Libro esemplificativo dei pregi e dei difetti di quasi tutti
i romanzi di Auster.
I pregi. Grande mestiere, pulizia stilistica, abilità
tecnica nel disegnare la struttura delle storie che racconta e senz’altro anche
un sotterraneo, energetico entusiasmo dello scrivere.
L’attacco del romanzo è formidabile: il capitolo degli
albori della storia della famiglia Ferguson è il migliore. C’è ne sono anche
altre di pagine bellissime, come quella in cui descrive l’emozione, il dolore
che attraversò un ragazzo americano e la provincia americana intorno a lui,
alla notizia della morte di Kennedy. Anche i raccontini innestati nel romanzo
(“Compagni di suola” su tutti) sono belli. D’altronde dal punto di vista della
qualità della scrittura Auster è così: semplice e elegante.
I difetti. Purtroppo anche qui finisce per girare attorno a
due o tre suggestioni (sempre le stesse: il caso, le coincidenze, il destino,
la fragilità del confine tra possibile e reale). Poca sostanza insomma. Alla fine c'è la sensazione di avere mangiato roba
dal gusto gradevole, ma che lascia lo stomaco sgradevolmente pieno solo d’aria.
Ecco, Auster fa tanto pensare ai
pop corn.
Lo schema dello sliding door, con quattro vicende parallele
di uno stesso protagonista nell’America della seconda metà del novecento, sfocia
in una cosa che sta tra il romanzo famigliare e il romanzo di formazione. La
storia americana serve solo a riempire pagine di taglio giornalistico che hanno
lo spessore di un quotidiano. Anche lo stesso corpo centrale, le storie
parallele delle quattro vite possibili di Archie Ferguson, finiscono per
scivolare in un resoconto cronachistico logorroico, banalizzante, decisamente noioso.
Diciamo che il romanzo funziona bene fino a metà del
volumone, forse anche meno. Poi
però la metafora del pop corn vira su quella del brodino mangiato all’aperto
quando piove: se all’inizio era buono, poi comincia a non sapere più di niente
e soprattutto non finisce mai.
Insomma, senza scomodare il tennis e per essere
espliciti: due palle.