Non sono tutti perfetti questi racconti, ma uno che si possa definire
brutto o sciatto non c’è. Essendo in ordine cronologico è interessante vedere
come cambia lo stile di uno stesso scrittore, un grande scrittore, nel corso
dei decenni. Come ci sia una progressiva asciugatura della aggettivazione, un
maggior spazio tra narratore e scena narrata, una ricostruzione dei dialoghi
più essenziale, un disegno più sicuro di personaggi e trame. Si osserva meglio
tutto questo in Malamud perché la qualità della sua prosa è già alta in
partenza e alla fine è di una armonicità che incanta. L’evoluzione risalta
meglio perché invece non cambiano la tonalità di fondo, il modo in cui il
narratore “sente” il mondo, il tipo di personaggio. Ci sono cose proprio belle
tra quelli antichi (“La prigione” per esempio, ma anche ”La bambina che rubava
cioccolata”) e tra quelli dell’età matura (come “La corona d’argento” o “A
riposo” o “La dama del lago”). Insomma è una di quelle raccolte che ti fanno
pensare che un libro di racconti aperto a cui tornare devi averlo sempre.
Malamud scrive cose che trasmettono tristezza, è vero. Però è una tristezza
senza complicazioni filosofiche e senza sbavature emotive. E’ tristezza e
basta. Quando ti racconta di certe vite te la fa vedere come una cosa naturale,
persino dolce. Non ci sono mai “tragedianti” o predicatori del pessimismo
cosmico; non ci sono toni strappacore e men che meno c'è rabbia.
Roth |
Gli uomini di Malamud sembrano quelli di Roth devitalizzati, esangui. Non
hanno un brutto carattere; non sono estroversi e incontenibili; non sono uomini
che si esibiscono per sentirsi vivi; non hanno mai davvero nutrito illusioni di
solidità (della famiglia, del sogno americano, dell’amore di una donna, di un
talento naturale o di altro). E’ spesso l’uomo “ferito dove fa più male: nei
suoi sogni”. Soprattutto non c’è il vitalismo sessuale, quell’energia dei sensi
che in Roth diventa ragione di vita ed estremo rifugio. I protagonisti di
queste storie sono dei Sabbath senza teatro e senza l’ossessione del sesso.
Anche quando hanno qualche scatto vitale, qualche flebile illusione alimentata
dal desiderio, tutto finisce per essere inesorabilmente frustrato e riassorbito
dal combinarsi delle cose. La realtà in Malamud è più indifferente che ostile;
avversa senza intenzione, solo perché è così che vanno le cose.
Malamud |
Epperò si rimproverano sempre qualcosa. Al centro del loro dialogo
interiore c’è il senso di una colpa da espiare. E dietro si intuisce l’antica
percezione ebraica di una irrimediabile inadeguatezza al ruolo di “eletti” che
il loro Dio gli ha assegnato. Se questa cosa c’è però, Malamud la supera, va
oltre. Non si è mai considerato d’altronde uno scrittore ebraico. Semmai uno
scrittore americano che non crede nel sogno delle infinite opportunità. E anche
questa connotazione gli sta stretta. Malamud (quella è la sua vera grandezza)
descrive una condizione umana che sente come universale.