venerdì 18 maggio 2018

Lincoln nel Bardo di George Saunders



In quanto a originalità e stravaganza in effetti scherza per niente qui Saunders. Già solo tecnicamente, come costruzione narrativa, è roba audace assai.  Incastro di pezzi di testimonianze vere e di fantasia (con tanto di estremi delle citazioni, autentiche e inventate) attorno al decesso del figlio bambino  di Lincoln e di quel che ne seguì, nella realtà e nell’immaginazione. Da questo punto di vista un’opera di bravura. Soprattutto perché incredibilmente si fa leggere; anche  con piacere. Il ritmo paradossalmente guadagna da questa struttura modello Lego. Gli incastri sono veramente perfetti, i personaggi si fanno riconoscere subito (prima di leggere in calce di chi si tratta), i cambi di scenario sono agili, i tempi di respiro della lettura sono ben cadenzati. Insomma, un romanzo scritto seduto sul filo dell’acrobata, ma bene.

Poi, è audace anche nella scelta del soggetto: la storia si incardina nel piccolo spazio che da sempre si fantastica ci sia subito dopo la morte, in quello che viene chiamato appunto Bardo, passaggio tra  la vita e un Aldilà a scelta.
Ne viene fuori qualcosa che inevitabilmente rimanda alla letteratura sul tema: dal Libro tibetano dei morti alla Divina Commedia, all’Antologia di Spoon River. Alcune pagine, soprattutto sul tema della perdita, sono da incorniciare; altre trasmettono una tristezza crepuscolare, struggente. In particolare quelle sul passato perduto,  che non si è vissuto e mai si potrà vivere. Allo scarabookkiante  sono piaciute molto. Poi ci sono immagini potenti. Per esempio lo è quella del Lincoln straziato che nerovestito  e segaligno cavalca di notte su un piccolo cavallo lasciando il figlio alla sua prima notte nella tomba. E lo è, potente, quel che va pensando (in quelle pagine sta l’essenza del libro).
I difetti.  Esagera forse col numero dei personaggi (una folla sterminata),  con le trovate da film dell’orrore sugli zombie che adesso imperversano (sarebbe interessante capire bene il perché di questa moda), esagera con certi effetti speciali da cartone animato. 

Però è proprio tutta questa animazione a rendere il romanzo scorrevole e gradevole. Contribuisce, come le caratteristiche tecniche di cui s’è detto, a fare quella che secondo me è la migliore qualità del libro: veicolare in forma cinematografica e favolistica, con una infantile per quanto dolorante leggerezza, il tema orribile per antonomasia.  Riesce così a  ottenere quello che vuole e cioè tirare fuori un senso positivo dalla presa di coscienza e dall’accettazione dell’ineluttabile e della perdita, che è il vero filo rosso della storia. Un senso che va  in una direzione giudicabile come si vuole, ma di sicuro è una visione che con i suoi echi orientali ha una sua saggia nobiltà e una sua meditata compiutezza. Anche per questo è un romanzo convincente, che commuove e diverte.