nel ‘57: i grattacieli di New York in fiamme, l’incubo trasposto in speranza della guerra nucleare), e scene reali e fantasmatiche di pura brutalità, soprattutto sessuale. L’energia vitale del protagonista-narratore è fatta per lo più da ansia di rivalsa e di vendetta; sia storica (è dichiaratamente nazista) che personale (per la condizione in cui vive di povertà e di marginalità sociale). Il sentimento espresso dominante è la nostalgia malata. La percezione del presente è fatta di desideri frustrati, degrado, bassezze umane, monotonia, cupio dissolvi. Tutti prodotti della decomposizione del passato e dell’avvelenamento permanente dei pensieri. E il veleno, il vero sentimento di fondo,<span class="Apple-converted-space"> </span>è l’odio. C’è odio verso gli altri, c’è odio verso la propria vita e verso gli oggetti del proprio desiderio: le donne, la ricchezza, il potere, la cultura dominante capitalistica e quella antagonista comunista, gli esiti della storia con la sconfitta di Hitler (per il quale prova venerazione), la vita in generale e soprattutto quella che immagina venga vissuta e goduta dagli altri, dai ricchi. Nulla si salva. Nemmeno la madre, colpevole di avergli dato un aspetto fisico di cui si vergogna e che lo penalizza nella competizione sessuale. Fa pensare a<span class="Apple-converted-space"> </span>Houellebecq su questi come su altri aspetti. Su ogni cosa che lo circonda fa aleggiare il male: lo stare male e il volere il male.</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La prosa è frammentaria, nervosa; riflette questo sfacelo mentale. La punteggiatura è ridotta al minimo e usata spesso in modo arbitrario. Nel tempo della narrazione, presente, passato e futuro sono fusi e difficili da distinguere. Le<span class="Apple-converted-space"> </span>fantasie, le ricostruzioni storiche, i ricordi e le allucinazioni irrompono nel racconto del reale e si ritirano senza interpunzioni. I pensieri, una specie di singhiozzo mentale, invadono la descrizione della scena e i dialoghi. Ne viene fuori una narrazione continuamente distorta, deviata, interrotta. Anche con continue inserzioni di frasi in tedesco:<span class="Apple-converted-space"> </span>senza un traduttore dentro l’app di lettura è ancor più difficile da leggere.</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Lettura terribile, dunque. Fuori di sicuro da ogni lista di libri da consigliare. Eppure un romanzo che<span class="Apple-converted-space"> </span>senza essere un capolavoro ha una crudezza espressiva, una immediatezza, un intensità che tengono attaccati alla lettura. La voce narrativa, il tono del racconto, l’atmosfera che ci si respira dentro hanno qualcosa di magnetico. È una mostruosità anche in questo senso: un romanzo dai contenuti e dalla forma che più respingenti non si potrebbe, ma che<span class="Apple-converted-space"> </span>cattura il lettore; lo ammalia con la cupezza;<span class="Apple-converted-space"> </span>lo fa pensare mentre lo inorridisce. Scava fino a mostrare le radici dell’umano sentimento<span class="Apple-converted-space"> </span>dell’odio e delle forma che può assumere nel nostro tempo. Anche in questo senso, romanzo di una attualità straordinaria.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La prefazione di Roberto Saviano è molto interessante. Quella<span class="Apple-converted-space"> </span>si può consigliare a prescindere dal romanzo. E nella prefazione ci sono anche<span class="Apple-converted-space"> </span>alcune indicazioni per affacciarsi in generale sulla letteratura dell’odio.<span class="Apple-converted-space"> </span></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La scrittura dell’odio è stata ed è<span class="Apple-converted-space"> </span>ancora in certi casi una scrittura di qualità,<span class="Apple-converted-space"> </span>di alto livello letterario e di anche di grande profondità. Che illumina aspetti dell’uomo e della società importanti. Senza fare paragoni, scrittori dell’odio sono stati Baudelaire e Celine o anche,<span class="Apple-converted-space"> </span>in certe pagine, tra le più belle,<span class="Apple-converted-space"> </span>anche il nostro Gadda (si pensi a Eros e Priapo, ma non solo).</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Si fa tanto un parlare di odio, di haters, si studia quello becero e schermato dei social. Qui c’è l’odio vero, portato alle sue estreme conseguenze esistenziali, che nasce dalla profondità del dolore di esistere, che impregna la vita, la distorce. Dunque, lettura tutt’altro che inutile. Di sicuro, non banale.</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">L’odio,<span class="Apple-converted-space"> </span>in Virgili, sottende disperazione, vitalismo frustrato e soprattutto, la percezione del vuoto che circonda e segna l’esistenza quando crolla ogni fede. Distruzione significa annientamento, andare verso il niente. Il bersaglio dell’odio è l’Altro; ma l’Altro è solo qualcuno o qualcosa che, per il fatto di essere fuori di noi e davanti a noi, ci riflette l’immagine di quella vacuità, del niente che ci portiamo addosso e che ci accomuna. Per dire la percezione opposta (e nel libro questa cosa viene fuori in modo esplicito, anche se sotto forma di disprezzo e di nostalgia insieme), bisogna pensare alle visioni religiose, al sentirsi fratelli in un qualche dio che sostituisce quel nulla, che ci vuole accomunati tutti in un processo di creazione e poi di salvezza dal nulla. Senza le religioni dobbiamo essere capaci di pensare stando affacciati senza rete sul quel nulla. Lo dice bene Ferruccio Parazzoli, ex dirigente della Mondadori che di Virgili fu interlocutore<span class="Apple-converted-space"> </span><i>“La religione è proprio questo, no? Io ti do il punto fermo al quale tu ti aggrappi e non guardi giù. Però, il guardar giù… è come quando si sta in montagna… guardare l’abisso è affascinante come guardare le vette, con la differenza che io non mi sento spuntare le ali se guardo la cima di una montagna, me le sento spuntare se guardo di sotto”</i> (da Cronaca della fine di Antonio Franchini). In questo modo di sentire, l’alternativa sembra essere tra <i>“l’Assoluto o l’Assurdo”</i>.</span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">È consapevole, e lo scrive, Virgili, che il punto doloroso, il fatto inaccettabile è la coscienza della inevitabilità della morte e della dissoluzione. Il suo problema è il tempo.<i> “Tutta una faccenda giocata sul tempo. Sul tempo. La labilità delle vicende umane a quali tenui fili è sospeso il destino della storia”. </i>E’ da lì che si genera il vortice mentale che lo risucchia e in cui vorrebbe far precipitare con lui tutti e tutto. La distruzione è l’estremo tentativo di affermare una volontà, di esercitare la potenza. Questo,<span class="Apple-converted-space"> </span>mentre cresce la coscienza (sempre vissuta come una malattia, una degenerazione) che è una illusione, che è tutto vano, perché in realtà non ci sono scelte, non possiamo decidere niente. Il vuoto incombe, ci possiede e ci imprigiona in una piccola bolla spazio-temporale:<i> “Noi siamo trascinati da una forza irresistibile mai neppure un istante siamo padroni di decidere”</i></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">E’ questo che fa precipitare nell’odio e nella distruzione : <i>“NON DEV’ESSERE COSÌ ANNI DI VITA sempre più brevi poi un cumulo informe divorato dai vermi. In questi pochi passi che mi separano dal margine in questo residuo di respiri e di battiti tutto è LECITO“.</i></span></p><p class="p2" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Quindi, è da questo nodo che si genera il cortocircuito sessuale e sadico che attraversa tutto il romanzo.<span class="Apple-converted-space"> </span>La perversione del potere incontrollato e violento sulla donna e sull’oggetto del desiderio è la conseguenza di questa consapevolezza della morte e dell’annichilimento. Eros d’altronde è la spinta a fondersi con l’altro; e questo, in una visione in cui il nulla è l’unica idea che vince e che resta, significa assumere il potere di nientificare, come una rivalsa o un esorcismo e diventa un estremo atto di perversa comunione. Una comunione cercata ed esercitata attraverso il potere ed una gerarchia che nelle società democratiche secondo Virgili è regolata dal denaro. Leggendo certe pagine, come quella della Villa dei misteri viene da<span class="Apple-converted-space"> </span>pensare al Pasolini delle 120 giornate di Sodoma. Ma l’aspetto della mercificazione e dell’asservimento, dell’esercizio del potere sui corpi che in Pasolini era inquadrato in una prospettiva storica e letto in una interpretazione marxiana, qui assume il valore di una perversa compensazione esistenziale e di una disperata rivendicazione vitalistica, l’ultimo grido selvaggio prima del nulla.</span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: arial;">Le pagine finali<span class="Apple-converted-space"> </span>sulle logiche della dissuasione nucleare che sembravano </span><span style="font-family: arial;"> </span><span style="font-family: arial;">regolare </span><span style="font-family: arial;">nel ‘57 come ancora oggi l’equilibrio mondiale dell’era atomica sono lucide, attualissime. </span></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><i><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></i></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><i><span style="font-family: arial;">"l'</span></i><i><span style="font-family: arial;">uomo non agisce per il proprio interesse anche se lo conosce se sa dove sta. Batte un’altra via quasi sempre, quella del piacere o del rischio o dell’avventura. Ma stavolta c’è il fatto nuovo. Deve cambiare se non vuole essere annientato. Forse da quando è cominciata l’era atomica inaugurata dagli americani il suo comportamento si è fatto più ragionevole? Ancora più evidente il fallimento della ragione. Ci occorrono armi nucleari per difenderci da un eventuale aggressore. Ma quanto più aumenta la nostra capacità di difesa tanto più cresce la possibilità di distruzione. Ed ecco la proliferazione delle atomiche. Altri stati le otterranno. Allora. Potrebbero correre il rischio di una guerra a tutti i livelli, nulla di più probabile che i nazionalismi risorgano, o le piccole potenze potrebbero TRASCINARE LE GRANDI. Insomma, fra tanti, prima o poi, per calcolo per errore, qualcuno farà il primo sgancio eh eh. V’è un senso d’ineluttabilità in questo....</span></i><span style="font-family: "Helvetica Neue";"> </span><span style="font-family: arial;"><i>Ho fede nell’antiragione, io."</i></span></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></p><p class="p1" style="font-stretch: normal; font-variant-east-asian: normal; font-variant-numeric: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: arial;">I tempi che viviamo, con l’invasione russa dell’Ucraina fanno tornare il dubbio se non avesse ragione. Un dubbio che mette brividi.</span><span class="Apple-converted-space" style="font-family: arial;"> </span><span style="font-family: arial;">Come tutto il romanzo, d’altronde.</span></span></p><p></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-69537554586266702952022-03-27T08:45:00.003+02:002022-03-27T08:57:59.000+02:00Dove sei mondo bello di Sally Rooney<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1pguRBheYJTscCmLSo687dyViRtRrl9vSGIvlNdh8xg5-ccVp2ZdRV1CLHBNPgOpofugOtRKGlGhvbs0upN9t8GpOtm6PNYUQfwlgZW1_VEQZloFBJSEeP3ajqZ6JKLS11FgbHCpM5K8t83oZFTQ24hY8dIWUAwfs1NNB6MXSaPynGGimxgGpAtMd/s850/9788806251932_0_536_0_75.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="850" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj1pguRBheYJTscCmLSo687dyViRtRrl9vSGIvlNdh8xg5-ccVp2ZdRV1CLHBNPgOpofugOtRKGlGhvbs0upN9t8GpOtm6PNYUQfwlgZW1_VEQZloFBJSEeP3ajqZ6JKLS11FgbHCpM5K8t83oZFTQ24hY8dIWUAwfs1NNB6MXSaPynGGimxgGpAtMd/w253-h400/9788806251932_0_536_0_75.jpeg" width="253" /></a></div><br /><div><br /></div><div><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La prosa della Rooney si conferma come una delle migliori che si possano leggere in giro in questo momento. Dicono sia bravissima a scrivere i dialoghi e le scene di sesso. E' vero. E non so in quale delle due cose sia meglio. Ma non è solo questo. A tratti ti dà la sensazione di qualcosa di quasi perfetto: il ritmo, il tono narrativo, gli aggettivi, i dettagli, la struttura del romanzo. Veramente di qualità.</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Il modo in cui rende il senso di impotenza e di confusione che segna la vita nel nostro tempo è la sostanza migliore di questo romanzo. </span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Confusione nel dare un senso all’esistere e nel decidere della propria vita. Impotenza nel tentare di trovare un modo per decidere senza esser certi comunque di sbagliare. E impotenza anche davanti all'urgenza di trovare un modo per incidere sulla realtà storica, sui grandi temi della difesa dell'ambiente e delle diseguaglianze. Lo spazio di azione praticabile, il margine di gestione per i personaggi, sia nel pubblico che nel privato, sembra essersi schiacciato sul momento, sul qui e ora, nella quotidianità e nella prossimità. I limiti entro cui possono davvero pensare di decidere e determinare qualcosa di durevole e di farlo con una accettabile visibilità delle cause e degli effetti si sono ristretti, schiacciati. </span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: arial;">Nessuna generazione ha conosciuto l’incertezza e la precarietà permanenti più di quelle nate o cresciute nel nuovo millennio, ma </span><span style="font-family: arial;">questa non è una letteratura generazionale o </span><span style="font-family: arial;">di genere</span><span style="font-family: arial;">. I romanzi della Rooney interpretano bene un’epoca, che è la nostra, di tutti.</span></span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Sembra, leggendo questo romanzo (ma anche i precedenti due) che siamo passati dalla società “liquida” di Bauman ad una società gassosa. Una società cioè che è diventata volatile, che si è avvicinata ad una sorta di para-virtualità. La dimensione in cui i social collocano i personaggi, la stessa comunicazione via mail ha avvolto in una nebbia anche i rapporti reali, i contatti fisici tra le persone. E vedersi, soddisfare le esigenze psicologiche e biologiche legate al contatto sembra ai protagonisti non solo tentare un’impresa incognita, di una difficoltà insormontabile, ma anche un andare controcorrente, uno stare fuori dalle abitudini, dalla cultura e dal sentire dominanti. </span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La religione, che dei coagulanti psicologici e sociali un tempo era il maggiore, perché si assumeva il compito supremo, quello di dare il senso ultimo all’esistere, non può che essere rifiutata nel mondo descritto dalla Rooney. Ma nello stesso tempo viene osservata a distanza come una suggestione, un miraggio in cui non è più possibile credere, ma il cui rifiuto viene vissuto con smarrimento, come una mutilazione. Si avverte, in modo quasi struggente, la perdita di qualcosa di importante, che rispondeva ad una funzione decisiva e che non siamo capaci di sostituire.</span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Alla fine, al di là della conclusione apparentemente consolatoria e pacificata, lo sfondo vero di questo romanzo è la percezione della imminenza di un collasso non solo delle relazioni umane che descrive, ma di civiltà, epocale.</span></p></div><div><span style="font-family: Arial; font-size: 12px;"><br /></span></div>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-62579655496346044872022-03-22T19:55:00.010+01:002022-03-22T20:01:20.736+01:00Tomas Nevinson di Javier Marias<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgp8UfWyVNQhDVvWI7Hqfqzj6tQg7DU4fMX6Muc7IMr8VOSGXxdl75S3CC4UULKKQmuR6yWOLKk9-cddITwFFFwurIzcZCIxj4oZMfuDvyrBIDnKvdo8tNnb6ejBPROr-yTCp9N70Sf-8oUa18NZyRaEuUNIRfxqVewKG9v14Ryxb-UhJ0wiRLUX5jD" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img data-original-height="283" data-original-width="178" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEgp8UfWyVNQhDVvWI7Hqfqzj6tQg7DU4fMX6Muc7IMr8VOSGXxdl75S3CC4UULKKQmuR6yWOLKk9-cddITwFFFwurIzcZCIxj4oZMfuDvyrBIDnKvdo8tNnb6ejBPROr-yTCp9N70Sf-8oUa18NZyRaEuUNIRfxqVewKG9v14Ryxb-UhJ0wiRLUX5jD=w252-h400" width="252" /></a></div><br /><p></p><p><span style="font-family: arial; font-size: large;">Un marchingegno narrativo alla Marias, sulle soglie e forse al di là della credibilità. Ha la capacità di farcelo funzionare davanti agli occhi come fosse una storia vera. Con quella attitudine di ragioniere dei sentimenti e dei rovelli mentali, che smonta e ricostruisce come in contabilità si fa con la partita doppia. </span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: large;">Tre figure di donna che sembrano scolpite, tanto sono nette, definite. Epperò nello stesso tempo tre figure misteriose, forse portatrici di un segreto o forse no, ma comunque oggetti sfuggenti tutte e tre della eterna e vana ricerca maschile di capire, di svelare, di scovare il senso della loro personalità e della loro storia.</span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: large;">Temi da grande romanzo del nostro tempo, come sempre in Marias. Le grandi ubriacature della grande Storia (religione e terrorismo, contro cui lancia anatemi, quelli si senza margini dubbi); il balletto delle identità inventate; l’indecifrabilità del confine mobile tra bene e male, tra giusto e sbagliato sul quale diventa impossibile collocare le scelte; e poi il fondale scenico della partita antica e complicata che si gioca tra uomini e donne. Una partita fatta di assenze e segreti, di rapporti di forza e debolezze, di rituali e tradimenti, di ipotesi tutte plausibili e forse tutte sbagliate.</span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: large;">Poi a raccontare questo gioco complicato, ci sono le acrobazie narrative di Marias. Prima fra tutte l’alternanza della voce narrante tra la prima e la terza persona più volte nello stesso capitolo o nella stessa pagina o addirittura nello stesso rigo, con la stessa naturalezza con cui il trapezista lascia e riprende a volo i suoi attrezzi. In certi passaggi viene voglia di applaudire.</span></p><p><span style="font-family: arial; font-size: large;">Altra cosa che affascina è il modo in cui arreda la scena della rappresentazione. Le città, il fiume, l’esterno dei bar, le case, ma anche i personaggi di contorno: quelli giganteschi dello sfondo (Berta, Trumpa, la sua diretta superiore e amante Patricia) e le piccole comparse che affiancano i personaggi principali, tutti dipinti con caratterizzazioni precise, con dettagli a tinte pastose. Gran narratore.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-56958343628569645752022-03-22T16:27:00.002+01:002022-03-22T16:27:42.363+01:00Niente paura di Julian Barnes<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDJcLG42Cr93qgGYP2QOAoSQQuARYaZ2ARvtE5jUguJmP8t5sZ7pGIRbWNmmzRIoib8JG7ZqHDxGPXFBSko34ZUqaDeIN1hQOlWd93oPaUeMfYUVPLPjQ9Dijbbf6M9ir0ECkV_0e2Vzt4BlAK33EdFjXMiesMhdEeZbeseM57TVd97h32kSn0LxAd/s853/Barnes.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="853" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDJcLG42Cr93qgGYP2QOAoSQQuARYaZ2ARvtE5jUguJmP8t5sZ7pGIRbWNmmzRIoib8JG7ZqHDxGPXFBSko34ZUqaDeIN1hQOlWd93oPaUeMfYUVPLPjQ9Dijbbf6M9ir0ECkV_0e2Vzt4BlAK33EdFjXMiesMhdEeZbeseM57TVd97h32kSn0LxAd/w251-h400/Barnes.jpeg" width="251" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><p></p><p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Una amabile lettura sulle idee che ci si può fare della morte quando non si crede in nessun dio. Esposte con una leggerezza impastata di buone letture e con una vasta e gustosa (si fa per dire) aneddotica. La leggerezza di Barnes è dichiaratamente sorretta e contraddetta da una robusta paura della morte. Il che la rende tanto più credibile e meritoria.</span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Dietro c’è non solo un apprezzabile lavoro di documentazione, ma un punto di vista preciso, uno schema d’interpretazione (per quel tanto che l'argomento consente). E mi sono sentito d’accordo con molte delle cose che scrive.</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">D'altronde, sulla morte o si sta zitti (“davanti alla morte, solo il silenzio” disse Pertini, forse citando non so chi, ma mi piace pensare che fosse una frase sua). Oppure, se si vuole essere lucidi, si deve avere la forza di parlarne con leggerezza, disincanto e senso dell’umorismo, senza perdere aderenza con la concretezza e con la logica. Solo così ci si può mettere ad occhi aperti davanti a quello che altrimenti è l’Indicibile. Ovviamente sapendo che siamo lontanissimi dal venirne a capo (su cosa sia effettivamente). Resta un mistero e solo a provare a fare ipotesi possiamo arrivare.</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Difetti: uno e grosso. Esagera col cazzeggio Barnes (vizio della casa) e qui con il cazzeggio peggiore: quello autobiografico. Sta dentro alla moda letteraria del momento d’altronde. Gigioneggia persino, a tratti; si compiace. In quelle pagine lì, ho lasciato scivolare l’occhio in verticale sulle righe. Però quando sta al tema vale la pena (è il caso,si) di leggerlo. Ed è persino un piacere.</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Simpatica l’origine del titolo, che nasconde un ameno imbroglio con le parole</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">“Trovo questo nel mio diario, scritto venti o piú anni fa:</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">La gente dice della morte: «Niente paura». Lo dicono in fretta, con nonchalance. Ora, diciamolo un’altra volta, piano ma con enfasi. «NIENTE paura».</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Jules Renard: «La parola piú vera, la parola piú esatta, quella piú densa di significato è la parola “niente”».”</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Insomma, il titolo del libro di Barnes sulla morte dovrebbe essere in realtà questo: “Niente: paura”</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Da cui si deduce l’indicazione più utile che si possa dare per una seria riflessione sulla morte e cioè che deve essere, per essere tale, una seria riflessione sul nulla e sul modo in cui contrapponiamo questo concetto a quello di essere.</span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 12px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;"><br /></span></p>
<p style="font-stretch: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: left;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">Naturalmente, questa lettura ha un senso se siamo tra quelli che non possono farne a meno di pensarci. Perché ci sono quelli che non lo giudicano un argomento interessante. Non ci pensano (di solito, si sono riempiti la vita di preoccupazioni più di breve termine e più f/utili). O almeno non ne parlano. E se gliene parli sorridono. I più consapevoli dicono di accettarla e basta. C’è, dicono, e non possiamo farcì niente. D’altronde una sua funzione ce l’ha: senza, la vita su questo pianeta sarebbe sparita da un pezzo. Potrebbe avere i suoi vantaggi: se tutto ci andrà bene, arriverà forse un momento in cui non ne potremo più di sbatterci. Poi, Epicuro docet, se arriva lei, non ci siamo più noi e quindi che senso ha occuparcene? Meglio pensare a vivere meglio possibile finché dura, la vita. Se accetti la morte accetti la vita e la vivi meglio che puoi: questo è sicuro. Per me quelli che la pensano davvero così sono i saggi, i sani di mente; sono quelli che hanno trovato un equilibrio. Ne ho sentiti tanti dire queste cose, ma conosco solo una persona che mi ha convinto di essere veramente così. Gli altri fingono.</span></p></div>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-29458606460189313662022-03-12T08:42:00.002+01:002022-03-12T08:42:29.679+01:00Annientare di Michel Houellebecq<p> </p><p><br /></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhLCR3-eqH61PzCUue_7tMMWQi4-9jG3R_fVF4b5yLpS1w_qYDePQPSs2xYHXV0Tf54tV9hwjR69SDrydiq_tIYH-nNU0NR67pqw861EoOPa6bQT2JR6pOUCKrmXuTaQzmstrOQjL9GANg3jXw9zItaVxbnCIlgDsDNULaYTBo4FsrLBmt1ge-peEK6=s623" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="623" data-original-width="434" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhLCR3-eqH61PzCUue_7tMMWQi4-9jG3R_fVF4b5yLpS1w_qYDePQPSs2xYHXV0Tf54tV9hwjR69SDrydiq_tIYH-nNU0NR67pqw861EoOPa6bQT2JR6pOUCKrmXuTaQzmstrOQjL9GANg3jXw9zItaVxbnCIlgDsDNULaYTBo4FsrLBmt1ge-peEK6=w279-h400" width="279" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><p><br /></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Lascio l’esegesi del testo agli specialisti houellebecquiani, che già si stanno affannando (è meno lui? è sempre lui? si è imborghesito? è diventato buono? è diventato solo meno provocatorio e più perfido - e questo libro è in realtà una trappola a trabocchetto? il matrimonio lo ha reso romantico? oppure gli ha solo messo le pantofole ai neuroni? o invece ci sta prendendo tutti perculo, giocando a spiazzarci? è più o meno profetico? è più o meno disperato? eccetera eccetera). Dico solo (e non è poco) che per tanti aspetti, per un certo umore di fondo soprattutto e per l’angolo visuale dal quale si guarda il mondo che c'è fuori, mi ci sono sentito tristemente, dolorosamente, ma anche dolcemente in sintonia. E confesso che la cosa mi ha sorpreso e un po' spaventato. Bisognerà che me lo rumini bene.</span></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Al di là delle interpretazioni e senza pretendere di dover pensare al capolavoro, è un romanzo da leggere perché è scritto benissimo, come al solito. E al di là dell’apparente affastellarsi di temi e scenari l’architettura tiene e funziona. Poi, come tutti i romanzi scritti bene, crea un ambiente, un mondo, con i suoi umori, sentimenti, colori.</span></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">A tratti andando avanti nelle pagine e in quelle atmosfere ovattate, tra ospedali, RSA, case grandi e silenziose, boschi autunnali e lungofiumi nebbiosi ci si sporge pericolosamente verso un accenno di noia, di quasi assopimento. Il pilota automatico si affaccia a proporsi: “vado avanti io?”. La lunghezza del libro e la mancanza di certi eccessi di furori acidi e scorrettissimi, a cui Hb ci aveva abituati, accentua la percezione di un calo di tensione. Ma dura poco. I capitoli brevi, gli incastri degli diversi scenari e una frasetta giusta che improvvisamente illumina tutto un panorama mentale, rompono la monotonia. Al pilota si risponde “lascia stare, che questa è roba che mi riguarda”. E così si torna alla tensione di lettura giusta. Forse proprio in quel vago senso di noia morbidosa (e nel primo sogno nella casa del padre), sta nascosto il segreto di questo romanzo.</span></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Tirando le somme. Come ho sempre detto, parlando dei libri di Houellebecq: ad avercene, di romanzi come i suoi.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-7753119488032965227.post-33242145146826159332021-12-31T13:12:00.000+01:002021-12-31T13:12:23.885+01:00Notizie degli scavi di Franco Lucentini<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiNCefFOyqs03gH8G5wkzFEYbIMkDjut5bsrBWuhkD5IKsDHTcwXM4-WPC-2qsaVGvqneThtSicxj7ZDHZP7NsaEW_8pgosHkWFm8F1CfgB9t9bqCe_hC2ohL5Y1UneYKZ56lcsPe9LxlpejNgy2LbUDI5hlGW4mOdj4gmX9IOZQMWd4xCINxuCTxAW=s833" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="833" data-original-width="536" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEiNCefFOyqs03gH8G5wkzFEYbIMkDjut5bsrBWuhkD5IKsDHTcwXM4-WPC-2qsaVGvqneThtSicxj7ZDHZP7NsaEW_8pgosHkWFm8F1CfgB9t9bqCe_hC2ohL5Y1UneYKZ56lcsPe9LxlpejNgy2LbUDI5hlGW4mOdj4gmX9IOZQMWd4xCINxuCTxAW=w258-h400" width="258" /></a></div><br /><p></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Per chi ama o vuole amare meglio e di più i libri della ditta F&L questo è un libricino prezioso due volte. Perché c’é dentro un raccontino-capolavoro e perché c’è un mini trattato sul retroterra culturale, da molti ignorato, dei libri che Lucentini ha scritto insieme con Fruttero. </span></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">Una novella che ha per protagonista un uomo buono e indifeso, sbeffeggiato come “il professore” perché ai limiti della seminfermità mentale, che si esprime in una lingua rudimentale e che vive in un ambiente in cui la sopravvivenza va conquistata ogni giorno. Lucentini fa della poca luce mentale di quest’uomo una lente per sbirciare nella profondità dell’esistere umano dentro la realtà e trovare grazie ad essa un lampo di consapevolezza che vale per tutti.</span></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">La postfazione di Scarpa invece illumina un aspetto che anche molti di quelli che amano i romanzi di F&L rischiano di non percepire. Perché quei libri sono scatole cinesi, o matriosche, se si preferisce. O semplicemente non sono solo e nemmeno sopratutto dei gialli. Come questo racconto non è letteratura neorealista. Sotto il primo contenitore, dietro la colorazione di genere, schermata dal divertimento con cui sono scritti e si leggono, c’è una visione del mondo, una filosofia della vita. O, per essere esatti (e bisogna esserlo visto che Lucentini filosofo era, per titolo di studio e interessi), una filosofia dell’essere. C’é una precisa concezione del destino, del tempo e del divenire; c’è una socratica consapevolezza della non conoscibilità della sostanza e del senso ultimo delle cose; c’è la percezione di qualcosa di insondabile che lega tutti i fenomeni e tutto ciò che esiste; c’è la consapevolezza dei limiti della condizione umana e della limitatezza degli strumenti cha abbiamo per decifrare la realtà. A partire dall’intelligenza, che più di tutti gli altri strumenti tendiamo a sopravvalutare e che di certo non attribuiamo al “professore”. </span></p><p><span style="font-family: helvetica; font-size: medium;">D’altronde, questa capacità di nascondere, questo essere arte anche ludica dell’infingimento e della traslazione che vale per il retroterra culturale da cui si muove lo scrittore come per i suoi tarli psicologici, per il dolore che si porta dentro è una delle cose che rendono la letteratura qualcosa di universale e di bello e di utile a tutti.</span></p>Scarabookshttp://www.blogger.com/profile/01606324608552773558noreply@blogger.com